Facile realizzare una trasposizione dei primi tre romanzi delle Cronache del Ghiaccio e del fuoco, penseranno i lettori di George R.R. Martin. A Game of Thrones, A Clash of Kings, A Storm of Swords sono romanzi poderosi, coesi, ricchissimi di eventi, in cui l'autore si prende tutto il tempo che gli serve accanto ai suoi personaggi per creare psicologie credibili e dinamiche avvincenti. Ma le cose si complicano con gli ultimi due volumi pubblicati, A Feast for Crows e A Dance with Dragons: due romanzi che corrono paralleli e affollatissimi (alcuni punti di vista, quelli di Daenerys, Jon e Bran, ad esempio vengono abbandonati nel primo e ripresi nel secondo); nuovi scenari vengono esplorati e numerosi nuovi personaggi, provenienti da angoli di Westeros con cui avevamo scarsa familiarità, come la Città Vecchia, Dorne e le Isole di Ferro, vengono introdotti.
Un tradimento necessario
Per molti lettori delle Cronache, Martin divaga, introduce temi, caratteri e subplot che non hanno sufficiente coerenza col fulcro della sua narrazione; per i fan duri e puri ogni dettaglio, ogni scorcio, ogni intrigo è affascinante; ogni personaggio serba almeno un segreto, un enigma da risolvere, legami preziosi con la backstory e potenzialità esaltanti.
A qualsivoglia dei due gruppi appartenessero i nostri adattatori-showrunner David Benioff e D.B. Weiss, per loro la scelta era quasi obbligata; già due anni fa, infatti, era stata annunciata la decisione di limitare l'ampliamento del vastissimo parco di personaggi de Il trono di spade; la semplificazione degli orditi vasti e ambiziosi, ma non sempre lucidi, di A Feast for Crows e A Dance with Dragons ha portato a fare qualche sacrificio, a rinunciare a personaggi secondari carismatici e amati dai lettori, ma anche a qualche colpo di scena di sicuro effetto, in nome di un'intelligente ma anche coraggiosa economia narrativa.
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Non c'è dubbio che, guardando a questo primo scorcio della quinta stagione dello show, che include elementi sia di A Feast for Crows che di A Dance with Dragons e un sorprendente quantitativo di materiale originale o fortemente rielaborato, la strategia si dimostri azzeccata. Interi subplot cedono il passo, personaggi già introdotti da tempo si fanno carico di storyline che appartenevano a quelli a cui si è scelto di rinunciare, e e allo stesso tempo si cerca, con un impegno lucido ma appassionato, di giungere per vie alternative all'essenza dell'opera di George R.R. Martin, che, da parte sua, ha dovuto mettere da parte il proprio coinvolgimento nello show - resta sempre produttore, ma non ha più scritto episodi come per le prime stagioni - per dedicarsi al sesto e penultimo libro della saga, Winds of Winter, atteso per il prossimo anno da un esercito di lettori in astinenza.
Sfida tra regine: Cersei e Margaery
Tutto sommato, tra le storyline che restano in qualche modo fedeli a quanto narrato nei libri di Martin c'è quella con al centro le vicende di Approdo del Re, con la regina madre che, dopo la morte del padre Tywin, pur trovandosi a esercitare i poteri del Primo Cavaliere, è costretta a rivaleggiare con la nuora Margaery Tyrell, che, affamata di potere quanto Cersei, vede crescere il suo ascendente sul giovane Re Tommen; ma anche qui c'è tradimento, soprattutto nella caratterizzazione di Cersei Lannister, che nello show è sempre stata più umana e più accessibile rispetto ai romanzi, in cui è una regnante miope, odiosa, arrogante e inetta, appena meno sadica del figlio Joffrey.
