Avevamo già visto e amato Snowpiercer al Festival di Roma, la potente e visionaria metafora di fantascienza distopica del koreano Bong Joon-ho, dove l'umanità sopravvissuta alla glaciazione è stipata su un treno che gira in modo perpetuo intorno al mondo, e del mondo stesso diventa un microcosmo con le sue divisioni sociali e le lotte di classe, i poveri in coda e i ricchi nei vagoni di testa. Il passaggio del film a Berlino nella sezione Forum ci ha dato la possibilità di incontrare John Hurt, l'attore britannico classe 1940 che ha una significativa parte nel film. Talmente affabile e disponibile, che quasi ci si dimentica di avere davanti una vera e propria leggenda del cinema, che dai tempi di Un uomo per tutte le stagioni del 1966 ha avuto una lunghissima carriera tra teatro e cinema, dai palcoscenici della Royal Academy of Dramatic Art fino alla saga milionaria di Harry Potter, spaziando tra cinema indipendente e blockbuster. Di questa sua lunga e straordinaria carriera, oltre che di Snowpiercer naturalmente, abbiamo parlato nel nostro incontro alla Berlinale.
Come é entrato a fare parte del progetto? Conosceva già il regista Bon Joon-Ho? John Hurt: L'ho incontrato per la prima volta a Londra al Soho Hotel, ed è stato un meeting favoloso, la maniera in cui mi ha descritto la storia, il progetto, la sua visione. Alla fine dell'incontro ho deciso che dovevo fare assolutamente il film. L'idea di ricreare un microcosmo che racchiudesse le lotte di classe e le differenze sociali e le lotte di classe in un unico ambiente aveva dei risvolti politici affascinanti.
Quindi non solo una visione distopica del futuro ma una reale prospettiva di quello che il mondo potrebbe diventare?
Le classi sociali e i loro conflitti sono una cosa che è sempre esistita e sempre esisterà, quindi un film che parla di lotte di classe non è un film di fantascienza ma è anche un film politico.
Penso che possiamo essere o non essere d'accordo con questo, ma è una cosa tremendamente realistica quella del problema del sovrappopolamento del pianeta; in questo senso la metafora è molto efficace, il problema più grande sul treno, così come nel mondo, è rappresentato dal controllo della crescita della popolazione. La rivoluzione è sicuramente un aspetto, il desiderio della gente di vivere in maniera dignitosa, laddove alcuni vivono come maiali e altri come re; questo è comprensibile e giustificabile, ma alla fine non risolve il problema vero che è quel dell'aumento della popolazione. Non c'è tempo per la selezione naturale, è un dato di fatto, e il mio personaggio ne è cosciente.
Che cosa è cambiato nelle visione distopica dal 1984 ai tempi di Orwell?
In quel momento particolare il problema semplicemente non era visto e non era percepito come lo è ora. C'erano altre cose che preoccupavano l'umanità all'epoca, il problema esisteva ma certo non era tra gli scenari che Orwell immaginava nel suo libro. Ma esiste ora ed è reale, non è fantascienza; la parola intrattenimento per questo film è riduttiva, è un argomento impegnativo e il film lo affronta in maniera brutale e coraggiosa.
E lei se fosse sul treno in quale vagone pensa che si troverebbe?
É ovvio che preferirei stare in uno dei vagoni di testa. Questa è un'altra cosa che fa riflettere del film, nel senso che noi oggi per il semplice fatto di essere qui vuol dire che apparteniamo ad una fetta di mondo che ha i suoi privilegi, e sicuramente saremmo nella parte davanti del treno, ma a volte ci scordiamo che noi siamo solo l'1% e che il 99% della popolazione dovrebbe stare nei vagoni di coda. É una cosa che ti apre la mente.
Esatto. E questo ha condizionato la vita di ognuno di noi, anche la mia. Dico sempre che sono diventato un attore quasi per caso, ma perché vivevo in un ambiente che me lo ha consentito, sono nato in un paese che mi ha dato i mezzi per diventare quello che volevo.
