In fuga dal fantasma di Cameron
Mettiamoci nei panni del povero Arnold Schwarzenegger: candidarsi come governatore della California non è una cosa da poco e per poter superare tutte le difficoltà che inevitabilmente saranno sulla sua strada non può far altro che puntare tutto sulla notorietà e sul calore del pubblico. Ma considerando che gli ultimi film (Danni collaterali, Il sesto giorno e Giorni contati) sono stati dei flop, il discorso potrebbe farsi più complicato. Una soluzione potrebbe essere quella di rispolverare il suo personaggio di maggior successo, il Terminator ideato da James Cameron circa vent'anni fa, ma anche l'amico regista gli volta le spalle, tirandosi immediatamente fuori da qualsiasi progetto che potesse includere il ritorno del cyborg più famoso della storia del cinema.
Ma Schwarzenegger non si dà per vinto e si ritrova così ad essere l'unico reduce dei due film precedenti (se escludiamo il breve cameo di Earl Boen, che ritorna per pochi secondi nei panni del Dr. Silberman), con Jonathan Mostow (Breakdown - La trappola, U-571) a dirigere e la coppia di sceneggiatori Michael Ferris/John D. Brancato (The Net - Intrappolata nella rete,The Game - Nessuna regola) alle prese con l'ingrato compito di rimanere fedeli allo spirito dei primi due episodi senza per questo tirarne fuori una mera copia.
Compito ingrato perché chiunque conosce la saga di Cameron, sa che stiamo parlando di due dei migliori film di fantascienza/azione di tutti i tempi, due film (seppur estremamente diversi tra loro) che hanno saputo coniugare un plot complesso ed affascinante come pochi, ricco di paradossi temporali e tematiche etico-sociali, ad alcune delle più "titaniche" scene d'azioni mai realizzate.
Sceneggiatori e regista sembrano, in questo caso, essere perfettamente consapevoli del "mostro sacro" con cui andranno a scontrarsi, e decidono così di utilizzare una sorta di scorciatoia, ovvero fare di tutto il film una lunga e spettacolare fuga, che lasci ben poco spazio a dialoghi esplicativi o ad un vero approfondimento dei personaggi, e che si va a concludere con una sorpresa finale che non potrà che stupire e affascinare perfino i puristi della saga. Una filosofia semplice e funzionale ma che si va a scontrare contro due grossi "iceberg", entrambi facilmente identificabili nella gravosa eredità lasciata dal regista di Titanic.
Il primo grosso "scontro" avviene a livello puramente tecnico: Cameron aveva, e tutt'ora ha, una visione del set, una capacità di mettere a frutto le potenzialià tecniche e artistiche del suo cast, nonché una vera e propria eleganza anche quando si tratta di realizzare le scene più "chiassose", che semplicemente sembrano mancare ad un regista come Mostow, più un artigiano che un vero e proprio artista, che apparentemente preferisce tentare di nascondere questi suoi limiti con la scelta di fare più rumore possibile, sfruttando al massimo il budget consentitogli per distruggere tutto il distruttibile.
Dal punto di vista della storia, il discorso è più o meno lo stesso, perché se anche i due autori dimostrano di sapere il fatto loro è pur vero che le idee migliori del film sono comunque permutate dagli altri episodi della saga. Discorso a parte merita il già citato finale, l'unico vero elemento, se vogliamo, che riesce a risollevare le sorti di questo Terminator 3 - Le macchine ribelli, con un' interessante sorpresa che apparentemente potrebbe ben rappresentare un perfetto epilogo a tutta la trilogia, ma al tempo stesso non può che far storcere il naso ai veri conoscitori della saga: l'idea che tutto quello che succede in questo film debba essere inevitabile, che nessuna speranza, se non quella della ribellione guidata da John Connor, sia possibile, non solo contraddice il finale dell'episodio precedente, ma cancella la filosofia del "no fate" ("nessun destino") legata al personaggio di Sarah Connor, colonna portante della saga, non a caso eliminato da questo film a seguito del "no" dell'attrice Linda Hamilton. Ma si tratta in questo caso di un "sacrificio" inevitabile se consideriamo che anche solo l'idea di realizzare questo terzo episodio è la totale negazione non solo dei voleri del suo creatore, ma della Weltanschaung della saga stessa.
Un'ultima notazione per quanto riguarda gli attori, tutti ben lontani dall'essere perfetti: il migliore è forse proprio Schwarzenegger, sempre a suo agio nei panni del robot (aspettiamo ancora il giorno in cui sarà altrettanto convincente nell'interpretare un essere umano), seguito dalla quasi esordiente Kristanna Loken, tanto bella quanto inespressiva, ma per una volta è la parte a richiederlo, mentre deludono Claire Danes e Nick Stahl. La prima è troppo poco equilibrata nel suo passaggio dall'isterico al combattivo, il secondo è semplicemente insignificante. Se poi la colpa sia solo della sceneggiatura che lascia poco spazio ai personaggi, resta da vedere.
Movieplayer.it
2.0/5