La Cersei di Lena Headey è una donna più complessa, non senza conflitti, e l'attrice è stata capace di creare un'empatia con uno dei personaggi più detestati della Cronache scandagliando il suo animo, i suoi affetti, i suoi timori; ed è sorprendente come, nonostante i crimini di cui si è macchiata, nonostante la sua ostilità nei confronti del personaggio da sempre più popolare dei libri e dello show, Tyrion, nonostante le alleanze che è disposta a siglare, tra cui quella con l'Alto Passero di Jonathan Pryce e il movimento religioso estremista di cui fa parte anche suo cugino (ed ex amante) Lancel, la Headey riesca a farci patire con Cersei le umiliazioni che le infligge la nuora. Cersei non vuole controllare il figlio solo per appropriarsi del suo potere, lo vuole controllare perché teme per lui; ogni atomo del suo corpo, ad ogni ora del giorno, trema di terrore per il destino incerto del giovane Re e dell'altra figlia sopravvissuta, Myrcella, che l'odiato zio Tyrion le ha strappato per mandarla in ostaggio a Dorne.
Margaery, d'altra parte, è un personaggio che, senza gran dispendio di minutaggio, lo show è riuscito a inquadrare meglio di Martin, e che la deliziosa Natalie Dormer incarna con baldanza: la sua ambizione, la sua capacità di ingraziarsi i sudditi, la sua dolce, avida e persuasiva carnalità.
In questa quinta stagione, il ruolo che gioca nella mente della rivale è introdotto con il flashback che apre la premiere di stagione, Guerre imminenti, in cui troviamo una Cersei adolescente e innamorata dell'erede al trono Rhaegar Targaryen scoprire il suo destino attraverso la profezia di una veggente malevola - che le preannuncia un matrimonio diverso, la morte dei suoi figli e l'ascensione di una nuova regina, più giovane e più bella, che le porterà via ogni cosa. Per Cersei non c'è dubbio alcuno: la nuova regina, astuta e sensuale, è arrivata, e lei non ha intenzione di cedere il passo facilmente.
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La "regina" di Grande Inverno
Se per Cersei la "regina più giovane e bella" è Margaery, noi che viaggiamo tra Westeros e Essos di settimana in settimana non siamo sordi ai proclami e alle voci che celebrano la luce che splende a oriente, la luce di Daenerys Targaryen; ma a trionfare su Cersei alla fine dei giochi potrebbe essere anche un'altra fanciulla che ha ragioni più personali per volersi vendicare della leonessa di Approdo del Re: Sansa Stark, la cui luce splende nell'anonimato, nelle cripte di Grande Inverno, ma non per questo è meno abbagliante.
Quello di Sansa è uno degli archi caratteriali più interessanti della saga; ex perfetta damina sognatrice, ex vittima inerme, Sansa si è trasformata in una forza con cui il reame dovrà fare i conti. E lo ha fatto praticamente da sola: se per sua sorella Arya c'è stato un maestro di scherma (Syrio Forel), un maestro di sopravvivenza (Sandor Clegane), e adesso, a Braavos, un maestro di vita e di morte (Jaqen H'ghar), per Sansa non c'è stata altri che Sansa. Adesso, però, ha il maestro più prezioso e devoto in Petyr Baelish: l'uomo più intelligente e senza scrupoli dei Sette Regni la ama e ha grandi progetti per lei.
Ma ciò che Benioff e Weiss hanno in serbo per Sansa va oltre Martin. La sua storyline, infatti, è - insieme a quella di Jaime - quella in cui lo show diverge maggiormente dai libri, riportandola nel castello dove è nata per farne la protagonista di uno degli intrecci più riusciti e appassionanti di A Dance with Dragons.
E uno dei cardini della poetica martiniana nella sua versione televisiva: in The Sons of the Harpy, Sansa, che con i capelli scuri sembra più una Stark che una Tully, è davanti al sepolcro della zia Lyanna, morta anni prima della sua nascita, quando Petyr la raggiunge per raccontarle un episodio della backstory delle Cronache, quel primo incontro tra Lyanna e Rhaegar che fu causa scatenante della Ribellione di Robert Baratheon e di tutti i fatti di sangue che seguirono.
