"Il futuro o sarà insieme o non sarà", dice Papa Francesco durante il suo ultimo viaggio a Malta al termine di un cammino che in poco meno di dieci anni lo ha portato in giro per il mondo a farsi testimone di un'umanità spesso smarrita e dolente. È solo uno dei momenti più rappresentativi del film in cui Gianfranco Rosi ripercorre i pellegrinaggi del pontefice dal 2013 ad oggi; nella recensione di In viaggio (in sala dal 4 ottobre e presentato fuori concorso a Venezia 79), analizzeremo il documentario forse più convenzionale e semplice di Rosi dopo Fuocoammare e Notturno, ma non per questo meno potente. In un continuo scorrere di immagini è la parola ad acquistare un ruolo centrale, quella a cui il pontefice ha spesso affidato le proprie riflessioni sui temi centrali del nostro tempo: solidarietà, crisi migratoria, ambiente, guerra e povertà.
Un racconto sull'umanità, tra archivio e memoria cinematografica
Nove anni di pontificato, 37 viaggi e 59 paesi condensati in un'ora e mezzo di racconto in cui Francesco Rosi fa dialogare a distanza due sguardi diversi sul mondo: filmati provenienti dal materiale dell'archivio pontificio e scampoli del suo cinema (frammenti dei suoi film precedenti e immagini girate ex novo). Nella sua semplicità In viaggio si rivela un grande affresco umano realizzato seguendo le missioni del Papa, guardando ciò che vede e ascoltando cosa dice; in aereo, a bordo della papamobile, in auto o alla sue spalle in mezzo alla folla che lo chiama, lo cerca, lo invoca e si commuove. Il regista ne coglie i silenzi, i momenti di raccoglimento in preghiera, le parole schiette e le contrappone ad alcune istantanee che arrivano dal suo cinema, quelle della terra ripresa dalla stazione spaziale internazionale o quelle delle onde del mare, dei soccorsi e delle voci che chiedono aiuto via radio. Un film di montaggio che ha lo straordinario potere di raccontarci tutti, tra attualità, repertorio e memoria cinematografica.
Fuocoammare: Gianfranco Rosi e Lampedusa, tra tragedia e umanità
Il viaggio come testimonianza diretta delle storture del mondo
Nel ritratto che si compone lentamente davanti agli occhi dello spettatore, Papa Francesco è il suo corpo e le sue parole, così lo vediamo nel 2013 appena eletto, recarsi a Lampedusa dopo il naufragio che costò la vita a 386 migranti "colpevoli" solo di aver affidato al mare le proprie speranze. "Siamo una società che ha dimenticato l'esperienza del piangere" dirà rivolgendosi a chi è lì per commemorare l'ennesima tragedia del mare, nel tentativo di fuggire da quella che lui stesso definisce "globalizzazione dell'indifferenza". L'imperativo è ritrovare una cultura della solidarietà, accanto agli oppressi e ai poveri del mondo sempre: sarà così anche durante il viaggio in Brasile, tra le favelas, e poi a Cuba e negli Usa nel 2015, dove non avrà nessuna esitazione nell'invocare davanti al Congresso "lo stop al commercio delle armi". Lo ascoltiamo anche chiedere scusa a tutte le vittime di abusi nel 2018 in Cile, quando si autocritica e fa ammenda per aver definito "calunnie senza prove" le accuse di pedofilia al vescovo Juan Barros, responsabile di aver coperto abusi sessuali su minori da parte di padre Karadima e successivamente rimosso dalla carica dallo stesso pontefice. "Ho sbagliato a chiedere le prove alle vittime, per loro è stato uno schiaffo", ammette in quell'occasione; poi il documentario fa un salto indietro e ci riporta al 2015, questa volta nelle Filippine appena colpite dal tifone Yolanda, rimarrà impressa la scena della silenziosa processione degli sfollati in fila per incontrarlo.
L'antidoto alla violenza per Bergoglio è il dialogo e allora eccolo in mezzo alla gente in una moschea della Repubblica Centrafricana in Kenya, terra dilaniata da violenti conflitti e profonde tensioni interreligiose, oppure chino davanti al muro del pianto in Israele e poi in Palestina, a Cuba e in Georgia a ribadire che "cristiani e musulmani sono fratelli" e a ricordare davanti a una folla di sacerdoti ortodossi "il grosso peccato del proselitismo". Rosi ce lo mostra ancora in Messico nel 2016, laddove i muri dividono e il narcotraffico uccide, in Armenia dove non gli mancherà il coraggio di parlare di "genocidio" riferendosi alla strage del popolo armeno compiuta dei turchi ottomani un secolo fa e subito dopo in Turchia, Madagascar e Giappone per condannare fermamente l'uso di armi nucleari. Una Via Crucis che arriva fino all'immagine storica del pontefice che prega solo sul selciato di San Pietro durante la prima disgraziata ondata di pandemia e che si chiude con la dolorosa invocazione contro la guerra (il riferimento è al conflitto in Ucraina) durante il recente viaggio a Malta: "Signore, fermaci!".
Gianfranco Rosi, regista di Notturno: "La telecamera non mente mai"
Rosi ha il coraggio di raccontarlo nei suoi silenzi, nei gesti, nel volto raccolto in preghiera, avvicinandosi più di quanto apparentemente consentano di fare i materiali d'archivio spesso già noti e trasmessi dalle tv di mezzo mondo centinaia di altre volte. Ma il regista di Fuocoammare sa dargli nuova linfa e In viaggio diventa l'autoritratto di un'umanità sperduta; sarà come guardarsi allo specchio, provando a ritrovare il proprio centro e senza dimenticare di "non avere paura di sognare. Sogna un mondo che ancora non si vede, ma che di certo arriverà".
Conclusioni
La recensione di In viaggio si chiude ribadendo il valore di un’opera che sa andare al di là del ritratto agiografico. Merito del coraggio di Gianfranco Rosi che sceglie di raccontare il pontificato itinerante di Bergoglio facendo dialogare a distanza il materiale dell’archivio pontificio, le immagini spesso trasmesse dalle televisioni di mezzo mondo e stralci del suo cinema (da Fuocoammare a Notturno). È così che il ritratto di Papa Francesco acquista nuova linfa, si arricchisce di nuovi particolari e assume le sembianze di un libro sull’umanità.
Perché ci piace
- Rosi imbastisce un dialogo a distanza tra materiale d’archivio e immagini del proprio cinema.
- Un ritratto del pontificato di Bergoglio di rara potenza.
- La capacità di farne un racconto sull’umanità.
Cosa non va
- Rivedere immagini spesso note potrebbe indurre lo spettatore meno attento a non cogliere il senso profondo dell’operazione.