La moda e l'audiovisivo sono un connubio oramai rodato. Ma non è sempre stato così. Tutto inizia negli anni '90, grazie alla rivoluzione culturale messa in atto dagli artisti dell'epoca, in particolare grazie ad una rivista divenuta celebre in tutto il mondo: Vogue. Un nome che non a caso è anche un brano musicale di Madonna, divenuto uno status symbol e una sorta di dichiarazione d'intenti. Disney+ celebra questo racconto storico con in Vogue: The 90s docu-serie in sei episodi (i primi tre già disponibili, gli altri arrivano il 20 settembre sulla piattaforma).
Proprio da qui siamo partiti parlando con Tonne Goodman, Sustainability Editor al Vogue Usa e Mark Guiducci Creative Editorial Director a Vogue, nonché uno dei produttori esecutivi della serie, che ne racconta la nascita: "Ho lavorato a Vogue per più di un decennio e uno degli aspetti dei quali mi sono occupato con i vari Head of Editorial Content in giro per il mondo, da Anna Wintour a Francesca Ragazzi in Italia, è stato cosa la rivista poteva ancora diventare oltre alle piattaforme già offerte, tra cartaceo, digitale e social. Una di queste era sicuramente l'audiovisivo".
Continua poi: "È nata così questa docu-serie in collaborazione con Disney+, io sono salito a bordo del progetto fin dall'inizio come supervisore della rivista ma ho lavorato anche con gli altri produttori esecutivi Hamish Bowles, Tonne Goodman, Edward Enninful e la stessa Anna Wintour. Il mio compito è stato coordinare l'ingranaggio e fare in modo che tutto funzionasse al meglio e che la produzione procedesse".
In Vogue: The 90s, l'obiettivo dei produttori
Mark Guiducci racconta: "La nostra tesi è che gli anni '90 corrispondono a quando la moda divenne parte della cultura pop senza soluzione di continuità. Prima era stata qualcosa a sé stante, non veniva accettata dal resto della cultura come qualcosa che potesse influenzare le persone. Negli anni '90 film, tv, politica, sport, musica hanno tutti iniziato ad abbracciare la moda perché uno degli aspetti pratici è che tutti dobbiamo vestirci (ride). Le persone realizzarono quindi il fashion power attraverso il quale si poteva comunicare a livello visivo, senza nemmeno aprire la bocca, rendendo la moda mainstream. Grazie a questo oggi le persone giovani crescendo non considerano la moda come qualcosa di separato o diverso rispetto ad esempio ad un film".
Basti pensare del resto a figure come quella di Tom Ford, prima stilista poi regista. Il Creative Editorial Director a Vogue è fermamente convinto che la moda non sia stata mai così potente come oggi: "Penso ad esempio a Queer, il nuovo film di Luca Guadagnino presentato a Venezia (leggi la recensione), e alla sua collaborazione con Jonathan Anderson, penso a stilisti che sono diventati registi, artisti come Anthony Vaccarello che ora produce film per Yves Saint Laurent. Si può vedere questa contaminazione anche attraverso la lente dello sport e della musica, oppure della politica - qualunque cosa la vicepresidente stia indossando viene osservato e studiato attentamente. La moda non è mai stata così rilevante".
A proposito di politica, si dice spesso che l'arte lo è sempre. E la moda? Dice Tonne Goodman: "La politica può essere intesa sotto vari aspetti, dalle norme da divulgare e far rispettare, fino agli approcci, alle linee di condotta, la moda è un metodo di comunicazione visuale. Durante gli anni '90 rappresentava il potere perché per la sua diversità e per le influenze culturali che hanno sciamato nella scena fashion dell'epoca, estremamente carica a livello politico, ci teneva in punta di piedi, costantemente sagaci e coinvolti".
Un giorno a Vogue
Com'è la giornata tipo in un magazine di moda? Risponde Mark Guiducci: "Una rivista come Vogue è come un film, persone davanti e dietro la macchina da presa. Ci sono due lati nell'essere un editor ugualmente importanti. Uno è stare in ufficio a realizzare il magazine che sia cartaceo oppure online, l'app o il podcast che sia; oppure stare tutti insieme e credo fermamente nella collaborazione dal vivo, per quanto Zoom ci abbia rivoluzionato la vita e il lavoro. Però è altrettanto importante andare là fuori e fare esperienza nel mondo. Questo mestiere ti chiede di essere come un radar, capire dove le cose stiano accadendo, altrimenti è inutile neanche che ti presenti in ufficio. Per dire dopo questa call andrò ad una sfilata di moda e stasera a teatro".
