Negli ultimi anni abbiamo imparato ad apprezzarne l'insolita verve comica in compagnia dell'irriverente orsetto Ted, dopo aver sfiorato l'Oscar nel 2007 per The Departed - Il bene e il male come migliore attore non protagonista e nel 2011 per The Fighter (nel doppio ruolo di attore non protagonista e produttore). Di recente la sua sempre più intensa attività di producer ci ha regalato alcuni grandi successi come Prisoners di Denis Villeneuve e la serie Entourage. Oggi Mark Wahlberg torna ancora una volta nella doppia veste di attore (nei panni del protagonista Mike Williams) e produttore con Deepwater - Inferno sull'oceano di Peter Berg, che lo aveva già diretto in Lone Survivor e con il quale ha appena terminato le riprese di Patriots Day.
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Il film ricostruisce con i toni del disaster movie uno dei più gravi disastri ecologici dei nostri tempi: quello della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, avvenuto il nell'aprile del 2010 nel Golfo del Messico a largo della Louisiana, quando un'esplosione provocò il collasso della struttura con 11 vittime e lo sversamento in mare di oltre cinquantamila barili di petrolio. È la storia di quegli uomini e quelle donne, 126 lavoratori che il giorno dell'incidente si trovavano a bordo della Deepwater, "gente ordinaria, eroi della porta accanto" li definisce Wahlberg, che ci racconta degli immensi sforzi produttivi, della difficoltà di aver dovuto lavorare per settimane a contatto con il fuoco e l'acciaio rovente e delle pressioni ricevute. "Ho provato a contattare tramite un amico in comune a Londra i vertici della British Petroleum, ma non ci hanno dato nessun tipo di supporto, non ci hanno neanche fatto salire su una piattaforma", spiega alla presentazione romana del film.
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Il dramma umano
L'idea di un disaster movie sulle cause e le dinamiche dell'incidente, invece di un film sulle conseguenze ecologiche del disastro, era presente fin dall'inizio del progetto?
Sì, la sceneggiatura mi era arrivata già pronta anche se dopo aver avuto la possibilità di conoscere uno dei veri protagonisti, Mike Williams, abbiamo apportato delle modifiche per avere un racconto più diretto e dall'interno di quello che era successo. Gli studios volevano realizzare un film che affrontasse un altro aspetto della vicenda perché la stampa si era occupata esclusivamente della parte ambientale e del disastro ecologico: volevamo raccontare la storia dal punto di vista di quegli uomini e quelle donne coraggiose che l'avevano vissuta direttamente sulla propria pelle.
Il cameratismo che unisce i vari personaggi, i lavoratori della Deepwater, fa pensare quasi a un film di guerra...
Tutte queste persone fanno un lavoro estremamente pericoloso, che si presume non debba mai sfociare in un disastro del genere. Subito dopo l'incidente la loro reazione è stata quella di unirsi e salvarsi a vicenda, provando a fare qualsiasi cosa fosse necessaria a bloccare la fuoriuscita. Ogni volta che chiamavamo Mike un eroe, si arrabbiava: si sente a disagio a essere definito così, perché ritiene di aver fatto semplicemente il suo lavoro, ciò che chiunque altro avrebbe fatto nella sua posizione. Quello che è successo fa parte di quella gente e rimane fonte di grandissima ispirazione.
Il film sembra funzionare soprattutto per la capacità di bilanciare l'aspetto umano e quello spettacolare, un po' come succedeva nei disaster movie degli anni '70, prima dei grandi blockbuster. Da produttore ha una ricetta per un buon disaster movie?
La cosa fondamentale per noi era focalizzarsi sui personaggi e sul loro sviluppo. Per fortuna gli studios sono stati molto aperti e ci hanno consentito di realizzare ciò che volevamo: un prodotto di qualità che fosse il riflesso di quelle persone, così più le conosci e più fai il tifo per loro e speri che alla fine sopravvivano. Deepwater non è un film d'azione puro: volevamo che ci fosse grande azione ed effetti speciali, ma l' aspetto umano era ugualmente importante.
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Un destino ineluttabile?
Nella prima parte del film si indugia su alcune scene che mostrano 'le meraviglie tecnologiche' di queste piattaforme: quelle in cui si fa rifornimento o quelle che mostrano i motori in movimento. Quasi a voler dire che ciò che accadrà dopo è ineluttabilmente legato a ciò che avviene in quei momenti: mettere in conto dei rischi per ottenere quei consumi. Cosa ne pensa?
È il rischio che si corre per poter utilizzare queste risorse che fanno girare il mondo, almeno fino a che non si riusciranno a trovare nuovi sistemi per produrre energia. Tutto ciò che vedete nel film è realmente accaduto: la scena del gabbiano, l'elicottero, i segnali premonitori, la cravatta color magenta. Probabilmente in molte altre occasioni sono state prese delle scorciatoie come in questo caso, ma la sorte ha voluto che tutto andasse bene e che non succedesse nulla.
Credo che questo genere di cose sia imprevedibile e non puoi impedire al 100% che si verifichino incidenti simili, a meno che non si mettano in atto tutte le necessarie misure di sicurezza. Nessuno sulla Deepwater pensava si sarebbe verificato lo scenario peggiore e dopo il disastro le norme da applicare sono diventate più rigide.
Le sfide sul set
Quante settimane ha recitato vicino al fuoco?
Troppe! Abbiamo girato di notte in mezzo al fuoco e all'acciaio rovente ed è stato molto pesante, perché eravamo in piena estate e in quel periodo in Louisiana fa caldissimo. La cosa peggiore è quando ti danno fuoco, preferiresti non farlo ma è necessario se vuoi rendere tutto il più reale possibile. Devi solo avere totale fiducia nelle persone con cui lavori, in questo caso i responsabili degli effetti speciali, e augurarti che sappiano fare il proprio lavoro!
Che tipo di relazione ha avuto con il vero protagonista di questa vicenda, Mike Williams?
Devo tutto a Mike, perché mi ha insegnato tanto. Non ho avuto modo di accedere a una vera piattaforma, perciò è stato lui a spiegarmi tutto ciò che era necessario sapere su questo mestiere e mi ha accompagnato in un centro di formazione per le perforazioni petrolifere. Mi sono guadagnato la sua fiducia lentamente, così una volta capite le nostre intenzioni e quanto volessi rendere omaggio ai sopravvissuti e ai morti di quel disastro, si è aperto e ci ha dato tutto. Io e Mike abbiamo molte cose in comune: siamo entrambi padri e mariti, abituati a impegnarci duramente nel lavoro per dare una vita migliore alle nostre famiglie. Credo che per lui sia stata anche un'esperienza terapeutica perché gli ha alleggerito il senso di colpa che ha sulle spalle per essere riuscito a sopravvivere, mentre altri non ce l'hanno fatta. L'ho visto sorridere e questo per me è stato gratificante.