La definizione dell'individuo passa attraverso il suo lavoro. Il diritto al lavoro è sacro, ce lo ricordano le Costituzioni. Senza lavoro è impossibile vivere in maniera decorosa e la dignità è alla base della pellicola militante In guerra di Stéphane Brizé. La guerra del titolo è un infinito braccio di ferro che si consuma tra gli operai di una fabbrica nel Sud della Francia e la dirigenza, cieca e sorda alle loro richieste. Il film si apre in medias res, con gli operai delle Industrie Automobilistiche Perrin in sciopero. La tensione sale tra i dipendenti esasperati dal congelamento del salario e dalla prospettiva della chiusura della fabbrica, con conseguente perdita di 1.100 posti di lavoro, il tutto nonostante il gruppo aziendale sia in attivo. Nel frattempo, nonostante la promessa di ricevere i rappresentanti sindacali, il direttore tedesco si nega e la situazione si fa insostenibile creando una frattura tra gli stessi operai.
Con In guerra, Stéphane Brizé si candida a diventare il Ken Loach francese. Il regista ci regala un'opera dura e lucida, mai consolatoria. Per il film si ricompone la triade de La legge del mercato, con Brize alla regia, Olivier Gorce co-autore dello script e Vincent Lindon appassionato protagonista. La star francese brilla nonostante una pellicola rigidamente corale, dominata da scene di massa, confronti continui, discussioni tra operai in cui tutti si parlano sopra l'un l'altro. La difesa del lavoro, per gli operai delle Industrie Perrin diventa un fatto di sopravvivenza, una guerra vera e propria, un corpo a corpo che contrappone gli operai ai dirigenti, alla polizia, agli operai contrari alla lotta sindacale.
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Un film urlato
In una pellicola urlata, cacofonica, Vincent Lindon si cala alla perfezione nel ruolo dell'operaio militante, duro e puro. Laurent Amédéo è un rappresentante sindacale, un uomo appassionato, indignato, tutto d'un pezzo, che vede nello sciopero l'unico strumento per difendere l'impiego dei colleghi e la loro dignità. Laurent si mette al servizio della causa e per tutto il film lo vediamo diviso tra riunioni, picchetti, proteste e manifestazioni. Il veterano Vincent Lindon mette la propria passione al servizio di un ruolo intensamente drammatico, ma monocorde. Il privato di Laurent viene accennato appena. Stéphane Brizé realizza un'opera monolitica incentrata solo ed esclusivamente sulla lotta degli operai e pur instillandovi tutta la passione politica per il tema, a tratti la visione risulta soffocante.
Scordiamoci l'eleganza e l'ironia di cui Vincent Lindon è capace, seppellite a favore di una recitazione muscolare e veemente. Il divo francese non è il solo a essere penalizzato in un film in cui la comunicazione diviene una chimera. Tutti gli interpreti si urlano in faccia l'un l'altro o inveiscono contro la codardia dei dirigenti della fabbrica, lasciando nello spettatore l'impressione di una massa vociante confusa e indistinta. Pochi i momenti in cui è concesso tirare il fiato. Le energie del regista sono concentrate sulla rappresentazione di una lotta di classe che, ancora nel 2018, contrappone operai e padroni senza possibilità di punti di incontro. Gli impiegati si stringono nelle spalle, a loro volta impotenti. La dirigenza della fabbrica sfugge il confronto, mente o trova scuse. Patetico il dirigente tedesco che cerca di convincere Amédéo del suo amore per la Francia parlando di quanto ama passare il tempo nella sua seconda casa in Camargue.
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Contro la dittatura del profitto, restiamo umani
A visione conclusa, In guerra suscita sensazioni contrastanti. Il piglio documentaristico e l'assenza di concessioni a frivolezze narrative di sorta chiamano in causa il cervello dello spettatore più che il cuore, il tutto in un film di forte impegno civile che mette in campo valori universali. Simpatizzare con gli operai è l'unica posizione possibile, anche se Stéphane Brizé decide di mostrarli come gruppi organizzati in lotta più che come singoli individui. Gli stessi dirigenti sono vittima di un sistema globale, il cui la legge di mercato governa su tutto il resto. Se il profitto è l'unica lingua a cui rispondono le aziende, la risposta di Brizé è quella di combattere per restare umani, ma la modalità caotica scelta per veicolare questo messaggio ne affievolisce la forza.
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3.0/5