Ti svegli ancora qualche volta, vero? Ti svegli al buio e senti il grido di quegli innocenti...
Una foresta immersa nella nebbia. Una giovane donna in tuta da ginnastica emerge dalla penombra del sottobosco, si arrampica lungo una fune e si inoltra correndo fra gli alberi, appena rischiarati dalla pallida luce di un mattino uggioso. Lei è Clarice Starling, recluta dell'FBI presso l'Accademia di Quantico, in Virginia, e questa prima, muta sequenza, accompagnata dalla sinistra partitura musicale di Howard Shore, rimarrà una delle pochissime scene in esterno di un film inesorabilmente cupo e claustrofobico.
La "discesa nell'incubo" di Clarice Starling inizia da qui: da questi primi minuti all'aria aperta, prima di addentrarsi - e noi spettatori insieme a lei - in quel microcosmo chiuso, oscuro e malato che costituisce l'universo narrativo de Il silenzio degli innocenti. Un'opera sensazionale, quella diretta da Jonathan Demme, capace di ridefinire i contorni del genere thriller sfruttando al meglio il materiale di partenza, ovvero l'omonimo best seller di Thomas Harris, nonché di consegnare all'immaginario collettivo due fra i personaggi più iconici del cinema: Clarice Starling e soprattutto il dottor Hannibal Lecter, il diabolico psichiatra dall'intelligenza affilatissima e con un'insana passione per l'antropofagia.
Prodotto dalla Orion Pictures, all'epoca sull'orlo della bancarotta, e approdato nelle sale americane il 14 febbraio 1991, Il silenzio degli innocenti avrebbe ricevuto un'accoglienza trionfale, con incassi record al box office, oltre sessanta milioni di spettatori in tutto il mondo, l'Orso d'Argento al Festival di Berlino e poco più di un anno più tardi, il 30 marzo 1992, la vittoria di cinque premi Oscar: miglior film, regia, attore, attrice e sceneggiatura (la terza e ultima pellicola negli annali dell'Academy ad aver conquistato le cinque statuette più importanti, dopo Accadde una notte e Qualcuno volò sul nido del cuculo). Ma ciò che più conta è che, a venticinque anni di distanza dal suo esordio, il thriller di Jonathan Demme ha conservato inalterata la sua straordinaria forza, nonché quel potere di fascinazione che lo ha reso un'autentica pietra miliare. E l'anniversario de Il silenzio degli innocenti ci offre l'occasione per ripercorrere la storia e gli elementi chiave di un film che ancora oggi, venticinque anni dopo, continua a turbarci nel profondo...
"È un mostro. Uno psicopatico puro."
Alle origini del capolavoro di Demme vi è l'omonimo romanzo di Thomas Harris, scrittore che nel 1981 aveva pubblicato un libro, Red Dragon (la prima edizione italiana era intitolata Il delitto della terza luna), in cui già compariva la figura dello psichiatra cannibale Hannibal Lecter, detenuto in un manicomio criminale di Baltimora. Dino De Laurentiis aveva acquistato i diritti sul romanzo affidandone a Michael Mann la trasposizione cinematografica: il risultato, lo splendido Manhunter - Frammenti di un omicidio, uscito nel 1986, si sarebbe rivelato però un flop commerciale, tanto da spingere De Laurentiis a cedere gratuitamente l'utilizzo del personaggio di Lecter quando Gene Hackman acquista i diritti sul nuovo libro di Harris, Il silenzio degli innocenti, edito nel 1988. Hackman è interessato a dirigere ed interpretare un adattamento del romanzo, ma alla fine rinuncia al progetto, che passa così nelle mani dello sceneggiatore Ted Tally e del regista Jonathan Demme.
In quel periodo, Demme è noto per aver diretto commedie brillanti come Una volta ho incontrato un miliardario, Qualcosa di travolgente e Una vedova allegra... ma non troppo, oltre al film concerto dei Talking Heads Stop Making Sense, mentre il suo ultimo cimento con il genere thriller risale al 1979 (Il segno degli Hannan, quasi un omaggio hitchcockiano). Per la parte di Clarice Starling, l'eroina del romanzo, Demme vorrebbe ingaggiare Michelle Pfeiffer, protagonista di Una vedova allegra... ma non troppo, ma il carattere ferocemente pulp del soggetto spinge la Pfeiffer a rifiutare; il regista cede allora alle insistenze della ventisettenne Jodie Foster, la quale ha amato il personaggio di Clarice e vuole a tutti i costi interpretarlo sullo schermo. Più difficile trovare l'attore adatto a calarsi nei panni di Hannibal Lecter, già impersonato in Manhunter da Brian Cox: dopo aver incassato i "rifiuti eccellenti" di Sean Connery e Jeremy Irons, Demme propone il copione a un altro attore britannico, Anthony Hopkins, che dieci anni prima aveva ammirato in un ruolo diametralmente opposto in The Elephant Man di David Lynch. Due scelte di casting, Foster e Hopkins, tra le più felici e ispirate che si possano immaginare, indispensabili a consegnare Clarice Starling e Hannibal Lecter alla cultura popolare.
