Parliamoci chiaro fin da subito: una lievissima punta di preoccupazione post Toy Story 3 l'avevamo provata. Non eravamo impazziti per Cars 2, avevamo perplessità sulla seconda parte di Ribelle - The Brave, avevamo storto il naso al cospetto dell'ennesimo seguito Monsters University, pur apprezzandone l'approccio al concetto di sequel. Ma mancava quel passo in più, quell'approccio che aveva reso capolavori Alla ricerca di Nemo, Monsters & Co., WALL·E e Ratatouille, senza dimenticare i primi folgoranti, toccanti, incredibili minuti di Up.
Sin dalle prime immagini divulgate di Inside Out, però, avevamo avuto l'impressione di un ritorno ai fasti del passato. Ci era sembrato di veder brillare nuovamente la scintilla creativa che aveva permesso alla Pixar di distanziare tutta la concorrenza diretta. Con alla guida il Pete Docter di Up, lo studio di Lasseter ci prometteva di condurci in un luogo misterioso che tutti abbiamo dentro di noi, la nostra mente, facendoci trovare faccia a faccia con la personalizzazione delle nostre emozioni basilari. Sarà riuscita nell'impresa?
Capolavoro annunciato?
Quando tante aspettative si creano attorno a un progetto, c'è sempre il rischio che restino deluse, che lo sguardo dello spettatore punti troppo in alto mancando il bersaglio e perdendo di vista il valore reale. Non è questo il caso. E ce ne accorgiamo sin dalle primissime sequenze, accolte con rumoroso entusiasmo dalla stampa presente a Cannes 2015 dove il film è stato presentato fuori concorso in anteprima (un importante ritorno al festival francese dopo averne aperto l'edizione 2009 con Up). E non potrebbe essere altrimenti nel vedere in azione le cinque emozioni della piccola Riley, guidate dall'esuberante Gioia ed impegnate a gestire le reazioni della ragazzina a tutto ciò che la circonda. Emozioni che si trovano a dover gestire una situazione d'emergenza, forse il peggio che possa capitare ad una ragazzina che si avvicina all'adolescenza, mettendo a rischio quei punti saldi, scuotendo alle fondamenta le sue isole della personalità e mettendo in subbuglio le sicurezza precostituite: un trasloco, dal Minnesota ad un mondo diverso come può essere San Francisco in California.
Il mondo della mente
Poco più su abbiamo parlato di luogo nel far riferimento alla mente, background di gran parte dell'azione che si sviluppa in Inside Out e non abbiamo usato questo termine a caso, perché si tratta a tutti gli effetti di un luogo vero e proprio, con diverse aree, la sua fauna e la sua flora (perché non possiamo dimenticare l'irrinunciabile foresta di patatine fritte della Terra dell'immaginazione). Le cinque emozioni che già abbiamo visto e incontrato nelle immagini promozionali, Gioia, Tristezza, Disgusto, Rabbia e Paura ne sono i principali protagonisti e gestiscono il tutto dal loro Quartier generale, definendo lo stato d'animo e le reazioni di Riley (come di ognuno di noi) e decretando la sensazione (e, visivamente, il colore) di ogni ricordo che viene immagazzinato.
Prima del traumatico trasloco, è il giallo della Gioia a dominare i ricordi, sia quelli chiave che tutti gli altri, di Riley, ma le cose sono destinate a cambiare ed i cinque protagonisti emotivi di Inside Out dovranno fare i salti mortali per gestire la situazione, in una storia che si dipana esplosiva e pirotecnica in tutti i recessi della mente, nell'archivio della memoria a lungo termine, negli abissi del subconscio dove albergano le paure recondite, nella vivacità della Terra dell'immaginazione. Un mondo che ha il sapore del parco tematico, con le sue tante aree ed i suoi tanti abitanti che fanno da contorno ai protagonisti, sui quali citiamo l'entusiasta amico immaginario di Riley, Bing Bong, e gli spazzini che si occupano di portar via i ricordi inutilizzati, ma anche il treno dei pensieri che si intravedeva già in una delle prime clip.
Le emozioni guidano la storia
C'è un momento in Inside Out, dopo gli esplosivi venti minuti iniziali, in cui per un attimo si teme che la genialità del film ci si possa fermare all'idea iniziale e la prima presentazione dei personaggi, ma non è così: il nuovo lavoro di Docter prosegue agile, senza perdere colpi, catapultandoci da una situazione all'altra come su montagne russe di emozioni che ci sballottano dalle risate alle lacrime senza soluzione di continuità, mentre scopriamo di più delle cinque emozioni che governano Riley (ma anche ognuno di noi, come vediamo fin da subito con i flash nella mente dei due genitori della ragazza e nel meraviglioso inserto che accompagna i titoli di coda).
Un'attenzione per la storia e i suoi dettagli, fin nei suoi personaggi secondari, da sempre caratteristica Pixar, che qui torna con prepotenza facendo passare in secondo piano il pur eccellente comparto tecnico: a differenza di altri casi passati, infatti, non c'è niente di rivoluzionario che salta all'occhio nella impeccabile messa in scena. Forse perché si è troppo concentrati sull'aspetto narrativo per far caso ai miracoli tecnologici, forse perché semplicemente è la stessa Pixar ad aver volontariamente spostato maggiormente l'attenzione su storia, personaggi e, soprattutto, emozioni.
Il cinema ha bisogno della Pixar.
Non solo idee
Il cinema, e l'arte dell'intrattenimento in generale, non di rado ci mostra grandi idee non sviluppate come meriterebbero. Non è anomalo, tutt'altro; ci sembra piuttosto la normale conseguenza della difficoltà nel padroneggiare l'arte della narrazione con tutto ciò che comporta in termini di capacità di conquistare e coinvolgere il proprio pubblico. Maestria tecnica a parte, se c'è un aspetto specifico che rende la Pixar unica nel mondo dell'animazione contemporanea, e non solo, è proprio quell'abilità nello sviluppare le sue idee, già di per sé geniali. Una qualità che rende addirittura guardabile un titolo minore come Cars 2 e permette allo studio di Lasseter di poter sfornare sequel che non sfigurano al cospetto dei loro precursori (e tutti restiamo in attesa di Finding Dory, che arriverà nelle sale il prossimo anno). É una qualità importante, lo ripetiamo, e non merce da poco, ed è per questo ci sentiamo di affermare con sicurezza e profonda stima una grande realtà confermata anche oggi dalla entusiasmante visione di Inside Out: il cinema ha bisogno della Pixar e tutti noi non possiamo che essere gradi a Lasseter e compagni per l'impareggiabile lavoro sviluppato nel corso degli anni.
Movieplayer.it
5.0/5