Non andartene docile in quella buona notte. Infuriati, infuriati contro il morire della luce.
Sono i versi di Dylan Thomas, pronunciati dall'anziano professor Brand (Michael Caine) con l'intensità ieratica di una preghiera, ad accompagnare il viaggio dell'astronauta Cooper (Matthew McConaughey) e della giovane Amelia (Anne Hathaway) alla ricerca di un nuovo orizzonte in grado di accogliere un'umanità al tramonto. Progettato per anni, con una scrupolosa attenzione ai dettagli e una dedizione incrollabile, Interstellar, al suo esordio nelle sale di tutto il mondo come l'autentico evento cinematografico dell'autunno 2014, rappresenta per Christopher Nolan il "film della vita".
"Ho sempre creduto che se si vuole davvero provare a realizzare un grande film, non un buon film, ma un grande film, è necessario assumersi molti rischi". E la dichiarazione d'intenti del regista britannico, nato a Londra nel 1970, non potrebbe corrispondere maggiormente all'esito prodotto con Interstellar: un'opera dalle smisurate ambizioni (fin dal titolo), che da una parte sembra guardare ai sempiterni modelli di fantascienza epica e filosofica offerti da Stanley Kubrick, Andrei Tarkovsky e Steven Spielberg, ma allo stesso tempo si lancia verso direzioni che ci riportano immediatamente a Nolan e alla sua peculiarissima concezione del cinema.
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Film straordinario, proprio in virtù del desiderio di regalare al pubblico uno sci-fi pionieristico che unisse l'estremo fascino visivo ad una complessa riflessione sulla natura umana, Interstellar difatti racchiude in sé la maggior parte degli elementi topici dell'itinerario artistico di Christopher Nolan: un itinerario che abbraccia un piccolo film indipendente in bianco e nero come Following, lungometraggio di debutto del 1998 in 16 mm, costato appena tremila sterline, e blockbuster da centocinquanta o duecento milioni di dollari. Eppure, per Nolan tali budget colossali non sono il viatico per un'esibizione di magniloquenza, bensì gli strumenti per concretizzare quanto più efficacemente possibile una visione ben precisa, che sottende un sistema di pensiero altrettanto compiuto e coerente. A questo proposito, l'uscita di Interstellar fornisce l'occasione per volgere lo sguardo alle precedenti pellicole di Nolan seguendo una serie di "percorsi tematici", ovvero quattro temi chiave al cuore della filmografia del cineasta inglese...
La percezione del reale, fra memoria e illusione
"Ora, voi state cercando il segreto ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati". È ancora Michael Caine, in questo caso nei panni dell'ingénieur John Cutter, ad illustrare il meccanismo in tre atti del "prestigio", con un discorso squisitamente metacinematografico - dal momento che allude in maniera implicita alla struttura stessa della pellicola - in The Prestige, del 2006. E tutto il cinema di Nolan, fin dal succitato esordio con Following, si articola non a caso attorno a un fil rouge che ritorna puntualmente da un film all'altro: la realtà come il frutto della percezione di ogni singolo individuo, e soggetta pertanto a possibilità di distorsioni o di ribaltamenti. Per tale ragione in un microcosmo filmico in cui non esistono solidi punti di riferimento, se non quelli che i protagonisti scelgono a proprio rischio e pericolo, la fruizione della realtà viene spesso deviata verso percezioni errate, prestando il fianco ad inganni architettati ad arte: proprio come in un gioco di prestigio, per l'appunto. Bill (Jeremy Theobald), il protagonista di Following, il quale dichiara di essere uno scrittore (quindi un "creatore di storie"), viene irretito e poi raggirato dal ladro di appartamenti Cobb (Alex Haw). In Memento, cult movie del 2000 basato sul racconto Memento Mori di Jonathan Nolan, fratello e fedele collaboratore di Christopher, Leonard Shelby (Guy Pearce) si trova addirittura ad essere privato di ogni appiglio ad una verità oggettiva, che non siano gli appunti, le fotografie e perfino i tatuaggi da lui stesso utilizzati come memento, non potendo contare nemmeno sulla propria memoria (e pure in questo caso, la presunta vendetta perseguita da Leonard si rivelerà un tragico imbroglio).
