In questo mondo precario
Un mondo globalizzato, multirazziale, aperto, straniante. Una torre di Babale, crogiuolo di diversi colori di pelle, lingue, provenienze. In questo mondo libero... (It's a Free World...) Ken Loach traccia con poche ed essenziali linee uno straordinario ritratto della drammatica situazione del lavoro nero e dell'immigrazione nel Regno Unito.
Una storia attuale che porta il regista vincitore del Festival di Cannes 2006, con Il vento che accarezza l'erba, ad affrontare la durezza della contemporaneità.
La scelta di un personaggio principale imperfetto e contraddittorio, Angie (Kierston Wareing), una ragazza madre che passa da un lavoro all'altro in cerca di un'irraggiungibile stabilità, evita al film di cadere nella retorica o di sprofondare in uno scontato buonismo. Il coinvolgimento è più forte e spontaneo con un essere problematico e pieno di difetti, rimorsi, debolezze, ma anche forte, sicuro di sé, eccezionalmente energico e coraggioso.
Angie ha passato i trenta, ha un figlio di dieci anni che vive con i nonni premurosi e preoccupati per il futuro incerto di questa madre ragazzina che non riesce a tenersi un posto fisso e passa da un impiego all'altro, alla ricerca di un rispetto agognato.
All'ennesimo lavoro andato male, decide di mettersi in proprio ed aprire un'agenzia interinale con al suo fianco la sua inseparabile amica Rose (Juliet Ellis), il suo lato razionale, una coscienza accessoria che tenta di placare il suo istinto impulsivo.
Fuori dalle regole, senza permessi né documenti, la protagonista organizza turni e doppi turni per operai stranieri sottopagati, rischiando il tutto per tutto, sempre con l'acqua alla gola.
Angie dimostra una forza e uno spirito di ambizione strabilianti nel riuscire a tenere testa a uomini resi aggressivi dalla fame e dalla miseria, ma resta comunque vulnerabile di fronte al prevalere schiacciante della disonestà e del soggiogante potere. L'egoismo è ciò che la tiene viva, ma anche quello che la fa cacciare nei guai. L'altruismo è ciò che le accende il cuore e quello che la riporta sempre a pensare prima di tutto a se stessa.
Una donna passionale e istintiva, che sogna strenuamente un futuro migliore per sé e suo figlio, rappresenta con la sua emotività scostante uno stato sociale di precariato dilagante.
Sfruttamento e illegalità sono indiscriminati, non c'è razzismo nel film né per quanto riguarda l'inganno e la disonestà dei padroni, né a livello relazionale. Polacchi, iracheni, ucraini, cileni, Loach non lascia cadere il film nella solita retorica degli scontri tra differenti etnie, salta a piè pari i pregiudizi razziali per concentrarsi sulle ingiustizie del lavoro e la sofferenza di vite appese ad un filo.