Anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro...
Il 19 dicembre 2001, nei cinema di quasi tutto il mondo faceva il suo esordio Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'Anello: il primo capitolo di un'operazione titanica che avrebbe segnato un 'prima' e un 'dopo' per il genere fantasy e che avrebbe contribuito a rinverdire la fama (già vastissima) del capolavoro letterario scritto mezzo secolo prima da John Ronald Reuel Tolkien. Quella del regista neozelandese Peter Jackson si proponeva come un'impresa proibitiva: sia sul piano produttivo, con tre film girati in sequenza per oltre nove ore di durata (undici ore nell'edizione integrale) e trecento milioni di dollari di budget; sia per le difficoltà insite nell'adattare una trilogia monumentale di milletrecento pagine, attorno alla quale si è sviluppato un vero e proprio culto da parte di intere generazioni di lettori.
A vent'anni di distanza, sappiamo bene che la scommessa di Peter Jackson si è rivelata un trionfo su tutta la linea: Il Signore degli Anelli non è diventato soltanto una delle serie cinematografiche di maggior successo di ogni epoca, con tre miliardi di dollari d'incasso, ma ha imposto un nuovo standard nell'ambito del cinema fantasy, standard che da allora è rimasto insuperato (neppure lo stesso Jackson, quando si è cimentato con Lo Hobbit, è riuscito a replicare gli esiti della precedente saga). E a sancire la straordinarietà di un progetto simile bastò già quel primo, memorabile kolossal: Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'Anello raccolse un totale di centosessanta milioni di spettatori, si aggiudicò quattro premi Oscar (per la colonna sonora, la fotografia, il trucco e gli effetti speciali) su tredici nomination e dimostrò senza ombra di dubbio che la Terra di Mezzo poteva rivivere sullo schermo, mantenendo intatto il potere di fascinazione delle pagine di Tolkien.
La Terra di Mezzo da J.R.R. Tolkien a Peter Jackson
L'approccio adottato da Peter Jackson e dalle sue co-sceneggiatrici, Fran Walsh e Philippa Boyens, è contraddistinto da una fedeltà scrupolosa ma non pedissequa al testo di partenza. Il romanzo di J.R.R. Tolkien, del resto, è già caratterizzato da un ritmo e da una vivacità che ben si prestano al medium cinematografico, come dimostrava un'altra, magnifica trasposizione: Il Signore degli Anelli di Ralph Bakshi, film animato del 1978 che in poco più di due ore racchiudeva gli eventi de La compagnia dell'Anello e un'abbondante metà de Le due torri, chiudendosi con la vittoria dell'esercito di Rohan al Fosso di Helm e durante il tragitto di Frodo, Sam e Gollum nella terra di Mordor. Sebbene la pellicola di Ralph Bakshi, a dispetto delle proprie qualità, purtroppo sia rimasta priva di una conclusione, Jackson l'avrebbe utilizzata a più riprese come modello per il suo La compagnia dell'Anello sia a livello visivo, sia dal punto di vista narrativo.
Innanzitutto, il film non si rivolge esclusivamente agli appassionati di Tolkien: anche chi non avesse mai letto una riga de Il Signore degli Anelli è messo in condizione di orientarsi con facilità nell'universo e nell'immaginario creati dallo scrittore inglese, a partire dall'antefatto delle vicende. Come l'opera di Bakshi, anche quella di Jackson si apre infatti con un prologo dedicato alla guerra contro Sauron e alla travagliata storia dell'Anello, che dal leggendario Principe Isuldur sarebbe passato al dito di Gollum e in seguito a quello di Bilbo Baggins, fino ad approdare nella Contea. Ma dopo aver posto le fondamenta del racconto, il film può assumere un respiro diverso: per far percepire appieno la minaccia di Sauron è essenziale mostrare innanzitutto la quotidianità della Contea, locus amoenus in cui le esistenze degli hobbit scorrono con placida serenità, immerse in un idillio tanto idealizzato, quanto incredibilmente concreto nella sua variopinta ricchezza di dettagli.
