Il sogno della parternità
Tra i pregi del cinema francese ci sono sicuramente il buon gusto e il fatto di non essere mai gratuito. E' per questo che stupisce in negativo Baby Love, film d'esordio nel lungometraggio di Vincent Garenq, regista che viene dai serial televisivi e che nel passaggio al cinema si dev'essere dimenticato di scrollarsi di dosso quei seccanti stereotipi che appartengono ai prodotti meno riusciti che ogni giorno ci propina il tubo catodico. Non si spiegherebbe altrimenti un film come questo, che vorrebbe furbescamente catturare l'interesse dello spettatore grazie a un argomento del quale non approfondisce nessuno degli aspetti o dei risvolti, che fa finta di intavolare discorsi necessari su temi importanti, sui quali la società odierna sembra interrogarsi con insistenza sempre maggiore negli ultimi tempi, per poi disinteressarsene completamente limitandosi soltanto a collezionare banalità su banalità con uno stucchevole buonismo di fondo. Nella 'favola' politicamente corretta di Garenq, che è anche autore della sceneggiatura, si parla così di una coppia omosessuale che pare giunta al capolinea perché lui vuole un figlio, mentre l'altro non ne concepisce nemmeno l'idea. Arrivederci e grazie e ognun per la sua strada: mentre il pediatra col sogno del marmocchio si lancia alla ricerca di un utero che gli sputi fuori un figlio, sulla sua strada finisce, incidentalmente, una straniera che di fronte alla proposta indecente di fare da madre surrogata prima dà in escandescenze, poi cambia idea grazie alla prospettiva di un permesso di soggiorno facile tramite un matrimonio di convenienza. E via di stupidaggini che indirizzano la pellicola su un percorso dalle tappe ampiamente prevedibili.
La normalità del mondo omosessuale per il regista sembra risiedere unicamente negli attriti e nell'astio che può dividere anche due innamorati dello stesso sesso. Di tenerezze (leggasi alla mera voce 'bacio') se ne possono mostrare solo un paio di secondi innocui, mentre delle 'sbandate' eterosessuali del protagonista qualcuno in più (in questo caso sembra tornare a esistere addirittura il sesso!) e a dare l'illusione di un'idilliaca vita di tutti i giorni intervengono parenti e amici, quelli che la condizione del protagonista l'hanno accettata di buon grado (fregiandosi per questo addirittura di anticonformismo) fino a quando moti di gelosia ingiustificata non li fanno scivolare su patetiche bucce di omofobia, buone magari a raccattare le risate liberatorie di un pubblico un po' ottuso. Certo, è una commedia, la leggerezza andrebbe quindi ampiamente giustificata, se non fosse che i tentativi del film di risultare divertente risultano per lo più fallimentari e che il tema principale (che supponiamo essere la famiglia omoparentale) è così delicato che avrebbe meritato per lo meno una riflessione più dignitosa. C'è sempre l'intelligenza alla base delle migliori commedie, mentre Baby Love sembra giustificare le sue mancanze dietro il genere in cui si inscrive, che purtroppo va a ricalcare le più innocue commediole hollywoodiane che ricamano sé stesse attorno ad un pretesto che il più delle volte si limitano a maltrattare. Tutto in Baby Love, quando sfiorato, è trattato infatti con estrema superficialità. Non importa il dilemma sulla possibilità di un figlio, che finisce addirittura col dividere la coppia omosessuale, o le drammatiche implicazioni che riguardano le madri surrogate. Garenq si limita a far vagare il protagonista per una ammicante Parigi, sulla quale svetta la Torre Eiffel sempre illuminata, mentre rincorre il sogno di un bambino che ha le sembianze di un capriccio. La separazione dall'uomo che si suppone ami non provoca nessun dolore, il mondo esterno esiste solo se utile alla sua missione e quando finalmente l'obiettivo è raggiunto tutto si aggiusta magicamente e il risibile happy ending mette a tacere anche gli interrogativi più inquietanti. La frenesia della procreazione uccide il film privandolo di senso, l'isterismo e la volgare gelosia stritolano l'immagine della donna e alla noia spesso si aggiunge il fastidio. La pulizia in termini di regia è funzionale a una storia che appare scontata non solo a livello di sviluppo narrativo, mentre gli attori cercano in qualche modo di tenere a galla il film, ma nessuno di loro risulta essere così incisivo da riuscire nell'impresa. Se avrà l'opportunità di una seconda chance nel mondo del cinema, Vincent Garenq dovrà sicuramente rimboccarsi le maniche, nella speranza che gli spettatori per allora avranno dimenticato questa sterile commedia fintamente progressista che nulla aggiunge al dibattito sociale relativo a questioni d'importanza cruciale.