Un cognome importante, di quelli che pesano, a portarli addosso: De Sica. Un'età in cui sei ancora un ragazzo, ma cominci a fare sul serio: trentasette anni compiuti ieri. Andrea De Sica sembra portarlo con serenità, quel cognome. Ha scelto di fare lo stesso mestiere del nonno Vittorio, di stare nello stesso mondo del padre Manuel, dello zio Christian, del cugino Brando. Ha diretto un primo film, I figli della notte, presentato al Torino film festival. E ha incontrato il primo successo dirigendo una serie tv che non ha mancato di sollevare polemiche. Baby racconta il lato oscuro dell'alta borghesia romana: quelli che tutti chiamano "i pariolini".
In Baby, ispirato alle cronache sulle "baby squillo" della Roma bene, lui quei pariolini li ha raccontati. La serie ha debuttato su Netflix il 30 novembre 2018. Adesso, è già in cantiere la seconda stagione.
Anche per questo, Andrea è stato premiato al festival "Capri, Hollywood", che si chiude stasera dopo aver portato sull'isola personaggi come Nick Nolte, Jonathan Pryce, Terry Gilliam, Matteo Garrone, Mario Martone, Marcello Fonte e molti altri ancora. Lo intervistiamo per chiedergli della seconda serie di Baby, e della sua vita vissuta tutta nel segno del cinema.
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Già, il cinema. Non ha fatto in tempo a conoscere suo nonno Vittorio De Sica: ma di registi e attori ne passavano tanti da casa vostra, immagino...
Quando ero bambino, per me era normale vedere a casa Francis Ford Coppola, o Robert Altman, o Bernardo Bertolucci. Venivano a parlare con mio padre Manuel a proposito dei film che stavano facendo insieme. Grazie a queste 'frequentazioni', a vent'anni ho trovato il coraggio per chiedere a Bernardo Bertolucci di fargli da assistente volontario sul set.
E lo fece?
Sì: fu il mio battesimo di cinema, sul set di The Dreamers. Stavo studiando filosofia; poi ho deciso di tentare con il Centro sperimentale. Mi sono diplomato, e per anni ho pensato al primo film, 'I figli della notte'. L'ho montato e rimontato nella mia testa, l'ho partorito con grande lentezza.
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Baby è stato qualcosa di diverso, immagino.
Tutto il contrario! Sono stato coinvolto nel progetto come regista, e dalla chiamata alle riprese, al montaggio, si è svolto tutto in pochi mesi. Un grande sprint, che mi ha dato molta energia, molto entusiasmo. Ho lavorato con persone giovanissime come sceneggiatori, e con ragazzi e ragazze alle prime esperienze, come attori. Questo ci ha uniti, e ci ha dato la voglia di fare qualcosa di buono.
La seconda stagione è una certezza: si farà?
Sì, si farà. Che cosa ci sarà di diverso, rispetto alla prima? Diciamo che nella prima stagione abbiamo scaldato i motori: nella seconda si fa sul serio. Lo squarcio sul mondo dell'adolescenza diventa davvero interessante. E si parla di eventi drammatici, forti. Non posso dire di più, Netflix mi sorveglia anche mentre dormo...
Come racconta la nuova generazione dei "pariolini"?
Con empatia. Senza tutti quei pregiudizi che caratterizzano il nostro modo di pensarli, di immaginarli, di viverli. Mi sono immerso nella quotidianità di molti di loro, ho parlato con alcuni di quei ragazzi per restituire la loro verità.
Il cast rimane lo stesso?
Sì, con alcuni innesti. Ci saranno Benedetta Porcaroli, Alice Pagani, Riccardo Mandorlini. La sceneggiatura è firmata dai ragazzi del collettivo di scrittori Grams, con Isabella Aguilar, Giacomo Durzi e una collaborazione mia.
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In che modo si entra dentro quel mondo, dentro quella società?
Per un breve periodo della mia vita, sono stato 'pariolino' anche io. E dopo un film come I figli della notte, girato praticamente in mezzo al nulla, in una foresta, girare Baby è stato tornare a casa, fare i conti con la mia adolescenza. E poi mi piaceva l'idea di fare un noir romano.
Quale era la sfida, per voi?
Raccontare quei ragazzi senza giudicarli. Con lo stesso rispetto con cui si raccontano i ragazzi delle periferie. Il mio lavoro era anche esplorare le loro psicologie e farle, in qualche modo, esplodere.
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Un Gomorra dei Parioli?
Se vuoi, in un certo senso sì.
Che tipo di reazioni ha trovato fra gli spettatori?
La cosa più bella è che i ragazzini che prima guardavano soltanto le serie americane, adesso hanno trovato una loro serie, che parla di loro con la loro lingua, con i loro riti, e si rivedono.
Le faceva paura fare il regista, con il cognome che porta?
In realtà ho pensato che mio nonno è stato grandissimo come cantore della dignità umana. Sapeva dare dignità a ogni personaggio che descriveva. E ho cercato di imparare la sua lezione.
È un appassionato dei film del nonno?
I suoi film da regista direi di conoscerli tutti: ho più lacune rispetto al Vittorio De Sica attore, a quel meraviglioso attor giovane degli anni '30 nei film di Camerini....
Suo zio Christian che cosa le dice?
Qualche volta mi dice bravo! Abbiamo anche lavorato insieme una volta, in un cortometraggio. Spero di trovare la mia strada, e di conquistarmi un rapporto alla pari con lui.