Il ritorno al cinema di Indiana Jones è un evento, è come ritrovare vecchi amici che non si vedevano da tempo (e che quando c'è stato l'ultimo incontro, con Il regno del teschio di cristallo, ci avevano anche un po' delusi). Per questo le emozioni non mancano, al di là dell'effettivo apprezzamento e giudizio sul film di per sé. Per questo sentiamo che è necessario proporre punti di vista e valutazioni diversi, coinvolgendo tutti i nostri collaboratori nel tentativo di fornirvi un quadro completo di quella che è stata l'accoglienza generale per Indiana Jones e il quadrante del destino, quinto film sul personaggio di Harrison Ford, diretto questa volta da James Mangold al posto di Steven Spielberg. La nuova mano dietro la macchina da presa sarà riuscita a non far rimpiangere il celebre regista americano?
Indiana Jones e il quadrante del destino, la recensione di Valentina Ariete
[...] Personaggi come quello che Harrison Ford interpreta da 40 anni sono icone: il cappello più famoso della storia del cinema è l'essenza stessa dell'avventura. Viene dato al giovane Indiana da un contrabbandiere, lo vediamo sempre nell'Ultima Crociata, e da quel momento diventa il suo alter ego: si piega, vola, è colpito da pioggia battente. Ma non si stacca mai dal suo proprietario. In un passaggio di testimone ideale, dovremmo vedere Indy dare il suo cappello a qualcun altro, tramandando così l'avventura. [...]
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Le opinioni della redazione
L'ultima stagione di Indy (Luca Ceccotti)
Il limite più grande di Indiana Jones e il quadrante del destino è quello di dover accettare l'assenza di Steven Spielberg in regia, la sua visione dell'avventura e il modo d'inquadrare Harrison Ford, quel sesto senso cinematografico tra l'estetico e il concettuale che ha dato vita a momenti davvero memorabili nella saga, capace di nobilitare una silhouette fino a renderla immortale e di non lasciarsi mai il cappello alle spalle. Per il resto è un capitolo che fa di un'ampia riflessione sul tempo la sua arma narratologica più importante, dipingendo un Indy quasi inedito, trasformato nel fisico da demoni personali e dalla senilità ma con lo stesso spirito di allora, anche se "quelle avventure non torneranno mai più". A ogni stagione il suo film, ed è così che James Mangold fa tesoro della sua vena romantica e appassionata già vista in Walk the Line, Logan o Le Mans '66 per raccontare proprio fuori dal suo tempo un personaggio sul viale del tramonto ma pronto ancora ad offrire anima e corpo alla Storia, anche se questa sembra averlo dimenticato. Mentre tutto intorno muta e lo Spazio viene conquistato, è proprio il tempo e il modo in cui ci cambia e ci trasforma a non poter essere imbrigliato o controllato, non come si vorrebbe e poco come si dovrebbe. E l'errore è dare per scontato il presente provando a rifugiarsi nel passato, quando adesso, qui e ora ognuno può decidere chi essere, dove essere e con chi essere, a prescindere dal dolore, dalle ferite e dai rimpianti. Anche se fa male. Dappertutto. È necessario vivere il nostro tempo e le nostre stagioni senza tradirle, e a dispetto di un modo d'interpretare il cinema mainstream moderno un po' scombussolato, fortunatamente è proprio quello che fa Indiana Jones ne Il quadrante del destino.
