Il nostro Billy non è nato criminale, Clarice: è stato reso tale da anni di sistematiche violenze. Billy odia la sua stessa identità, e pensa che questo lo renda un travestito; ma la sua patologia è mille volte più selvaggia e più terrificante.
"Bill skins fifth". Il crudo sensazionalismo del titolo di un ritaglio di giornale, uno fra i tanti appesi alla parete di un ufficio dell'FBI, è la prima, discreta manifestazione di Buffalo Bill. Siamo ancora alle scene iniziali de Il silenzio degli innocenti e Jonathan Demme, regista che ha fatto dell'economia narrativa una delle sue maggiori virtù, non ha bisogno di spiegazioni o antefatti per introdurci il mistero al cuore dell'intreccio: il rapido accenno nel dialogo fra Clarice Starling e Jack Crawford ci dice quel poco che, per il momento, abbiamo bisogno di sapere, lasciando il resto nel territorio dell'attesa. Anche perché da lì a breve un altro personaggio, Hannibal Lecter, si guadagnerà tutta la nostra attenzione.
Hannibal Lecter e Buffalo Bill
È innegabile d'altronde che l'immensa fortuna de Il silenzio degli innocenti, presentato a New York il 30 gennaio 1991, nonché il posto assunto dal film di Jonathan Demme nell'immaginario collettivo degli ultimi trent'anni siano legati in primo luogo allo psichiatra cannibale creato dalla penna dello scrittore Thomas Harris nel 1981, all'interno del romanzo Red Dragon. Nel 1988 Hannibal Lecter avrebbe assunto un ruolo analogo - ma più ampio - nel successivo libro di Harris, Il silenzio degli innocenti, per poi essere consacrato appunto dal capolavoro di Demme e grazie alla raggelante interpretazione di Anthony Hopkins (ingaggiato dopo il rifiuto di Sean Connery), assumendo addirittura i contorni dell'icona; al punto da oscurare quello che, a conti fatti, è invece l'autentico antagonista del romanzo e della sua trasposizione cinematografica.
Perché Il silenzio degli innocenti, a dispetto della straordinaria presenza scenica del cannibale di Anthony Hopkins, è in primo luogo la storia della caccia a Buffalo Bill, a cui presta il volto l'attore Ted Levine. Un altro villain memorabile, ma spesso messo in ombra dal dottor Lecter, che molto tempo prima lo aveva avuto in cura e che risulterà fondamentale per instradare la recluta Clarice Starling sulle tracce del serial killer. Non a caso la prima mezz'ora del film è dominata dai faccia a faccia fra Clarice e Hannibal: Demme ritarda il più possibile il nostro primo incontro con questo ulteriore 'mostro' e lo farà comparire sullo schermo solo dopo trenta minuti, in una breve sequenza che costituisce una magistrale lezione di suspense.
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Il primo incontro con Bill
Il volto della giovane Catherine Martin (Brooke Smith) al volante, mentre torna a casa cantando American Girl di Tom Petty all'autoradio, è il preludio a quell'evento ineluttabile che lo spettatore può anticipare alla perfezione. In un'inquietante alternanza di soggettive e controcampi, Demme ci costringe ad aderire alla prospettiva del serial killer, identificata dal visore a infrarossi che lo rende ancor di più una "creatura delle tenebre", per poi spostarsi su quella di Catherine, pronta ad aiutare uno sconosciuto in difficoltà. Di Buffalo Bill abbiamo solo un primissimo piano degli occhi e poi una visione a distanza, offuscata, con un berretto a coprirgli parte del volto; mentre il suo primo atto di violenza, l'aggressione a Catherine, avviene al di là del telone di un camion.
Ne Il silenzio degli innocenti, la violenza più esplicita ed efferata convive con un orrore nascosto, suggerito, ma per questo perfino più sinistro. Quando, dopo oltre un quarto d'ora, Demme ci fa scendere nell'antro di Buffalo Bill, la scena dura solo una manciata di secondi, ma non potrebbe essere più incisiva: la macchina da presa si aggira in quei meandri angusti come farebbe lo sguardo di un visitatore; si sofferma appena su una sagoma seduta, di spalle, in quel laboratorio che è un'apoteosi di grand guignol e horror vacui, per poi procedere in direzione del pozzo da cui provengono le urla di Catherine. La vittima è ancora invisibile al pubblico, ma la paura della ragazza si avverte in maniera inesorabile sullo schermo.
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La trasformazione del lepidottero
Buffalo Bill, nome coniato dalla stampa per il maniaco Jame Gumb, è un antagonista complementare rispetto al più celebre villain de Il silenzio degli innocenti. Tanto il dottor Lecter ci appare freddo, lucido, caratterizzato da un'intelligenza sardonica e, a suo modo, perversamente seducente, quanto Gumb si rivela rozzo nelle sembianze e nell'eloquio: dal semplice ordine impartito a Catherine con frustrazione crescente (il proverbiale "Mettere la lozione nel cesto") alla puerile derisione della sua prigioniera; dalla furia scomposta di fronte alla minaccia che incombe sull'adorata Precious, la Bichon così 'stonata' in quella cornice tanto inesorabilmente cupa, alle sillabe strascicate nella sua voce nasale mentre risponde alle domande dell'ignara Clarice.
Bill, il lepidottero desideroso di incarnare la bellezza della farfalla, è un dottor Frankenstein impegnato a cucire per se stesso una nuova pelle: un'identità femminile che sembra quanto di più lontano da quella mascolinità brutale, e che proverà ad emergere, in prossimità dell'epilogo, in una grottesca performance sulla musica di Goodbye Horses, aperta dai primissimi piani di singoli dettagli anatomici per culminare con quella figura androgina che ondeggia davanti a un obiettivo, rivolta verso di noi, fino a mostrarsi nella sua nuda, spaventosa interezza. Un'eco della metamorfosi agognata dall'altro grande serial killer del precedente libro di Thomas Harris, il Dente di Fata di Red Dragon.
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Faccia a faccia con l'orrore
L'alter ego 'femminile' di Buffalo Bill è il frutto di una duplicità metaforica, priva di legami con un'autentica identità transgender (ma il film, all'epoca, non mancò di suscitare polemiche in tal senso), e crea un contrasto stridente con l'individuo che, subito dopo, aprirà la porta a Clarice Starling, dando il via a uno dei finali più elettrizzanti mai girati: dalla tensione che cresce progressivamente nel dialogo fra Jodie Foster e Ted Levine, fino alla drammatica epifania di Clarice (per la quale, a Demme, basta l'inquadratura di un lepidottero), alla forsennata "caccia al mostro" nell'oscurità del suo atroce labirinto sotterraneo, correlativo spaziale della selvaggia follia di Gumb.
Ancora una volta la scelta di Jonathan Demme, che alla soggettiva di Clarice sostituisce lo sguardo 'meccanico' di Buffalo Bill, rimarca una delle ragioni della magnificenza del film: forse più di ogni altro thriller, perlomeno dai tempi di Psycho, Il silenzio degli innocenti riesce a farci sperimentare il confronto con l'ignoto, la pazzia e l'orrore secondo una doppia prospettiva, prima offrendocene una visione 'frontale' ed estranea per calarci subito dopo nei panni del mostro, nella sua mente e nei suoi occhi. Mentre il duello conclusivo fra Clarice Starling e Buffalo Bill è il contatto diretto con un Male inconoscibile, affrontato non a caso nel buio più completo: un terrificante enigma, che magari è possibile abbattere ma che è destinato a rimanere insoluto.
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