Il vento che scuote Ken Loach
Spero che questo film consenta all'Inghilterra di ripensare agli anni dell'imperialismo, perché raccontare la verità sul passato è importante per capire meglio il presente. Questo è stato - e non poteva essere altrimenti - il discorso con il quale un emozionatissimo Ken Loach ha ritirato la Palma d'oro del 59° Festival di Cannes; un premio dedicato soprattutto alla carriera di questo straordinario cineasta inglese, il quale non ha mai rinunciato a portare avanti un suo personalissimo progetto artistico, un cinema militante e impegnato, e al contempo mai schierato o retorico, grazie al quale ci ha raccontato alcune tra le "ferite" più dolorose del nostro secolo.
Come i precedenti Terra e Libertà e La canzone di Carla, anche The Wind that Shakes the Barley parla di rivoluzione (1920: inizio della guerra civile e genesi dell'IRA), e lo fa portando alla luce primariamente i conflitti e le contraddizioni interne - che Loach esplicita come di consueto tramite confronti verbali - di quegli uomini e di quei ragazzi irlandesi che si sono trovati a combattere per l'indipendenza del proprio Paese, andando incontro, spesso, a scelte dolorose e laceranti. La vittoria di Loach, però, arriva a scapito del superfavorito (che sia davvero una maledizione?!) Pedro Almodóvar e del suo ottimo Volver, che tutti davano per vincente anche come risarcimento rispetto alla Palma mancata nel 1999 da Tutto su mia madre. Scandalo quindi? Assolutamente no.
The Wind that Shakes the Barley non sarà il miglior film di Ken Loach, ma di certo non si può dire che abbia rubato niente. Con il solito stile rigoroso, secco e scevro da facili sensazionalismi, il regista inglese tratteggia un ritratto sofferto di quei rivoluzionari irlandesi che, dopo il primo trattato di pace, decisero di non deporre le armi anche a costo di rivolgerle contro amici e parenti. La sceneggiatura del fido Paul Laverty è perfetta nel bilanciare i punti di vista e nel trovare il giusto equilibrio narrativo; tutto ciò in barba a chi, ancor prima di vedere il film, lo accusava di essere "cerchiobottista" o addirittura pro IRA. Ottima, inoltre, la scelta degli attori; i volti scelti da Loach (tra tutti spicca quello glaciale di Cillian Murphy) sono fondamentali nell'economia del racconto, perché è attraverso le loro espressioni, le loro parole e i loro silenzi che si instaura quel trasporto emotivo che altri registi preferiscono ottenere con musica straziante o trucchetti di sceneggiatura. Ken Loach non hai avuto bisogno di trucchi, il suo cinema è sincero e appassionato e, nel panorama contemporaneo, quanto mai necessario. Cento di queste Palme vecchio Ken, siamo tutti con te!