Succedere a un episodio della caratura qualitativa ed emozionale di Le piogge di Castamere, già di per sé, è un compito improbo. A questo si aggiunge la necessità, con un'ora di tempo, di chiudere le fila di numerose storyline e di creare i presupposti per il nuovo ciclo di episodi, assicurando continuità con i drammatici eventi che abbiamo ancora impressi nel cuore, mantenendo una fluidità narrativa che, in uno show così sovraffollato, è sempre sul filo di un equilibrio delicato, e producendo un finale di stagione dal respiro epico.
La soluzione per questa missione impossibile, per David Benioff e D.B. Weiss, è nel riprendere esattamente dove avevano lasciato: lo script, che intreccia abilmente i vari fronti della narrazione, è infatti opera dei nostri beneamati showrunner, e la regia è affidata a David Nutter come per The Rains of Castamere. Ma la soluzione è anche nel tornare all'origine, accostarsi alla più amorevole dei Sette, fonte infinita di storie e di conforto: questo vuol dire Mhysa, madre. Non Catelyn, per quanto vogliamo vedere in questo titolo anche un omaggio a una delle più belle, fallibili e tragiche creature di George R.R. Martin, costretta a vedere il suo primogenito tradito e assassinato e consumata dalla follia prima che dalla morte. Nemmeno Daenerys, che pure è protagonista del finale ad effetto in cui è portata in trionfo da tutti i figli che il suo corpo non potrà mai avere. No, la madre è Cersei Lannister.
Prima del suo rientro a Castello Nero, anche il malmesso Jon Snow trova modo di affrontare la sua Bruta dal cuore spezzato, e, confessandole ancora una volta il suo amore, ottiene solo di scatenare la sua furia omicida. Ma c'è chi sta peggio di Jon: Theon Greyjoy, ovviamente, torturato, evirato e ora privato financo del suo nome da quello che finalmente viene rivelato essere Ramsay Snow, il figlio bastardo di Roose Bolton che, sì, è anche più cattivo di Re Joff.
E questo ci conduce a un altro confronto a due, quello tra padre e sorella di Theon, che ricevono un macabro omaggio da Ramsay assieme alla minaccia di vedersi restutuire l'erede delle Isole di Ferro in analoghe confezioni se non sgomberano le coste settentrionali di Westeros ad uso della famiglia di Forte Terrore. Non è questo l'unico punto in cui, anche in Mhysa, la narrazione dello show diverge dal canone martiniano, ma è forse una delle più significative: se Balon si disinteressa completamente del destino di un figlio che "non può nemmeno più portare avanti la dinastia", Yara sceglie di avversare il padre, di prendere la nave più veloce ormeggiata a Pyke e andare in aiuto del fratello - dimostrando che D&D, come sono affettuosamente chiamati dai fan dello show Benioff e Weiss, stanno anche lavorando all'umanizzazione dei Greyjoy, decisamente la più fredda e inavvicinabile tra le casate delle Cronache (ok, insieme ai Bolton), nell'ottica della quale si può inquadrare anche la rappresentazione del martirio di Theon, che nel libro si svolge interamente dietro le quinte. Accanto a quella di Yara sul Mare Stretto, un'altra traversata è inscenata in Mhysa, ed è il passaggio oltre la Barriera da parte di Bran Stark, diretto verso la sua arcana ma importantissima missione. L'incontro con Sam, preannunciato ne Le piogge di Castamere, avviene in uno dei castelli abbandonati della Guardia della Notte, ed è preceduto da un monologo di Isaac Hempstead-Wright che gli sceneggiatori utilizzano intelligentemente per sottolineare un elemento tralasciato nell'episodio precedente: la legge dell'inviolabilità degli ospiti, spettacolosamente infranta da Walder Frey al punto da fare cadere una maledizione sulla sua intera - e vasta - progenie. Se l'incontro tra i due sparuti gruppi costituiti da Sam e Gilly e da Bran, il suo metalupo, Hodor e i Reed non ha la risonanza emotiva che avrebbero creato le riunioni mancate di Castamere, è utile che Sam possa dire a Jon che Bran è vivo; che Grande Inverno ha un erede legittimo. E le lame di ossidiana che il paffuto Guardiano delle Notte consegna a Bran e compagni potrebbero tornare anche più utili. Il preludio a un terzo spostamento di scenario viene in Mhysa dal segmento più corposo ma non meglio sceneggiato dell'intero episodio, quello che si svolge a Roccia del Drago e che esplora la relazione tra due personaggi dalle origini ugualmente umili che nei romanzi di Martin non si incontrano mai. Davos Seaworth, tornato ad essere Primo Gentiluomo di Stannis, non per questo è deciso a piegarsi al volere della Donna Rossa solo perché questa ha convinto il re senza corona che il sangue di Gendry ha ucciso Robb Stark. Davos rischia tutto per salvare il ragazzo, ma per salvare lui arriva un vero e proprio deus ex machina, una missiva dalla Barriera che di punto in bianco distoglie sia Stannis che Melisandre dai loro propositi forcaioli per portare la loro attenzione verso la "vera guerra", verso l'orrore che dal profondo Nord che sta per calare su Westeros. Sentita la testimonianza di Sam sugli Estranei e il loro eserciti di non-morti, Maester Aemon ha lanciato l'estremo appello, e Stannis sembra pronto a raccoglierlo. Farà altrettanto chi siede sul Trono di spade? E' fuori dalla portata dei corvi messaggeri del suo prozio, ma, con i suoi tre draghi, è anche l'unica speranza di Westeros Daenerys Targaryen, a cui spetta la chiusura di questo episodio e di questa terza, gloriosa stagione de Il trono di spade. Un finale forse meno maestoso di quelli delle due stagioni precedenti, ma non privo di un significato profondo e di un grande impatto visivo: la regina d'argento, con il suo coraggio e la sua generosità, ispira tutto ciò che Joffrey non sarà mai, e il suo regno è appena iniziato.
Così come la nostra fervida attesa per il quarto ciclo di episodi, che sarà girato nei prossimi mesi e presumibilmente trasmesso da HBO nella primavera del 2014.