E quando ha deciso che sarebbe diventato un attore? Lei racconta sempre che è stato quasi per caso.
Più che per caso direi che è stata una cosa naturale, sono sempre stato a mio agio come intrattenitore, sul palco, al centro dell'attenzione. Potrei dire che ho cominciato la mia carriera a nove anni quando facevo le recite della scuola.
E da allora una carriera interminabile con una galleria infinita di film. Secondo lei qual'è il migliore che ha fatto?
Oh non saprei, è davvero molto difficile da dire. Nel senso che guardo i miei film allo stesso modo in cui guardo tutti gli altri film, ho una visione molto soggettiva piuttosto che oggettiva. Sarebbe come chiedermi qual'è il film più bello della storia in assoluto: sono di quelle domande a cui non puoi rispondere, perché una cosa molto personale che dipende da emozioni, stati d'animo.
Sceglie in maniera diversa in suoi personaggi ora?
Ci sono film che ho fatto a vent'anni che non rifarei oggi, ma semplicemente perché oggi non ho più vent'anni, cambia l'attitudine, cambia la mentalità.
E se dovesse scegliere un autore, un regista che l'ha più influenzata?
Direi che Fred Zinnemann è stato il mio padre putativo per quello che riguarda il cinema, il mio padrino dello schermo.
Decisamente preferisco sempre il cinema indipendente d'autore, penso che ci siano dietro sempre più idee e più contenuti e normalmente il materiale è più interessante. In realtà vorrei dire che molti dei blockbuster a cui ho lavorato erano dei blockbuster solo nelle intenzioni ma non nel senso classico del termine. Proprio come Snowpiercer.
Che comunque è il film più costoso della storia del cinema koreano.
Esatto. Ma non ho avuto neanche per un momento la sensazione che questo fosse un blockbuster, lo spirito era assolutamente quello di un film indipendente, proprio come dicevo.
Perché sembra che oggi tutti gli attori britannici di tradizione shakspeariana si stiano dando al mainstream: sembra che a Hollywood non si possa più fare più fare un blockbuster senza una star inglese cresciuta nei teatri.
Parla di Kenneth Branagh?
Parlo di Branagh, parlo di Ian McKellen.
Ma Ian McKellen non conta! A lui non importa niente dei film che fa! Lo so che se mi sente mi da un ceffone se dico questo, ma è vero, a lui interessa solo fare i soldi, ne ha fatti molti più di me (ride, ndr)
Quindi il suo è un approccio differente?
Sì, seriamente, un approccio totalmente differente. Amo il cinema come forma d'arte, al apri della letteratura, della pittura: è un'esperienza, e io amo fare esperienze, è la mia passione.
E il cinema ha un futuro?
Penso di sì, penso che il cinema sia ancora estremamente vivo. Non so se lo guarderemo più sul grande schermo o magari a casa, questo è un altro discorso, ma il cinema è vivo.
Pensa di continuare a fare anche teatro?
Assolutamente spero di sì, morirei senza il teatro. Spero sempre di riuscire a fare Re Lear prima o poi.
Questo sicuramente è un argomento più leggero di cui parlare rispetto ai temi di Snowpiercer (ride, ndr). Doctor Who è puro intrattenimento, ha un suo stile, una sua vita propria, anche qui si parla di scienza e futuro ma è pura fiction. Posso dirti che è stato estremamente difficile, difficilissimo da fare: hai idea di quanto è complicato un copione che parla di una scienza che in realtà non esiste, pieno di termini scientifici che non significano niente? Gli autori mi hanno dato una grossa mano, devo ammettere che sono davvero brillanti.
Era una puntata davvero importante per i fans.
Ci credi se ti dico che non avevo idea che il fenomeno Doctor Who fosse così enorme, che avesse assunto tali proporzioni ancora dopo tanti anni?
E se le offrissero un ruolo nella serie?
No per carità! Mi sono divertito molto a farlo ma non è proprio il caso.