Un'applicazione concreta delle regole del "prestigio", ovvero l'inganno elevato a forma d'intrattenimento per condurre in errore lo sguardo del pubblico (e quindi anche quello degli spettatori del film medesimo), è proposta in The Prestige con una superba padronanza del racconto, laddove la logorante rivalità fra i due "maghi" Robert Angier (Hugh Jackman) e Alfred Borden (Christian Bale) dà vita ad un affascinante gioco di specchi tutto basato sul coup de théâtre come elemento narrativo primario, nonché come mezzo di sopraffazione dell'avversario, fino ad un patto faustiano che porterà ad un tragico epilogo. In Interstellar, invece, non vi è propriamente un inganno (benché il professor Brand nasconda alcune informazioni essenziali a sua figlia Amelia e a Cooper). Tuttavia, pure nel nuovo film di Nolan la 'soluzione' della trama è legata inesorabilmente alla capacità di Cooper e di sua figlia Murph (Jessica Chastain) di decrittare un codice fondato sulla violazione dei principi di gravità, come segnali inviati da un'entità misteriosa; le sorti dell'umanità, pertanto, dipendono da un'interpretazione della realtà, o delle molte realtà possibili (senza svelare il colpo di scena finale). I dilemmi di carattere gnoseologico, nonché il fallimento di un'epistemologia che non tenga conto dell'ineluttabile relativismo di ogni punto di vista sul mondo, sono dunque aspetti dai quali non si può prescindere nell'accostarsi alla filmografia di Nolan: come dimostra, complicandoli ulteriormente, anche un altro formidabile labirinto di realtà virtuali quale Inception, di cui parleremo più nel dettaglio...
Il tempo, lo spazio, il sogno: la creazione di nuovi mondi
Strepitoso fenomeno cinematografico del 2010, ricompensato con quattro premi Oscar, e primo cimento di Christopher Nolan nel genere fantascientifico, Inception non si limita a porre in evidenza il relativismo di una realtà che non può essere davvero compresa - e controllata - fino in fondo, ma si spinge ben oltre: frantuma la realtà stessa per proiettare il racconto su almeno cinque piani narrativi distinti, che corrispondono ai "sogni dentro il sogno" architettati ad arte dal protagonista Dom Cobb (Leonardo DiCaprio) e dalla sua squadra di "estrattori" di segreti dalle menti degli individui. Rielaborando le convenzioni della fantascienza e amalgamandole con quelle del thriller, dell'action movie e del noir, con tanto di apparizioni di una sinistra "donna fantasma", la femme fatale Mal (Marion Cotillard), Nolan utilizza pertanto la dimensione onirica come teatro sul quale plasmare mondi sempre nuovi: realtà virtuali tanto stupefacenti in senso spettacolare, quanto gravide di suggestioni e di ossessioni (gli spettri personali di Dom, tormentato dal simulacro della moglie defunta). Cinema allo stato puro, insomma, che a livello narratologico si esprime mediante una mise en abîme eletta a strumento di mitopoiesi, in grado di sprigionare tutto il potere immaginifico di questa forma d'arte.