"Mi chiamo Clarice Starling, posso parlare con lei?"
Selezionata dall'American Film Institute al sesto posto nella classifica dei maggiori eroi cinematografici di tutti i tempi, Clarice Starling non è solo la grintosa recluta che si ritrova a partecipare alle indagini su un misterioso serial killer soprannominato Buffalo Bill (Ted Levine), ma rappresenta anche il punto di vista dello spettatore sul film. Al di là della propria natura di detective story, Il silenzio degli innocenti è il racconto di formazione di una ragazza pronta ad affrontare la "prova del fuoco", il suo 'battesimo' come futura agente dell'FBI (un obiettivo rimarcato appunto fin dall'incipit, con la strenua esercitazione fisica di Clarice nei boschi della Virginia). E Jonathan Demme fa sì che Clarice rimanga costantemente il principale elemento di focalizzazione per il pubblico: con i primissimi piani sul volto di Jodie Foster, ma ancor di più con l'impiego ricorrente di soggettive che aderiscono appieno allo sguardo della donna, mentre i suoi interlocutori si rivolgono dritti verso la macchina da presa, alimentando così il senso di immedesimazione e di empatia.
La Foster, con un'interpretazione intensa quanto ben calibrata che le sarebbe valsa il secondo Oscar come miglior attrice (tre anni dopo quello per Sotto accusa), sottolinea la determinazione della sua protagonista, un'outsider impegnata a guadagnarsi una piena credibilità in un ambiente prettamente maschile. Pur senza rinunciare alla propria femminilità (si veda la punta di compiacimento per il tentativo di flirt dell'entomologo), Clarice è ben consapevole di essere una donna in un "mondo di uomini", condizione che Demme rende esplicita con sottile ironia: una delle prime sequenze ci mostra la minuta Clarice entrare in un ascensore dell'Accademia pieno di agenti maschi che 'torreggiano' su di lei, mentre nella casa di una delle vittime Clarice è costretta a far fronte a una dozzina di poliziotti che la squadrano dall'alto in basso. La giovane, però, non si tira indietro rispetto alle sfide quotidiane della sua professione: alle insinuazioni del dottor Frederick Chilton (Anthony Heald) sulle motivazioni che l'hanno portata al Baltimore State Hospital ("Una donna attraente per indurlo ad aprirsi"), Clarice ribatte senza scomporsi: "Mi sono diplomata alla UVA, signore. E non è una scuola di bellezza".
"Uno che faceva un censimento una volta tentò di interrogarmi..."
È il volto simbolo de Il silenzio degli innocenti: un personaggio la cui fama (e infamia) ha travalicato di gran lunga i confini del film e del romanzo di provenienza, assumendo una statura iconica ben più ampia. Eletto miglior villain del grande schermo dall'American Film Institute, Hannibal Lecter, lo psicopatico cannibale amante dell'arte e della musica classica, è una figura dai connotati demoniaci, in grado di catalizzare l'attenzione e di generare inquietudine in virtù di un'ambiguità morale che costituisce il suo tratto distintivo. Il dottor Lecter, difatti, non è il vero e proprio antagonista della pellicola, ma arriva addirittura ad assumere la funzione di mentore per Clarice: quello fra i due è un rapporto di collaborazione vampiristico fondato sul celeberrimo quid pro quo. Per avere accesso alla mente di Buffalo Bill e farsi suggerire come individuarlo, Clarice deve dunque mettersi a nudo di fronte a Lecter, ma innanzitutto rivolgere il proprio occhio indagatore verso se stessa: riaprire una finestra sul passato (a Demme bastano una manciata di secondi, due fugaci sequenze in flashback), confrontarsi con il dolore per la perdita del padre e prendere atto dei fantasmi che popolano la sua anima... quei fantasmi la cui presenza si manifesta mediante il "grido degli agnelli" (lambs, sostituito da "innocenti" nel titolo italiano).
