Prima "dell'avvento di Christopher Nolan" i registi emergenti non erano soliti traslocare dalla loro tipologia di film, magari indipendente, alla regia d'importanti blockbuster cinefumettistici in maniera repentina come accade oggi. Filmmaker che passano dall'avere a che fare con budget risicatissimi, a quelli giganteschi delle imponenti produzioni popolate di star ed effetti speciali. Tuttavia poteva comunque capitare di finire a lavorare con una delle star più affermate degli anni Novanta e una di quelle maggiormente in ascesa all'adattamento del primo libro di una popolarissima saga di vampiri. I nomi a cui facciamo riferimento sono naturalmente quelli del regista Neil Jordan, di Tom Cruise e Brad Pitt e il romanzo tirato in ballo è Intervista col vampiro di Anne Rice, il primo dei tredici tomi delle Cronache dei vampiri.
Il filmmaker irlandese era reduce dallo straordinario successo di pubblico e critica de La moglie del soldato, costato appena 2,3 milioni di sterline e con un box-office (non aggiustato all'inflazione) di 71 milioni. E proprio sull'onda di questo film riuscì, insieme al produttore David Geffen, a portare sul grande schermo un progetto che languiva nel famigerato development hell da quando l'opera di Anne Rice aveva debuttato nelle librerie.
Leonard Nimoy è Lestat
Subito dopo l'arrivo del romanzo nelle librerie nel 1976, la Paramount ne opzionò i diritti. L'idea era quella di trasformare il film in un'ulteriore rampa di lancio per il protagonista, John Travolta, di due sue pellicole d'incredibile successo, La febbre del sabato sera e Grease. Non lo volevano però nei panni di uno dei vampiri, ma in quelli dell'intervistatore senza nome del romanzo, ampliandone drasticamente il peso. A desiderare ardentemente il ruolo di Lestat era un'altro "cavallo di razza" della scuderia Paramount, Leonard "Spock" Nimoy.
Fu, sostanzialmente, questo l'inizio del development hell del progetto che cominciò a passare di mano in mano senza riuscire a beneficiare della rinnovata popolarità dei film di vampiri negli anni Ottanta, da Ragazzi perduti ad Ammazzavampiri passando per Miriam si sveglia a mezzanotte che, fra le altre cose, aveva già a che fare con delle tematiche queer proprio come il romanzo di Anne Rice. Erano però gli anni della diffusione galoppante dell'AIDS fra le persone omosessuali e i temi al centro dell'opera della Rice erano diventati troppo scomodi.
Intervista col vampiro: come è uscito dal development hell
Fu il produttore David Geffen, che per Intervista col vampiro stava collaborando con la Warner Bros, a inviare a Neil Jordan una sceneggiatura scritta dalla stessa Anne Rice. Per il regista si trattava di un elaborato intrigante ma, come racconta a Variety in una chiacchierata fatta per il trentesimo anniversario del lungometraggio, c'erano "elementi nel libro che erano stati eliminati e un po' ammorbiditi. Così mi dissi: "Perché non provo a fare una mia versione del copione?", e così feci, e abbastanza rapidamente lo misero in produzione". Brad Pitt era già coinvolto all'epoca, ma mancava un attore per Lestat. Il regista, per via delle regole del sindacato degli sceneggiatori, non ottenne il credito per la sceneggiatura, ma fu comunque in grado di reintrodurre quegli elementi del libro di Anne che in qualche modo erano stati tralasciati. Principalmente avevano a che fare con l'erotismo, con il meraviglioso aspetto di Claudia (una giovanissima Kirsten Dunst) e con il tentativo di questi due uomini, impegnati in questa relazione eterna, di costruirsi una famiglia. C'era poi l'idea più ampia di trasformare quello che era un film sui vampiri in un'epopea.
Il rifiuto di Daniel Day-Lewis
Per il ruolo del vampiro Lestat, lo studio aveva già preso in esame un attore che oggi è leggenda e che negli anni novanta... era già una leggenda: Daniel Day-Lewis. Neil Jordan era sicuro del fatto che la star non avrebbe mai accettato di prendere parte a un film di vampiri ma fece comunque un tentativo. Che si rivelò, come preventivato, fallimentare.