Se in Inception la creazione di mondi inediti si sviluppa sul piano del sogno, in alcuni tra i suoi film precedenti Nolan applicava gli stessi principi alla struttura cronologica, che diventava il vero e proprio terreno per la costruzione del racconto. The Prestige, a tal proposito, non segue una narrazione lineare, ma è caratterizzato da un impianto assai meno scontato, in cui passato e presente si sovrappongono in un "sistema ad incastri" che rende l'intreccio assai più denso e coinvolgente (senza contare le varie anticipazioni ed allusioni ad eventi futuri). Come il tempo possa rivelarsi un veicolo narrativo appariva assolutamente palese nel succitato Memento, in cui per paradosso l'intera fabula viene dipanata "al contrario", retrocedendo dal presente al passato allo scopo di far luce su una memoria inghiottita dall'oblio in cui è immerso il protagonista. Ed è ancora il tempo a scandire gli eventi e le avventure di Interstellar: un tempo, ovviamente, tutt'altro che lineare, ma anzi piegato alle leggi della relatività. E così, ad esempio, su un pianeta sommerso da sconfinate distese oceaniche, il trascorrere di un'ora può equivalere a sette anni di vita terrestre. Lo spazio e il tempo sono le coordinate sulle quali Cooper e gli altri personaggi viaggiano per attraversare le galassie ed esplorare pianeti sconosciuti, consapevoli che il concetto di continuum spazio-temporale non è affatto immutabile, ma può variare in base alle regole dell'universo... fino ad aprire squarci che conducono ad altre dimensioni, quasi inconcepibili per la mente umana.
Eroi (ed antieroi) tra sacrificio e redenzione
Il cinema di Christopher Nolan, fin dagli esordi, è pervaso da un altissimo senso etico: i suoi personaggi, eroi tutt'altro che perfetti (e spesso anzi in preda ad insicurezze e rimorsi), avvertono incessantemente il peso di una morale con la quale sono costretti a confrontarsi durante tutto il loro percorso. Il nucleo del dilemma che attanaglia Cooper in Interstellar, del resto, è identificabile nella scissione fra una morale legata al suo ruolo di padre, che gli richiede di sostenere e proteggere la propria famiglia, e una morale relativa alla collettività più ampia che esista: l'umanità intera, il cui destino dipende dall'esito del viaggio di Cooper. L'accettazione di questa responsabilità comporterà l'inevitabile sacrificio dei propri affetti e la (temporanea?) rinuncia alla funzione paterna: una decisione che, per quanto necessaria, continuerà a tormentare Cooper nel corso della sua avventura intergalattica. Una parabola, quella appena descritta, che lo accomuna all'altro grande eroe del cinema di Nolan: Batman, suprema icona dell'immaginario supereroistico, attorno alla quale il regista inglese ha costruito, fra il 2005 e il 2012, la magistrale trilogia del Cavaliere Oscuro. Impersonato da Christian Bale, Bruce Wayne è l'individuo che, dopo essere rimasto vittima di una violenza che lo ha privato dei suoi affetti più cari, sceglie con lucidissima consapevolezza di sacrificare la propria "normalità", insieme alla prospettiva di una felicità personale, per indossare le vesti - più precisamente, la maschera e il mantello - di difensore di Gotham City.
Ma il sacrificio di Bruce Wayne / Batman si spinge addirittura oltre: ne Il cavaliere oscuro, capolavoro del 2008 che rimane il vertice ineguagliato della filmografia nolaniana, ad essere immolata sull'altare del "bene comune" è la figura stessa dell'eroe, condannato ad assumere la funzione di "capro espiatorio". Una dolorosa necessità suggellata dalle parole del commissario James Gordon (Gary Oldman): "Batman è l'eroe che Gotham merita, ma non quello di cui ha bisogno adesso. E quindi gli daremo la caccia. Perché lui può sopportarlo. Perché lui non è un eroe. È un guardiano silenzioso che vigila su Gotham. Un Cavaliere Oscuro". Il sacrificio si tramuta dunque in una forma di espiazione, ricollegandosi pertanto all'aspetto che contraddistingue altri protagonisti del cinema di Nolan: la ricerca della redenzione. Sacrificherà la sua vita, come estrema forma di redenzione, il detective corrotto Will Dormer, interpretato da un magnifico Al Pacino in Insomnia, thriller del 2002 dagli echi dürrenmattiani; e pochi istanti prima di addormentarsi per sempre, Dormer intimerà alla sua giovane collega Ellie Burr (Hilary Swank) di "Non smarrire la strada". Ma da questo punto di vista, il film più emblematico è senz'altro Memento: l'intera narrazione, nel finale a sorpresa della pellicola, si rivelerà essere nient'altro che la redenzione impossibile ed 'eterna' (come eterna è la pena inflitta in un girone dell'Inferno dantesco) di un uomo responsabile di aver ucciso la moglie. Il senso di colpa per aver provocato la morte della donna amata affligge in Inception anche Dom Cobb, colpevole di aver innestato nel subconscio della moglie Mal l'idea del suicidio, e perseguitato ora dallo spettro della donna, con la quale continua ad interagire nei suoi mondi onirici, nel vano tentativo di mettere a tacere un bruciante rimorso.