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Un viaggio nell'oscurità
È questa ricchezza, con la sua minuziosa rievocazione del mondo dipinto dalla prosa di Tolkien, a favorire la capacità immersiva de La compagnia dell'Anello fin dai primissimi minuti; in compenso, Peter Jackson non tarda a innescare il conflitto fra la ridente solarità della comunità degli hobbit e le ombre che, nel frattempo, si stanno addensando a Est. Se nel romanzo di Tolkien la "discesa nell'oscurità" può essere più lenta e graduale (ma non per questo meno angosciosa), nel film il Male è fin dall'inizio una presenza spaventosamente tangibile: basti pensare che già l'incipit ci mostra l'Oscuro Signore nella sua imponente fisicità, laddove al contrario Tolkien lo rendeva un'entità astratta e 'invisibile' allo sguardo del lettore. Jackson, inoltre, dà ulteriore forma alle forze delle tenebre: il Saruman di Christopher Lee è un ferocissimo emblema della corruzione del potere, mentre i Nazgul riprendono l'essenza quasi fantasmatica degli indimenticabili Cavalieri Neri del film di Bakshi.
Il profondo rispetto della fonte letteraria, tuttavia, non è mai un vincolo ineludibile, e anche in tal senso Jackson segue saggiamente l'esempio di Bakshi: un'intera sezione de La compagnia dell'Anello, quella compresa fra il sesto e l'ottavo capitolo (la vecchia foresta, l'incontro con Tom Bombadil e lo spettro dei Tumulilande), viene espunta anche dalla trasposizione del 2001, mantenendo così il focus sulla fuga di Frodo e dei suoi compagni dai Cavalieri Neri. Verso la metà del film, invece, la compagnia si allarga per accogliere i nuovi personaggi che, sotto la guida del Gandalf di Ian McKellen, intraprenderanno il viaggio verso il Monte Fato, con l'intento di distruggere l'Anello di Sauron. Il ritmo accelera, le ambientazioni variano costantemente nell'arco di pochi minuti (per Jackson e il suo team, è l'occasione per uno sfoggio di magnificenza produttiva senza precedenti) e i toni ricordano quelli di un autentico film d'azione, con lo scontro tra Gandalf e il Balrog a segnare il picco della tensione nella macro-sequenza all'interno delle miniere di Moria.
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Un Anello per ghermirli e nel buio incaternarli
A vent'anni dalla canonizzazione de La compagnia dell'Anello, sarebbe pleonastico ribadire ancora una volta quegli elementi che lo hanno reso una delle pietre miliari del cinema degli anni Duemila, e non solo nell'ambito del fantasy: la spettacolarità abilmente orchestrata, l'apporto di effetti speciali all'avanguardia e di un prodigioso comparto tecnico, l'inappuntabile perfezione nelle scelte di casting (da grandi nomi quali Ian McKellen e Cate Blanchett a Elijah Wood, Viggo Mortensen e una splendida squadra di comprimari). Ma il nucleo dell'adattamento di Peter Jackson, la principale ragione della sua efficacia e della sua bellezza, risiede nel modo in cui ha saputo riproporre lo spirito del magnum opus di J.R.R. Tolkien: il dualismo fra una realtà, quella di Frodo Baggins e dei suoi amici hobbit, ancora immersa in una fanciullesca "età dell'innocenza", e un percorso di formazione imperniato sulla scoperta della sofferenza e del Male.
Per Frodo, così come per il suo fedele Sam e per i loro compagni di viaggio, l'abbandono della Contea costituisce il distacco dal conforto di un rassicurante background familiare e sociale per prendere coscienza di un'alterità spesso cupa e irta di pericoli, ma talvolta in grado di rivelarsi pure luminosa ed entusiasmante. Quando Tolkien, sull'onda della fortuna de Lo Hobbit, componeva Il Signore degli Anelli, lo spettro dei totalitarismi si allargava a macchia d'olio su un'Europa devastata dalla guerra più sanguinosa dell'età contemporanea; è inevitabile supporre che eventi di tale portata abbiano influenzato la fantasia dell'autore inglese, accentuando quel senso di catastrofe imminente che grava sui protagonisti. Il Signore degli Anelli è un grande racconto epico in cui immense responsabilità morali sono poste sulle esili spalle di persone comuni, e in fondo sia i libri che i film ci parlano proprio di questo: piccoli, grandi individui, dalla provenienza e dalla cultura più disparate, determinati a fare fronte comune per il bene collettivo e pronti ad assumersene tutti i rischi. Perché come osservava Gandalf, in risposta allo sconforto di Frodo, "Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato".
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