Le modalità di questo incontro con la stampa sono singolari. Una saletta raccolta, quattro o cinque giornalisti, una traduttrice e prima i due giovani protagonisti, Alberto Yoel e Roberto Sanmartin, poi il regista, Benito Zambrano.
Com'è la vita reale a Cuba? E' come si vede nel film? Alberto Yoel: Il film mostra una realtà molto vicina a quel che è la vita nelle città cubane. Molti se ne vogliono andare, molti restano, difendendo tenacemente quel che c'è, altri vorrebbero cambiare le cose. E' un paese pieno di contraddizioni e di difficoltà, ma accanto agli opposti estremismi c'è tanta vitalità, allegria, voglia di fare. Essere cubano è difficile, ma è anche un grande onore.
Il film, pur non presentando una storia prettamente politica, sembra raccontare una vicenda che politica in effetti lo è. Questa tensione al volersene andare in contrapposizione con l'idealismo e l'attaccamento alla propria terra. Quanto questo è voluto e quanto vi ha causato problemi con il governo cubano? Roberto Sanmartin: Credo che la pellicola sia effettivamente politica. Ma perché è impossibile parlare di Cuba senza scendere in qualche modo in politica. Il film non vuole dimostrare nulla, rappresenta la realtà cubana fedelmente, un po' come guardando in una foto. In realtà non c'è stato nessun problema con la censura perché è un film che per Cuba praticamente non esiste, viene del tutto ignorato. Speriamo che venga visto nella nostra patria, perché non è un film di regime né di opposizione, è un semplice inno alla libertà.
Suonavate e cantavate anche prima di girare il film? Qual è il vostro rapporto con la musica? Roberto Sanmartin: Non sono affatto un musicista, ma un attore. Ho imparato un po' a strimpellare qualcosa ma solo in funzione del film.
Alberto Yoel: Io sono stato musicista per molto tempo, è la mia prima passione, ma alla lunga non bastava per vivere, così sono passato al cinema. Ho inciso da poco un disco in Inghilterra che uscirà a gennaio, e comunque la musica rimane parte importantissima della mia vita.
Il regista inizialmente voleva che la banda che suonava fosse reale, ma c'è stato qualche problema con la produzione. Quando è riuscito a spuntarla, ormai tutte le voci e le musiche erano già state registrate da altri. Mi è dispiaciuto non aver potuto cantare.
Del film colpiscono molto come vengono delineati i rapporti personali, sia quello d'amicizia tra Tito e Ruy, sia tra quest ultimo e la moglie, rapporti nei quali prevale sempre la consapevolezza del bene dell'altro come obiettivo principale. Com'è stato per voi e quanto questo è tipico della popolazione cubana, quanto proprio del film? Alberto Yoel: Per noi Habana Blues stato un elemento imposrtante della nostra storia personale. Sul set si è creato un clima speciale, e molte scene che giravamo erano veramente toccanti. La scena della riconciliazione tra i due amici per me è stata speciale. L'attrice che interpreta mia moglie nel film, poi, è veramente fortissima, ha un magnetismo unico e mi ha aiutato molto
Roberto Sanmartin: Ci sono a Cuba questo tipo di relazioni molto solide che si vedono nel film. A Cuba è raro che una famiglia si riunisca nella sua interezza, tra profughi e morti a tavola c'è sempre un posto vuoto. La vera libertà nel giocarsi i rapporti personali sta dentro di noi, e l'amore più grande verso l'altro, a mio avviso, è lasciarlo libero.
Salutiamo i due simpatici attori e accogliamo il regista, che purtroppo, andando di fretta, ci dedica solo una manciata di minuti piuttosto intensi.
Lei ha affermato di voler fare un film lontano dai soliti clichè della vita a Cuba. Quali sono esattamente questi luoghi comuni che ha voluto evitare? Benito Zambrano: Prima di tutto la musica tradizionale, la salsa e tutte le altre. Le musiche nel film sono abbastanza distanti dai clichè delle musiche classiche di Cuba. Poi non volevo fosse la solità trita storia dell'occidentale che, arrivato a Cuba, se ne innamora, e magari vive una storia d'amore meravigliosa. Anche se nel film ci sono elementi tipici del paesaggio e della cultura cubana, la spiaggia, il rum, me ne discosto subito, o comunque sono funzionali alla storia.
Lei aveva detto che aveva pronti insieme i copioni per Solas, il suo primo film, e per Habana blues. Perché ha scelto di fare per primo Solas, e solo in seguito questo? Benito Zambrano: Non avevo entrambi i copioni allo stesso stato di lavorazione. Solas era in stato avanzato, Habana Blues era in embrione. Al produttore sono piaciuti entrambi, li ha comperati, ed è stato logico decidere, insieme a lui, di procedere prima con Solas. Dopo il mio primo film mi sono distratto parecchio, diciamo fino al 2000. In quell'anno ho accettato di dirigere un film di cinque ore per la televisione, che mi ha tenuto impegnato per due anni. Quando ho ripreso Habana blues, avevo perso quel che già avevo scritto, e ho dovuto riscriverlo daccapo. Fra poco andrà al festival del cinema dell'Avana. Vorrei anche che andasse in sala a Cuba, ma non so cosa succederà. So però che all'Avana girano moltissime copie pirata e che tutti lo vedono.
Domanda già fatta ai suoi due attori: quanto c'è di politico in un film che, come trama, politico non si direbbe e quali sono stati i rapporti in merito con il governo cubano?
Benito Zambrano: Qualsiasi cosa uno faccia a Cuba è politica. E' un paese fortemente politicizzato. Io ho fatto un film, Solas, che parla della povera gente spagnola e nessuno mi ha fatto domande di politica. E' vero che a Cuba molte cose si colorano politicamente, anche il semplice partire o rimanere. Qualunque dei personaggio che parla di questo parla di uno dei più grandi problemi politici di Cuba. Per la rivoluzione, chiunque partiva stava dalla parte del nemico, e viceversa. Qualsiasi problematica sociale a Cuba diventa una questione politica, anche il semplice voler rimediare da mangiare. Però non c'è nessuno del governo che ti dica qualcosa se c'è qualche problematica spinosa. Semplicemente non se ne parla. E se il governo non si pronuncia, nessuno prende posizione per paura. Quando andremo all'Avana per il festival vedremo che reazioni avrà il film.