Voto: ☆☆☆
Indiana Jones e il Quadrante del Destino e un finale che rispetta (e aspetta) i nostri ricordi
L'ultimo schiocco della vecchia frusta (Massimiliano Ciotola)
Indiana Jones è un Eroe. Il secondo più grande eroe cinematografico di tutti i tempi, secondo l'American Film Institute. Un archetipo basato sugli eroi degli anni d'oro del pulp, da Doc Savage ad Allan Quatermain, fino a predecessori illustri come il Professor Challenger di sir Arthur Conan Doyle (a sua volta basato su un personaggio realmente esistito, William Rutherford). Gli Eroi, però, hanno solo due alternative: o si cristallizzano, vivendo un eterno presente in cui la loro vita non evolve mai (non davvero, almeno). Oppure invecchiano. Indiana Jones è invecchiato. Solo, segnato da una perdita terribile, incapace di adattarsi allo strano, nuovo mondo in cui vive. Perfino il suo fascino da professore è ormai appannato. Potrebbe anche sparire così, in silenzio, sepolto dal Tempo. Ma, forse, sarebbe stato ingiusto nei suoi confronti. E quando il passato bussa alla sua porta, Indy fa quello che deve: l'eroe. Lo fa per chiudere definitivamente il conto col passato... e con noi, che l'abbiamo seguito e amato. Il quadrante del destino è il film che i fan di Indy hanno voluto e preteso, nonostante tutto. Un film con qualche momento di (gran) carisma, col ritorno di tutti i topoi delle avventure di Indy (e, intendiamoci, siamo in piena zona "fan service"... non che ci si lamenti, qui). Con qualche difetto, certo, ma non sono così importanti. Colpisce la difficile, ma probabilmente necessaria, scelta di mettere Indy di fronte non ai nazisti (tanto per quella feccia bastano un paio di cazzotti e una battuta a rimetterli in riga), ma al Tempo. Per far capire agli spettatori che il Tempo passa, e cambia tutto. Anche il Mito. Bisogna solo accettarlo (non è l'Indiana di Spielberg? Certo che non lo è. Non può più esserlo...). Con una citazione azzardata, direi che probabilmente_ Il quadrante del destino_ non è il film di Indiana Jones che avremmo voluto, ma è quello di cui avevamo bisogno. Per poter finalmente lasciar andare, con un ultimo sorriso, il nostro eroe.
Voto: ☆☆☆☆
Orfano di Spielberg (Antonio Cuomo)
Manca il padre al quinto Indiana Jones. Manca Steven Spielberg, a lui così come a noi. Indiana Jones e il quadrante del destino non è un brutto lavoro, è un più che discreto film d'avventura, ma la mancanza di quella mano così unica nel panorama cinematografico è troppo evidente per poterla ignorare: in più di una sequenza ci è venuto da pensare "questa scena in mano a Spielberg sarebbe stata incredibile", nel vedere un costruzione visiva a cui mancava quella marcia in più inimitabile e preziosa. L'abbiamo pensato, l'abbiamo accettato, l'abbiamo messo da parte per apprezzare una storia a cui non mancano spunti interessanti, per goderci il solito iconico lavoro di Harrison Ford sul personaggio, qui alle prese con sfumature nuove e una riflessione sul tempo che passa e un approccio diverso alle dinamiche consolidate del personaggio. Non è solo Ford nel portare in scena questa nuova avventura, è accompagnato da un cast di volti vecchi e nuovi, un gruppo eterogeneo in cui spiccano Mads Mikkelsen e Phoebe Waller-Bridge e che rappresenta uno dei punti di forza del nuovo film. Non mancano infatti i lati positivi in un film che ha il principale demerito di arrivare a chiudere una saga che un passato glorioso e almeno un paio di film che si possono considerare capolavori.
Voto: ☆☆☆
Non è l'avventura. Questi sono giorni passati (Maurizio Ermisino)
"Non è l'avventura, Sal. Questi sono giorni passati". In questa battuta c'è tutto il senso di Indiana Jones e il quadrante del destino. È un film che non fa mistero della senilità del protagonista, di una certa stanchezza, della voglia di chiudere con l'avventura. Un eroe stanco a fiaccato, un film che va a mille all'ora (o, almeno, vorrebbe) come i blockbuster di oggi: Indiana Jones e il quadrante del destino è un ossimoro, è una contraddizione. Sembra che tutto il film sia come certi film di James Bond, o meglio, come qualsiasi altro blockbuster di oggi (perché ultimamente anche Bond ha cambiato strategia): una sequenza di scene d'azione una dietro l'altra. Spettacolare, ma anche un po' stancante. Manca quel senso di avventura, di ignoto, di magia dei vecchi film di Indy. È vero che sono cambiati i tempi. Quarant'anni fa non si conosceva così tanto il mondo (ed eravamo bambini) da poter credere che ci fossero civiltà con costumi raccapriccianti e bizzarri come quelle di Indiana Jones e il tempio maledetto. Ma è anche vero che in quei film c'era un continuo senso di stupore, di incanto, che qui non arriva quasi mai. Siamo davanti a un film che è "fatto come" i vecchi film di Indiana Jones, ma che non lo è. Lo scarto che c'è tra questo quinto film e i primi tre di Indiana Jones è in fondo lo scarto tra il cinema di quegli anni e questo: parliamo di arte e artigianato, anche quando era fatto in formato kolossal, contro una riproduzione in serie di modelli di successo, spesso di un passato fortunato. Ma questo ultimo film ci permette di vedere per l'ultima volta un vecchio amico. E tanto basta.