Anne Rice premeva per coinvolgere interpreti come Rutger Hauer o Jeremy Irons, ma alla fine venne seguito un normale processo di casting. Quando venne suggerito il nome di Tom Cruise, il regista lo incontrò in un paio di occasioni realizzando che avrebbe potuto tirare fuori qualcosa di davvero interessante da lui. Il fatto che fosse, già in quegli anni, la più grande star in circolazione non guastava di certo.
Tutte le volte che Daniel Day-Lewis ha abbandonato la recitazione
Dalle produzioni indipendenti al budget del film di una major
Racconta Neil Jordan che nonostante la marcia trionfale de La moglie del soldato, non era riuscito ad afferrare appieno il grado d'influenza che poteva o non poteva avere su una major come la Warner. Fece però presente a Geffen che per sua indole tendeva a rendere meglio in un contesto indipendente e il produttore riuscì in maniera effettiva a tenere lo studio alla larga. "Finimmo per realizzare un film molto personale con un budget consistente e due grandi star" spiega il regista aggiungendo che "c'era un elemento operistico nel romanzo, e mi ricordai del Dracula di Bram Stoker di Francis Coppola, che aveva ampliato il linguaggio visivo di un film sui vampiri".
L'iniziale opposizione di Anne Rice verso Tom Cruise
È storia ben nota che Anne Rice non fosse particolarmente entusiasta della scelta di Tom Cruise. Che all'epoca sarà anche stata la più grande star in circolazione ma non aveva niente di niente di quelle che erano le tipiche caratteristiche fisiche di Lestat. Nel romanzo viene descritto come alto, snello, con i capelli biondi. Tre peculiarità che il protagonista di Top Gun di certo non possedeva.
L'intuizione del casting di Tom Cruise si basava tutta sul fatto che Neil Jordan vedeva dei forti parallelismi su come un attore come lui dovesse condurre un'esistenza quasi "vampiresca" evitando le folle, la pubblicità eccessiva e dovendo alimentare e conservare un certo alone di mistero. Tutto questo aveva portato il filmmaker a credere che Cruise sarebbe stato un ottimo Lestat e così è stato. Tanto che pure Anne Rice cambiò idea dopo aver visto la sua performance.
Il montaggio iniziale d'Intervista col vampiro era più lungo di venti minuti
Secondo la cronaca del periodo, il montaggio iniziale era circa 20 minuti più lungo rispetto a quello proposto nei cinema. Neil Jordan ha confermato che, effettivamente, è andata proprio così: "Avevamo una versione più lunga, dove Brad andava a confessarsi e il prete, inorridito, si ritirava verso l'altare e Brad lo dissanguava sotto un'enorme croce in stile Dali. Mi è dispiaciuto non vedere quella scena inclusa". Il regista non sa se ci siano gli estremi commerciali per la lavorazione e la distribuzione home video di una Director's cut (alla quale lavorerebbe volentieri), ma, riflettendo sulla sua decisione dell'epoca, ribadisce che si è trattato di una mossa adottata in maniera razionale dopo aver constatato che Intervista col vampiro era davvero troppo lungo, anche grazie a delle anteprime in presenza di pubblico.
Il testo alla base aveva infatti un "problema" difficilmente superabile in fase di adattamento cinematografico ovvero la narrazione picaresca basata su un continuo susseguirsi d'eventi che non necessitavano una vera e propria risoluzione classica con il terzo atto. Il botteghino diede completamente ragione tanto a Neil Jordan, allo scudo protettivo nei suoi confronti da parte di David Geffen, alle scelte di casting e di montaggio.
Il budget di 60 milioni di dollari venne ampiamente recuperato con un botteghino globale di 223,7 milioni di dollari (le cifre riportate non sono aggiustate all'inflazione). E proprio come il Dracula di Francis Ford Coppola, anche Intervista col vampiro divenne un classico anni Novanta dei film dedicati ai "figli della notte".