Se per noi questo è un momento commovente (la sottoscritta ha una fissazione patologica per il torneo di Harrenhal) in cui riecheggia la ricchezza, il romanticismo, la potenza e la spietatezza del mondo delle Cronache, e crea un illuminante parallelo con la scena in cui, nello stesso episodio, è Ser Barristan a parlare di Rhaegar a Daenerys (la quale ha una reazione molto diversa da quella di Sansa), per il pratico Petyr serve a illustrare alla sua protetta il piano che ha architettato e che, costretto a tornare ad Approdo del Re, le affida: rinnovare l'alleanza tra gli Stark e i Baratheon, aspettare l'arrivo di Stannis, la sconfitta dei Bolton, e convincere il re legittimo dei Sette Regni a proclamare l'unica superstite della dinastia di Grande Inverno Protettrice del Nord; per poi - va da sé - unire le forze del Nord, della Valle e delle Terre della Tempesta ad un unico scopo: spazzare via per sempre i Lannister.
...e, last but not least, la regina di Meereen
Gli insegnamenti e l'astuzia machiavellica di Ditocorto sembrano essere proprio ciò che manca a Daenerys, sul suo sontuoso trono nella Baia degli Schiavisti, con accanto, dopo la cacciata del suo consigliere più fedele, Ser Jorah, solo l'ardente e spericolato Daario e il paterno Ser Barristan; la sua benevolenza, il suo senso di giustizia, la determinazione a regnare secondo un'etica inflessibile, rischiano di essere il suo disfacimento.
L'ostinazione nel negare agli ex padroni di Meereen almeno la riapertura delle arene che ne rappresentano la storia e la tradizione - un gesto che potrebbe creare un minimo di distensione con i nobili espropriati di Meereen, come le spiega a più riprese il loro portavoce Hizdahr zo Loraq - si dimostra particolarmente rovinosa, perché inasprisce la ribellione dei "figli dell'Arpia", dissidenti appartenenti alle antiche famiglie della città, che iniziano a prendere di mira i suoi Immacolati e, presto, anche i suoi uomini più preziosi; il dilemma con cui è alle prese è esemplificato alla perfezione in una scena dell'episodio di The House of Black and White: quella dell'esecuzione di Mossador, giovane leader degli schiavi liberati, colpevole di avere ucciso un figlio dell'Arpia che Daenerys aveva intenzione di processare. Nella mente di Dany è la cosa giusta da fare: il dissidente meritava un giusto processo e Mossador aveva disobbedito ai suoi ordini. Eppure questa decisione causa un forte indebolimento della reputazione di Dany presso i suoi sudditi più devoti, gli ex schiavi di Meereen.
Nell'episodio successivo, un momento simile tocca a Jon Snow, ed entrambi hanno echi della scena indimenticabile dell'esecuzione di Ned Stark nella prima stagione; echi utilizzati in maniera quasi antitetica a vantaggio di Jon, perché Jon, come gli ha insegnato suo padre, "pronuncia la sentenza e cala la spada", dimostrando un'autorità che a Dany ancora manca.
Non sai niente, Lord Comandante
C'è anche chi di tradire non ne vuole sapere, nonostante la tentazione sia forte, con le proposte allettanti di Stannis Baratheon e Melisandre di Asshai: parliamo appunto del prode Jon Snow, che, dopo il tour de force un po' isolato del bellissimo penultimo episodio della scorsa stagione, Il coraggio di pochi, dimostra di avere un ruolo capitale in questo quinto ciclo di episodi dello show.
Il personaggio di Jon, anche attraverso la scoperta e la rinuncia all'amore romantico, consuma precocemente la sua giovinezza, è pronto a una posizione autorevole che rappresenta la piena affermazione di quelle che potevano essere le aspirazioni di un figlio illegittimo, e giunge a un momento cruciale in cui deve dimostrare di non essere solo un abile combattente, un uomo fedele ai suoi voti, ma anche un autentico condottiero, pronto ad affrontare gli orrori dell'inverno in arrivo. Questa circostanza è l'esecuzione di Lord Janos Slynt, che avviene in High Sparrow per quello che è anche uno dei momenti migliori per l'interpretazione di Kit Harington, anche lui in crescita. Peccato che questo trionfo sia evidentemente solo il preludio ad altre prove difficili e inattese. Nella sua vita c'è di nuovo una donna rossa di capelli, e di nuovo quel monito: "Non sai niente, Jon Snow".