Voto: ☆☆☆
Indiana Jones e il Quadrante del Destino, Harrison Ford: "Anche Indy ha paura del tempo"
Un film sulle illusioni (Jacopo Fioretti)
Indiana Jones e il quadrante del destino è un film sulle illusioni. Ma d'altronde, se fai un film nel tentativo di sedurre un tempo che ti ha spezzato il cuore, giusto illuso puoi essere. La cosa bella è che sembra rendersene conto piano piano, proprio come accadrebbe ad uno spasimante. Vi immaginate il percorso di scrittura? Kasdan entusiasta, Koepp un po' meno, Lucas e Spielberg che tolgono le spunte blu su WhatsApp per non dover rispondere ai messaggi e infine l'arrivo di James Mangold e i fratelli Butterworth, che si avvicinano alla triste conclusione di uno script che invece parte con un quarto d'ora in puro action Indiana, tradendo lo spirito di Indiana. Uno di quei tradimenti epici e straordinariamente semiotici, che spezzano e rinnovano e che ti dicono: "Nel 2023 ho la tecnologia per rifare le scene per cui vi facevate un vanto di usare gli stunt-man. Con quel piglio e quel ritmo". E infatti Harrison Ford ha 80 anni, ma è scapolo e nella prima inquadratura è addirittura a torso nudo. Il fatto che prenda una mazza da baseball per minacciare i giovani e che odi qualsiasi cosa possa ricordagli che il 1969 è l'anno dello spazio sembra solo una scusa per far entrare nella sua vita un'esponente di quella gioventù che sembra non guardarlo più con gli occhi dolci per rimetterlo invece in pista, per di più con un MacGuffin che, di fatto, è una vera e propria macchina del tempo. Quindi ci siamo di nuovo: cappello e frusta, Ford che, recitando da fermo e nei mezzi busti, insulta ancora i nazisti come solo lui sa fare, i cazzotti dal suono inconfondibile e CGI quanto basta. C'è pure Mikkelsen che fa Mikkelsen cattivo e Holbrook che riprende il suo ruolo preferito nei film di Mangold: "lo scagnozzo tosto che le prende da tutti". Eppure, andando avanti, il film cambia e si rivela una sorta di marcia funebre: una presa di coscienza che il tempo amato ormai è fuggito via e che è Henry jr., una volta suo protettore, colui che è ora giusto debba stare in un museo o che alla fine della fiera contano più gli anni dei chilometri e battute varie ed eventuali. Tutto vero e tutto giusto. Perché no? Esistono i film che parlano di questo. The Irishman di Scorsese parlava di questo. Anche se in modo più consapevole e un filo più argomentato. Il costo è che questo film di Indiana Jones così non sembra un film di Indiana Jones e, guardate, potrebbe andar bene anche questo. Diventa un film sulle illusioni proprio alla fine, nel tentativo di tornare ad essere una pellicola di Indy. Forse colpa/merito di qualcuno che si è fatto venire un rimorso di coscienza e alla fine il messaggio su WhatsApp lo ha letto, nonostante abbia tolto le spunte blu. Forse. Così com'è? È giusto? Il finale sembra un interrogativo più che una risposta.
Voto: ☆☆☆ ½
L'archeologia contro il progresso (Massimiliano Meucci)
In Indiana Jones e il quadrante del destino, il risveglio brusco del protagonista, il 20 luglio 1969, è una presa di coscienza traumatica e sconvolgente. Indy è oramai estinto e, giorno dopo giorno, combatte strenuamente (senza però riuscirci) contro un progresso inarrestabile. È vero, la pellicola diretta da James Mangold è incentrata sul tempo e insiste più volte sulla mortalità del personaggio e sul crollo di un mito, ma il nucleo contenutistico fondante, espresso nella prima parte del lungometraggio, è racchiuso nello scontro tra passato e presente. Henry Jones Jr. è figlio della sua epoca e non può essere altrimenti: è un avventuriero che cavalca senza sosta mentre l'avvenire lo travolge, come mostrato dall'adrenalinica corsa in metropolitana che lo vede protagonista. A metà film, però, qualcosa si rompe: si ritorna ai fasti gloriosi del passato, agli enigmi e misteri che hanno reso così tanto famosa la saga e anche il mitico archeologo con fedora e frusta. Si trascura quindi quell'evocativo e trascinante conflitto che, fino a quel momento, aveva portato il progetto su binari diversi dal solito. Nel tornare indietro Indiana Jones e il quadrante del destino va anche oltre, forse cercando anche qui stimoli differenti e ci trascina in un viaggio insolito dove si perde l'orientamento, sia registico che narrativo. Nell'ultima scena, però, si riprende l'eterna battaglia iniziale. Indiana Jones, poggiando con delicatezza il suo cappello sullo stendino, si rende conto, per la prima volta nella sua vita, di aver perso: il progresso ha sconfitto l'archeologia.