E fin dalla sua prima apparizione, in piedi nel vuoto della sua cella, con il volto impassibile e il ghigno sardonico di Anthony Hopkins, Hannibal si impone come l'innegabile mattatore del film, nonostante rimanga in scena per un totale di appena sedici minuti (si tratta della performance in assoluto più breve ad essere stata ricompensata con l'Oscar per un ruolo da protagonista). La fortuna di Hannibal, del resto, non è legata soltanto alla fantasia di Thomas Harris e alle battute proverbiali messe in bocca al personaggio ("Uno che faceva un censimento una volta tentò di interrogarmi: mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti"), ma anche ai sapienti dettagli sfoderati da Hopkins: quella voce che l'attore avrebbe definito a metà strada fra Katharine Hepburn e Truman Capote, la luce maligna che si accende nei suoi occhi, la compostezza imperturbabile di ogni singolo movimento. Hopkins tornerà a calarsi nella parte di Lecter nel 2001 per il sequel Hannibal di Ridley Scott (ma con Julianne Moore a rimpiazzare l'assente Foster) e nel 2002 per il prequel Red Dragon di Brett Ratner. Nel 2007 sarà la volta del giovanissimo Gaspard Ulliel per Hannibal Lecter - Le origini del male, mentre a partire dal 2013 lo psichiatra cannibale ha conosciuto una nuova incarnazione televisiva con Mads Mikkelsen nella magnifica serie horror Hannibal.
"E come cominciamo a desiderare, Clarice?"
A partire dallo stile registico (le soggettive, i piani ravvicinati a incorniciare il volto dei personaggi), il tema dello sguardo sembra proporsi come il leitmotiv de Il silenzio degli innocenti. Clarice, ben prima di agire (l'unica sequenza d'azione che la vede coinvolta è quella nel finale), è una detective che studia, analizza, osserva. La sua indagine si realizza in primis con l'esplorazione di territori sconosciuti, un "regno dell'incubo" in cui i meandri di una mente malata trovano il loro corrispettivo spaziale in una serie di luoghi raggelanti: il Baltimore State Hospital, antro infernale immerso nell'oscurità (eccezionale il lavoro sulla fotografia di Tak Fujimoto); il lugubre magazzino in cui giace il cadavere decapitato di Benjamin Raspail; le abitazioni delle ragazze vittime di Buffalo Bill, con le fotografie nascoste dentro un carillon; e infine la 'tana' del serial killer, un mostruoso labirinto sotterraneo assimilabile all'antro di un orco, fra cunicoli, stanze che celano orripilanti segreti e il pozzo in cui Bill tiene le sue prigioniere. Uno scenario, il nascondiglio di Buffalo Bill, che diventa il correlativo oggettivo dell'orrore: fin dalla prima, rapida incursione in questo gigantesco scantinato, attraverso un angoscioso piano sequenza.
Ma lo sguardo non è solo strumento di verità, l'arma con cui Clarice raccoglie e mette insieme i vari tasselli dell'enigma (è lei, non a caso, ad accorgersi del bozzolo di Acherontia Styx conficcato nella gola di un cadavere e a cogliere il volo di un lepidottero nella casa di James Gumb). Lo sguardo, ci ricorda il dottor Lecter, è anche l'indispensabile veicolo del desiderio: "Il desiderio nasce da quello che osserviamo ogni giorno. Non senti degli occhi che girano intorno al tuo corpo? E i tuoi occhi non cercano fuori le cose che vuoi?". E la nostra prima immagine del serial killer, infatti, è proprio lo sguardo di Buffalo Bill: uno sguardo 'meccanico', con il visore a infrarossi a simboleggiare la visione perversa e distorta della realtà da parte dell'assassino. Il suo visore notturno ritornerà anche nell'agghiacciante finale del film: la scena in cui Clarice, al termine del proprio percorso di formazione, deve sprofondare - letteralmente - nelle tenebre per affrontare Buffalo Bill, e insieme a lui i mostri del subconscio. Il duello fra lei e il killer rimane fra le sequenze più spaventose ed elettrizzanti del cinema moderno, con quel repentino salto di prospettiva che alterna il punto di vista di Clarice con quello di Buffalo Bill.
"Sto per avere un vecchio amico per cena stasera..."
Thriller in cui l'introspezione e la gestione della suspense convivono in perfetta simbiosi, strettamente correlate l'una all'altra, Il silenzio degli innocenti non è soltanto il capostipite di un intero filone di pellicole sui serial killer che, in un modo o nell'altro, hanno un forte debito verso il capolavoro di Jonathan Demme, ma ha saputo arricchire le convenzioni del genere di appartenenza con una densità psicologica, narrativa e simbolica che ha davvero pochi eguali. Il rapporto fra Clarice Starling e Hannibal Lecter, lontano dallo schematico dualismo fra detective e antagonista, si carica di sfumature di inedita ambiguità, rivelando la natura per certi versi complementare dei due personaggi, laddove il volto di Lecter diviene per Clarice una finestra sull'abisso; e l'epilogo, con la telefonata di Hannibal a Clarice, è il perfetto suggello della loro relazione. "Gli agnelli hanno smesso di gridare?", è la domanda che il dottor Lecter rivolge a Clarice, per poi aggiungere sornione: "Vorrei che potessimo parlare più a lungo, ma sto per avere un vecchio amico per cena stasera". Clarice tenta di richiamarlo al telefono, ma forse ormai si è resa conto di non poter fermare il Male; il massimo che le sia concesso sperare è un po' di sollievo dal grido degli innocenti...