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Quanto a Stannis, l'intervento in difesa dei Guardiani della notte, il suo soggiorno a Castello Nero accanto a Jon, la sua decisione di attaccare i Bolton e di liberare Grande Inverno lo rendono un personaggio per cui è più facile parteggiare. Pur confermando, ai danni di Mance Rayder, la sua inflessibilità, ci rivela anche un lato più umano e sentimentale con un momento delicatissimo accanto alla sfortunata figlioletta Shireen in The Sons of the Harpy. Un momento che George R.R. Martin non si sarebbe mai sognato di regalarci: come Cersei, lo Stannis de Il trono di spade è più empatico di quello della Cronache, forse anche un po' più banale, ma è anche così che si fa televisione di successo.
Dorne
E' comparsa nella sigla solo nel quarto episodio, nonostante il suo principe Doran Martell (Alexander Siddig) - fratello del defunto beniamino delle folle Oberyn, abbiamo ancora negli occhi la sua crudele fine... - avesse debuttato già nel secondo; ed è comparsa in maniera un po' anonima, denominata genericamente "Dorne" e non identificata nel castello in cui attualmente risiede Doran, i Giardini dell'Acqua.
Dorne è una regione assolata, splendida, oltre che il più indipendente e femminista dei Sette Regni. Sacrificato, purtroppo, in nome dell'immediatezza e della semplificazione, questo primo, fugacissimo scorcio di Dorne non è particolarmente esaltante; Doran è troppo criptico, Ellaria Sand troppo aggressiva e sanguinaria, le sue alleate - le figlie di Oberyn, Obara, Nym e Tyene, di cui si presume solo la terza sia anche sua - sono introdotte in maniera maldestra. Fortunatamente in The Sons of the Harpy Obara/ Keisha Castle-Hughes ha un monologo che, pur sapendo un po' di "spiegone" dimostra che il talento - di quando, dodicenne, finiva candidata all'Oscar per La ragazza delle balene - è ancora intatto.
Allo stesso modo in cui la storyline un po' sconnessa su Brienne e Pod viene "redenta" da un meraviglioso monologo di Gwendoline Christie in High Sparrow.
Oltre il Mare Stretto
Le cose cambieranno con l'arrivo a Dorne di Jaime Lannister - che intanto fa coppia, con risultati gustosissimi, con Bronn (ma Jerome Flynn ha questo effetto un po' con tutti). Mentre Tyrion passa dalla compagnia di Varys a quella, molto meno amichevole, di Ser Jorah; l'idea è la stessa, portarlo al cospetto di Daenerys, per un ulteriore, inedito sodalizio che non vediamo l'ora di esplorare.
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E per tornare brevemente anche su Arya, alle prese con l'ultima, più misteriosa e più importante fase del suo addestramento da assassina: c'è quell'istante in cui le viene chiesto di diventare "nessuno", e di rinunciare a tutti i suoi possedimenti, tutto ciò che fa di lei Arya Stark, e lei obbedisce finché non si tratta di separarsi da Ago, l'inesorabile spadino che suo fratello Jon fece forgiare per lei nelle fucine di Grande Inverno, mille anni prima.
E' Ago la frazione della sua identità a cui non può rinunciare; ma siamo pronti a giurare che questa incapacità di essere davvero nessuno, questo legame duraturo e irrinunciabile con il suo passato, la sua famiglia, i suoi affetti, non sarà d'intralcio alla nostra intraprendente eroina, ma sarà la sua forza: il salvataggio di Ago, per Arya, è quello che la costruzione di un Grande Inverno di neve fu per Sansa a Nido d'Aquila: l'affermazione della sua identità di Stark.
Abbiamo senz'altro tralasciato molto, pur parlando fin troppo. Ma è anche colpa della forza di uno show che, a questo stadio ormai avanzato del suo corso, è più vitale e ricco che mai, forte del fascino inesauribile delle sue fonti, dell'ispirazione dei suoi autori, e anche dell'ingaggio di nuovi creativi: i primi quattro episodi infatti, sono diretti da due new entry, e lo stile originale e ricercato di Michael Slovis e quello più sporco ed emotivo di Mark Mylod sono serviti a "rinfrescare" il serial anche dal punto di vista della fattura tecnica.
E l'unico rammarico, per questa quinta stagione, è che siamo già quasi a metà strada.