L'amore ci salverà: l'umanesimo nel cinema di Nolan
È sorprendente che ad un cineasta quale Christopher Nolan sia stata spesso imputata una presunta freddezza; e se è pur vero che nel suo stile e nel suo approccio alla materia narrativa si può riscontare una costante solennità drammatica, analizzando l'opera di Nolan è impossibile non cogliere altresì un'intensa partecipazione rispetto ai suoi personaggi. Tutt'altro che freddo o distaccato, Nolan è al contrario abilissimo nel generare una grande empatia verso i protagonisti dei suoi film: un'empatia direttamente collegata ad un profondo sentimento di fiducia nei confronti dell'umanità, pur con tutti i suoi errori ed i suoi limiti. E se a figure come il detective Dormer o Dom Cobb è concesso un riscatto conclusivo in grado di mondarli delle loro colpe, l'umanesimo nolaniano è la filosofia che emerge con maggior forza dalla trilogia di Batman. In Batman Begins, la volontà di preservare l'esistenza di Gotham City è il baluardo eretto dall'Uomo Pipistrello contro il nichilismo distruttivo della Setta delle Ombre. Ne Il cavaliere oscuro, il conflitto fra queste due opposte visioni trova la sua emblematica personificazione nello sfibrante duello fra Batman e il Joker, meravigliosamente impersonato da Heath Ledger: un alfiere del Caos il quale agisce facendo leva sugli istinti più brutali e selvaggi dell'individuo. L'apice di tale conflitto viene raggiunto nella macrosequenza in cui gli abitanti di Gotham, distribuiti a bordo di due navi, sono posti di fronte a un bivio fra la loro sopravvivenza (al costo della morte dei passeggeri dell'altra nave) e l'annientamento: in questa occasione, Nolan rimarca l'incrollabile convinzione che, nonostante tutto, siano la giustizia ed il senso di solidarietà ad albergare nell'animo degli esseri umani, e che pertanto essi meritino di essere salvati.
L'amor che move il sole e l'altre stelle.
Ed è allo scopo di salvare la specie dal rischio dell'estinzione che, in Interstellar, Cooper si inoltra negli abissi siderali di galassie sconosciute, lasciandosi alle spalle un mondo in procinto di essere inghiottito nella spirale autodistruttiva di un sistema ecologico ormai irrimediabilmente compromesso (per colpa dell'umanità stessa?). Mentre si sforzano di decidere quale pianeta diventerà la meta della loro esplorazione, alle argomentazioni 'scientifiche' di Cooper la sua compagna di viaggio Amelia ribatte: "L'amore è l'unica cosa che trascende il tempo e lo spazio". Può apparire un principio semplicistico, magari addirittura naif, eppure Interstellar è proprio questo: un'apologia dell'amore come forza primaria, come componente ineludibile della nostra condizione umana e come motore di quell'istinto di sopravvivenza il quale, nella situazione più disperata, permetterà a Cooper di instaurare con la figlia Murph una connessione che trascende perfino le leggi delle tre dimensioni a noi conosciute. Il nucleo emotivo del film più personale e forse più sentito di Nolan è rappresentato proprio dal legame fra un padre e una figlia; come dichiarato dal regista, "La grande tristezza di dire addio alle persone è un'immensa espressione dell'amore che si prova per loro". E l'addio di Cooper, il quale tuttavia non perde la speranza di poter riabbracciare ancora una volta sua figlia, costituisce la più alta ed insuperabile forma d'amore... quell'amore che, nell'ottica del cinema di Nolan, salverà il mondo intero.