Voto: ☆☆☆ ½
Indiana Jones è pur sempre Indiana Jones (Damiano Panattoni)
Forse, da Indiana Jones e il quadrante del destino non potevamo chiedere di più. E i motivi sono due, tutt'altro che secondari: Harrison Ford - tra chilometri e anni - non è più un ragazzino, e l'esperto James Mangold non è Steven Spielberg. Questo, di conseguenza, ha generato un film in cui il Mito (con rigorosa lettera maiuscola) finisce per delegare l'azione, quell'azione di cui è maestro Spielberg. Ma Spielberg non c'è, e dunque Mangold, che è un bravo regista, a sua volta delega l'azione stessa (comunque presente), spostando l'attenzione sulla sceneggiatura. Una sceneggiatura, c'è da dire, funzionale al concetto di finale, di storia, di leggenda. Una storia credibile e incredibile, che rispetta il profilo di uno dei più grandi personaggi della storia del cinema. Non solo, rispecchiando anche il tono e l'umore dell'Icona, che resiste al tempo e anzi viene mischiata ad esso. Perché ogni fine porta con sé un nuovo inizio.
Voto: ☆☆☆ ½
Un film per i fan della saga (Erika Sciamanna)
"Noi non seguiamo mappe di tesori nascosti e la X non indica, mai, il punto dove scavare." Questa battuta di Indiana Jones e l'ultima crociata sintetizza un po' quello che è stato questo ultimo film. In fin dei conti non c'era nessuna ricetta da seguire, nessuna mappa che avrebbe portato al successo assicurato, perché la saga di Indiana Jones vive anche dei nostri ricordi e del nostro affetto per il personaggio interpretato da Harrison Ford. James Mangold lo sapeva bene quando ha accettato questa regia e di conseguenza ha confezionato un lungometraggio action fatto appositamente per chi con Indy è cresciuto: citazioni verbali e visive permeano buona parte della pellicola permettendo un vero e propio viaggio nel tempo con un protagonista ancora in piena forma, ma che ormai necessita di appendere cappello e frusta al chiodo per godere di quegli affetti che negli anni ha trascurato. Indiana Jones e il quadrante del destino, quindi, intrattiene a dovere, tiene alta l'adrenalina ma mostra il fianco ai tempi che cambiano impietosi. Per la saga ci sarà un futuro? Difficile esprimersi con certezza, così come è impossibile non fare il confronto con l'impronta data ai precedenti da un mostro sacro del cinema come Steven Spielberg.
Voto: ☆☆☆
Indiana Jones e il Tempo maledetto (Simone Soranna)
Che sia una questione di tempo, lo si intuisce dal primo istante del film, quando un ticchettio ci introduce alla quinta avventura del Professor Jones. Tutto è diverso: le studentesse si addormentano alle sue lezioni, l'uomo ha smesso di scavare alla ricerca di reperti antichi e ha abbracciato lo spazio arrivando sulla Luna, Indiana conduce una vita solitaria lontano dalle avventure. Eppure, nulla è cambiato: ci sono i nazisti, rocamboleschi inseguimenti, le musiche di Williams, spassosi siparietti, cacce al tesoro millenarie e la squadra dei "soliti" amici. Il quinto e ultimo (?) tassello della saga prende atto del tempo trascorso, ma non cambia i connotati al franchise. Nel bene o nel male, è Indiana Jones al 100% (almeno fino all'ultima mezz'ora). Mangold lascia ad altri il compito di riflettere sulla malinconia, sulla fine di un mito, sul declino di un'icona. Semplicemente, qui, si diverte. Ha la fortuna di poter lavorare sul nuovo capitolo delle avventure di un suo eroe di gioventù e la sfrutta fino all'ultimo fotogramma.