A proposito dei 'due lati della barricata', In Vogue: The 90s sceglie di mostrare da un lato la redazione, dall'altro chi è stato in copertina, con tantissime interviste dirette di nomi dello spettacolo. Un modo completo di presentare questo aspetto della storia. Dice Goodman in proposito: "Tutti gli intervistati sono ugualmente importanti perché portano un contributo differente con le loro testimonianze ed esperienze. Come ad esempio l'editor in chief che portò una sorta di nuova dimensione dall'Inghilterra. Io ero ad Harper's Bazaar non a Vogue negli anni '90, ma un decennio è sempre un decennio che colpisce tutti allo stesso modo. Ne sono stata talmente influenzata a livello personale che questo si è ripercosso inevitabilmente sul mio lavoro".
Anna Wintour è Vogue, Vogue è Anna Wintour
Nella docu-serie Anna Wintour dice che quando ti circondi di persone che ti danno sempre ragione, si tratta di un disastro annunciato, per questo ha chiamato Tonne ed altri a bordo della rivista: Una qualità di Anna su tutte credo sia che le persone che sono entrate nella sua cerchia e in quella di Vogue negli anni sono sempre state lungimiranti. Non teneva mai nessuno al proprio posto. Questo le ha permesso di avere al proprio fianco alcuni dei migliori talenti nella storia della moda, non solo e necessariamente lo staff, ma anche i fotografi, i designer, e così via. Il suo standard è così incredibilmente alto che pensa sempre che tu possa fare qualcosa di meglio, e questo ti porta a farlo. Non rimarrai mai nella stessa posizione fintanto che vuoi andare avanti".
La sua figura leggendaria ha ispirato come sappiamo Miranda Priestley ne Il diavolo veste Prada. Un ritratto accurato o troppo lontano dalla realtà del fashion world? "La moda è fascinazione e il dietro le quinte interessa a tutti. Il film è stato così cool e chic, così esagerato, così delizioso nella sua impostazione. Uno specchietto per le allodole forse ma l'intrattenimento è sempre importante, come lo è non prendersi mai troppo sul serio (ride)".
La docu-serie Disney+ mostra anche le storiche copertine della rivista e la loro faticosa realizzazione. C'è dietro molto più di quanto si pensi. Dice Goodman: "Ricordo quella che abbiamo fatto con Christy Turlington nella posizione da yoga, e la prima fatta con Rihanna, coi capelli rossi. Un'opportunità incredibile è stata quella con la First Lady. Il numero di settembre poi è sempre stato quello più importante perché dà il via alla stagione. Oppure quando di recente abbiamo iniziato a fare quattro differenti cover per il numero di gennaio, dove parliamo di argomenti significativi come l'arte, la diversità, l'inclusività e la sostenibilità".
Le fa eco Guiducci: "Mi viene in mente quando una stagione di Balenciaga Demna Gvasalia collaborò con eBay per mandare degli articoli che fungessero da inviti personalizzati alle persone. In quell'occasione mandò a me una copia di American Vogue che era la prima cover di Kate Moss e pensai che fosse un gesto molto premuroso quindi la tengo ancora oggi con me in ufficio come ricordo". Si parla anche del Met Gala nel serial e lì Tonne non ha dubbi sul vestito che le è rimasto impresso: "Sempre Rihanna con l'abito enorme giallo". Ogni episodio è incentrato su un momento fondamentale degli anni '90 tra Hollywood, il fenomeno del grunge, la globalizzazione americana e l'hip hop.
Becoming Karl Lagerfeld, Daniel Brühl e il futuro del cinema: "Serve un nuovo modo di guardare"
La docu-serie Disney+, dagli anni '90 ad oggi
Becoming Karl Lagerfeld, Diane von Furstenberg: A Woman in Charge, Cristóbal Balenciaga, ora In Vogue. Perché la moda è tornata centrale nella fiction e nel documentario negli anni 2020? Chiude il discorso Goodman: "Perché è affascinante. Gli stilisti sono diventati icone perché sono così pieni di storia. Non disegnano semplicemente un vestito ma veicolano un messaggio attraverso di esso. Hanno contribuito così tanto alla nostra cultura e alla nostra estetica e a cosa riteniamo uno standard di bellezza. Per me ha perfettamente senso perché guardando queste ricostruzioni si possono capire meglio le persone dietro gli artisti. Non bisogna dimenticare la storia perché ci mantiene in carreggiata verso il futuro".