Per interpretare Tommaso Buscetta è voltato fino in Brasile, ha cambiato accento e usato tutta la sua fisicità: Pierfrancesco Favino è l'ottimo protagonista di Il traditore, film di Marco Bellocchio, nelle nostre sale dal 23 maggio, presentato in concorso al 72esimo Festival di Cannes. Tra i maggiori esponenti di Cosa Nostra, Buscetta si è trovato nella posizione di dover arrivare a patti con lo Stato, rivelando nomi, traffici e situazioni della sua "famiglia" al giudice Giovanni Falcone.
Un ruolo non facile, come potete leggere nella nostra recensione de Il traditore, sopratutto perché Tommaso Buscetta è stato un personaggio pieno di contraddizioni: era un assassino, ma gli piaceva fare la bella vita e indossare bei vestiti. Il male a volte si presenta in una veste affascinante? Secondo Pierfrancesco Favino, che abbiamo incontrato proprio a Cannes sì: "Il male è molto più pericoloso quando ha una veste luccicante: è molto più facile pensare al male se lo riconosciamo. In uno dei suoi interrogatori, Buscetta dice al giudice che per fargli paura deve pensare che quando parlano, lui non sia pericoloso, perché se lo pensasse crederebbe che lui sia un criminale. Invece per parlare con Buscetta, Falcone deve essere gentile, facendo capire che non si può permettere di trattarlo male, ma sempre con gentilezza. La sua attenzione nei confronti della forma era anche una grandissima vanità: era un uomo che andava dal sarto, si sceglieva i vestiti, le stoffe, ci teneva molto, ma poi le origini ti tradiscono, c'è sempre qualcosa che sfugge, anche dal punto di vista dello stile. Certo è che rispetto all'iconografia del mafioso con la coppola Buscetta era, ed è rimasto, un completo outsider, fatto che ha contribuito anche a costruirne la leggenda".
La video intervista a Pierfrancesco Favino su Il traditore
La leggenda di Tommaso Buscetta
Affrontare personaggi del genere è sempre difficile, perché c'è il rischio di mitizzarli, visto che loro stessi in prima persona hanno contribuito a costruirsi una mitologia. Ma Il traditore evita questa trappola: "Le persone che non appartengono a quel mondo hanno una sorta di attrazione per queste figure e sono loro a costruirne il mito, che magari non corrisponde affatto alla realtà. È proprio questa la pericolosità di toccare questi argomenti e questi personaggi: questo film non lo fa, non fa mai assurgere a mito Buscetta, anzi, ne svela anche le fragilità umane e anche forse l'ignoranza, anche la mancanza di gusto. Buscetta è stato un uomo che ha cambiato tante facce, anche fisicamente, quanti posti ha abitato e quante persone ha incontrato. Era una persona in grado di parlare con un brasiliano come se lo fosse, si metteva di fronte a un giudice pensando di essere un collega. Aveva una capacità di manipolare la realtà alla quale voleva appartenere: questo, ovviamente, ha fatto di lui anche un mito, una costruzione immaginifica di quello che è stato realmente. Ma il nostro film questo non lo fa, non si concede, visto il personaggio che è stato nella realtà, di farlo diventare un'icona".
Il rapporto tra Buscetta e Giovanni Falcone
Nel film Pierfrancesco Favino ha diverse scene con Fausto Russo Alesi, che interpreta il giudice Giovanni Falcone: il rapporto tra i due è affascinante, sembrano quasi i rappresentanti del bene e del male che si scontrano e si annusano. Cosa spinge due uomini nati e cresciuti nello stesso ambiente a prendere due strade così diverse? Secondo l'attore: "Non credo ci sia stata amicizia tra Falcone e Buscetta, anzi: Buscetta può averlo detto, ma Falcone certamente no. Falcone, in un'intervista a Marcelle Padovani, dice che la confessione più utile per lui è stata quella di Contorno e non di Buscetta, che era più manipolativo. Penso sia l'unica occasione in cui Buscetta è stato manipolato da qualcuno e non viceversa. Falcone era di un'intelligenza e di una moralità ovviamente superiore. Per Buscetta però l'incontro con Falcone è stato rivoluzionario perché, per la prima volta, riconosceva che dall'altra parte c'era qualcuno che lui stimava perché era leale alla sua idea di giustizia come lui lo era alla sua idea di mafia. Ovviamente non li metto sullo stesso piano. C'è un luogo d'incontro che è la sicilianità: su quei vocabolari gestuali e culturali si è costruito il piano per comprendersi".