Voto: ☆☆ ½
La parabola di Indy (Federico Vascotto)
Il tempo è sicuramente il perno su cui vira tutto Indiana Jones e il Quadrante del Destino, tanto dietro quanto davanti la macchina da presa. È passato troppo tempo per poterci far assaporare un nuovo film dedicato all'archeologo più famoso del cinema, nuovamente con il volto e il corpo di Harrison Ford, ma con una diversa mano dietro la macchina da presa, oppure si tratta di un personaggio oramai consegnato alla storia e troppo iconico per essere ancora riutilizzato? James Mangold prova a raccontare la parabola di Indy ma manca di quella magia avventurosa che gli aveva saputo regalare Spielberg, forse perché parte del suo stesso stile cinematografico. In Indiana Jones 5 è tutto più scuro, lento, disilluso, e non sappiamo se siamo noi ad essere rimasti ancorati ad un'immagine del passato del Dr. Jones oppure è il regista a non essere riuscito ad abbracciarne completamente lo spirito, pur nella terza età. La certezza però è che, nonostante l'eccessiva durata delle scene action, nonostante lo scivolone di una certa sequenza ambientata in Sicilia, quella che alla fine Mangold ci consegna, forse merito anche del cattivissimo riuscito di Mads Mikkelsen e della figlioccia non erede di sangue di Phoebe Waller-Bridge, è una degna conclusione per l'archeologo con frusta e cappello, più di quanto avesse fatto il quarto capitolo. Questa volta però addio, Indy, per davvero.
Voto: ☆☆☆ ½
È tutta una questione di fede. (Alessio Vissani)
Alla mia età si è disposti ad accettare alcune cose per fede
La visione di un nuovo Indiana Jones è riassunta probabilmente nelle parole di Marcus Brody, parole che racchiudono tutto l'amore incondizionato e spassionato per questo archeologo. Parliamo di fede perché Indiana Jones per una generazione come quella degli anni settanta e ottanta ha rappresentato un faro da seguire, un esempio da emulare e un eroe da sognare. Ecco perché di fronte ad una nuova avventura di Indy scindere il cuore dalla ragione è veramente difficile e qui entra in campo l'amico Brody e il concetto di fede. Da quando uscì la prima notizia di questo quinto capitolo noi tutti abbiamo tremato soprattutto memori di quel quarto film non così tanto riuscito per la maggior parte dei fan (anche se chi scrive lo reputa un buonissimo film di avventura). Quanto era rischioso riproporre così dopo tanto tempo un nuovo film sul professor Jones? Quanto poteva risultare fuori luogo far indossare ad un ottantenne un Panama Fedora e una giacca di pelle?
Domande che hanno avuto una risposta secca e convinta: Ford ama Indy e Indy può ancora raccontare storie. Indiana Jones e il quadrante del destino è la giusta chiusura (ad oggi) di una saga che ha appassionato milioni di spettatori e che probabilmente anche grazie a questo ultimo film potrà crearne di nuovi. Indy è un eroe strano perché riesce ad essere iconico e ironico nello stesso modo; lui incarna una professione, ormai divenuta mitica, che va a raccontare la storia del nostro pianeta, ma anche la geografia e i suoi misteri più reconditi; Indy è fisico perché non si tira indietro all'azione (seppur coi suoi ottant'anni) ma anche molto intelligente con la sua cattedra di professore e cosa più importante che l'ha reso così umano e credibile nel tempo, è la sua età che avanza. Sì perché proprio in questo capitolo, dove il tempo è il cuore pulsante, lo stesso Indy (conosciuto adolescente, poi adulto e oggi in pensione) è un eroe che invecchia e la sua depressione e presa di coscienza con la modernità sono così vicini ai nostri tempi, che non puoi non immedesimarti nei pensieri del professor Jones.
Quindi questo film è un capolavoro? No. È il migliore della saga? Nemmeno. Ma è Indiana Jones al 100% in ogni inquadratura dedicata al grandissimo Harrison Ford, che ci crede come non mai e ci fa credere anche a noi. È un'avventura classica dove azione, mistero, ironia e in questo caso un pizzico di malinconia, la rendono un tributo perfetto e un arrivederci più che degno a questo straordinario personaggio.
E la fede in tutto ciò? Le parti negative, la CGI non perfetta, il villain a detta di molti non incisivo non inficiano sulla riuscita della pellicola, perché Indy per moltissimi lo si segue per fede e per fede si può soprassedere anche a diverse "sbavature". Bentornato Indiana. Bentornata avventura.
Voto: ☆☆☆☆