Chi meglio di Jim Caviezel poteva vestire i panni di un cristiano perseguitato in Medio Oriente per via della sua fede? D'altronde era stato proprio lui a portare la croce nel noto film di Mel Gibson, ovvero quel La passione di Cristo (2004) ora in odore di resurrezione nel già annunciato sequel. Il ruolo più famoso di una carriera onesta, tra alti e bassi, e che qui si rispecchia perfettamente in questa produzione ideologicamente schierata a cominciare fin dal titolo: d'altronde ormai da tempo l'attore partecipa a convegni teologici e non si è mai sottratto a criticare proposte di legge che andrebbero contro i valori cristiani.
Infidel vede infatti due schieramenti netti, con lo spauracchio del regime iraniano e dell'estremismo islamico quali caricaturali babau di un racconto che avrebbe meritato una maggior cura a livello narrativo, al fine di approfondire le varie parti in causa e non limitarsi a una reiterazione degli stereotipi che risulta fin troppo oltranzista nelle sue dinamiche Bene versus Male.
Questione di opportunità
La storia vede per protagonista il giornalista e blogger Doug Rawlins, che non ha mai nascosto la sua profonda devozione verso la religione cristiana e anche sul web ha pubblicato decine e decine di articoli a tema. Un giorno scopre con sorpresa che un suo amico e vicino di casa è stato arrestato per sospetti legami con l'estremismo islamico e una settimana dopo si trova lui stesso a partire per il Cairo, dove terrà un convegno e parteciperà a una trasmissione televisiva. Proprio durante la diretta con il conduttore egiziano tiene un accorato discorso nel quale invita anche il popolo musulmano a seguire gli insegnamenti di Gesù Cristo: una decisione poco oculata, come scoprirà ben presto. Doug viene infatti rapito da alcuni uomini e condotto fino al confine con l'Iran, tenuto prigioniero in attesa di un processo che potrebbe costargli la condanna a morte, a meno che non ritratti la sua versione davanti alle telecamere. Nel frattempo l'uomo riesce a comunicare con la moglie, che arriva in Medio Oriente nel tentativo di ritrovarlo e condurlo a casa sano e salvo, mentre le autorità e lo stesso governo americano sembrano temporeggiare per questioni diplomatiche più o meno chiare.
I 12 migliori film su Gesù Cristo da vedere
Vero e falso
Le violenze del regime iraniano sono all'ordine del giorno e i telegiornali non fanno altro che mostrarcele: proprio per questo un approccio così superficiale da parte di Infidel risulta fuori luogo, in quanto si sarebbero potuti trovare molti altri spunti per dar vita ad un racconto ricco di sfumature. Invece qui è tutto bianco o nero, con la lotta tre le diverse fedi che si riscontra anche e soprattutto in una sceneggiatura schierata, che impedisce di entrare pienamente in comunione con la vicenda e i personaggi in essa coinvolti. "Chi è causa del suo mal pianga se stesso", mai così tanto questo modo di dire si applica alla folle scelta di Doug, che pretende di fare proselitismo in un paese straniero dove vige un'altra religione e un'altra cultura, addirittura in diretta televisiva. Peccato che a pagare per i suoi sbagli siano poi altre persone che si attivano direttamente nel tentativo di salvarlo prima che sia troppo tardi.
Una storia poco riuscita
Dietro la macchina da presa troviamo Cyrus Nowrasteh, per metà americano e per metà iraniano, che in passato si era addentrato nelle medesime ambientazioni e tematiche con il già controverso The Stoning of Soraya M. (2008) e aveva esplorato la figura biblica in The Young Messiah (2016), continuando qui nel suo approccio senza mezze misure. Tralasciando le succitate forzature di una narrazione di parte, Infidel si rivela in ogni caso debole e sfuggente anche dal punto di vista tensivo. L'ultima mezzora, con il disperato piano di fuga - a dir poco inverosimile - concede un pizzico di spazio all'azione, tra inseguimenti a piedi o su quattro ruote per le strade cittadine e una manciata di sparatorie, rivelandosi inutile e fallace (tira in mezzo anche la diffusione del coronavirus quale escamotage di ipotetico aiuto) conclusione di una pellicola concettualmente sbagliata nelle sue basi portanti.
Conclusioni
Dopo aver vestito i panni del figlio di Dio nel cult di Mel Gibson, questa volta Jim Caviezel "torna sul luogo del delitto" e veste i panni di un giornalista cristiano che viene rapito dopo aver rilasciato una dichiarazione proselitistica in diretta televisiva su un canale egiziano. Condotto in Iran e torturato al fine di estorcergli una confessione, potrà sperare soltanto nell'aiuto della determinata moglie, mentre le autorità brancolano nel buio per interessi o altri motivi. Infidel dice di essere liberamente ispirato a fatti realmente accaduti ed è dedicato ai prigionieri americani che si trovano ancora detenuti nelle carceri iraniane. Peccato che nell'ora e mezzo di visione l'approccio netto nella distinzione tra buoni e cattivi, con il cristianesimo e il mondo occidentale opposti alla religione musulmana - e anche all'ateismo e al laicismo in altri passaggi controversi - e alla società araba, risulti figlio di stereotipi e dozzinalità in serie, fino a quell'escalation action nella parte finale quale improbabile chiusura di un film inverosimile.
Perché ci piace
- Jim Caviezel si impegna in un ruolo comunque figlio di stereotipi e mal caratterizzato.
Cosa non va
- Un film apertamente schierato, che si affida a stereotipi e cliché nella netta distinzione tra le due parti in causa.
- Nell'ora e mezzo di visione la tensione è impalpabile e l'anima action della parte finale si affida a soluzioni improbabili.