Nell'aprire la nostra recensione de Il venerabile W., facciamo un passo indietro per inserire questo nuovo film nel contesto della produzione di Barbet Schroeder. Una produzione decisamente variegata ed eterogenea, ma in cui la fascinazione per il male costituisce il trait d'union fra molteplici titoli: che si tratti di opere di fiction, quali i thriller hollywoodiani Inserzione pericolosa, Il bacio della morte, Formula per un delitto e l'acclamato dramma Il mistero Von Bulow, o di documentari. In quest'ultima categoria rientrano ad esempio Général Idi Amin Dada: Autoportrait, dedicato a uno dei più spietati dittatori del Novecento, Idi Amin Dada, e L'avvocato del terrore, ritratto di Jacques Vergès, legale di numerosi terroristi e criminali di guerra. Un'"osservazione dell'orrore" che, ne Il venerabile W., è diretta su una delle pagine più tragiche della storia birmana.
Faccia a faccia con Ashin Wirathu
W. è l'iniziale di Ashin Wirathu, monaco buddhista che, all'inizio del millennio, diventò uno dei massimi portavoce del Movimento 969, fazione ultranazionalista e xenofoba nata allo scopo di contrastare i rohingya, la minoranza islamica residente nella regione settentrionale della Birmania. Nel corso dell'ultimo decennio, Wirathu aveva raccolto un vastissimo seguito attraverso le sue predicazioni e l'abile uso dei social media, adoperati come veicoli di propaganda al fine di legittimare le persecuzioni religiose contro i rohingya. E nell'illustrare questo agghiacciante capitolo della recente storia birmana, Barbet Schroeder si rivolge direttamente a lui: Ashin Wirathu è infatti al centro delle interviste del regista svizzero, in una costante giustapposizione con filmati di repertorio e documenti delle violenze messe in atto dal regime.
Proprio la compostezza di Wirathu e l'apparente bonarietà dei suoi modi producono un contrasto stridente con la feroce retorica antimusulmana professata dal predicatore buddhista: una retorica che Barbet Schroeder contrappone implicitamente agli ideali di armonia e di tolleranza alla base del Buddhismo, lasciando che le contraddizioni di questo oscuro personaggio emergano in maniera spontanea, senza dover ricorrere a didascalismi di sorta. A costituire il 'controcanto' alle predicazioni di Wirathu sono in compenso le voci dei suoi avversari politici e dei giornalisti che, in questo periodo, hanno contribuito a far conoscere la drammatica realtà della Birmania; mentre è la voce fuori campo dell'attrice Bulle Ogier, compagna di lunga data di Schroeder, a suggerire un'amara riflessione su un paese precipitato nel baratro.
Leggi anche: Contro il razzismo e l'intolleranza: i film che ci hanno aperto il cuore e la mente
Il 'terrore buddhista' in Birmania
La ricostruzione storico-politica de Il venerabile W., quanto più possibile lucida e oggettiva, si associa dunque a uno straniante "faccia a faccia" con una figura che nel giugno 2013 la rivista Time, mettendola in copertina, definì Il volto del terrore buddhista. Ma se il nome di Ashin Wirathu è legato all'atrocità del genocidio dei rohingya, il titolo del film assume un valore emblematico: il singolo individuo scompare dietro un'iniziale che finisce per alludere all'essenza stessa del male. Un male mellifluo e sorridente, che utilizza le nuove tecnologie - l'iPad, Facebook - come strumenti di diffusione dell'odio: si vedano gli spezzoni del video contro i musulmani, con tanto di fittizio stupro e canzoni ad hoc.
La parabola di Wirathu subirà una solenne battuta d'arresto fra il 2015 e il 2016, con il ritorno a libere elezioni in Birmania. È anche il punto d'arrivo del documentario di Schroeder, corrispondente all'ascesa politica di Aung San Suu Kyi: un potenziale (e illusorio?) lieto fine, proprio alla vigilia della cocente disillusione nei confronti dell'operato della Presidente della Birmania in una nazione tuttora tormentata da discriminazioni e violenze.
Movieplayer.it
3.0/5