Una guerra di cuscini che non lesina l'esibizione insistita delle curve femminili davanti alla macchina da prese, e una scalcinata chiesetta di provincia dove il povero Don Simone celebra matrimoni mentre piove sull'altare. Si apre così Il sesso degli angeli, quattordicesimo film di Leonardo Pieraccioni, indiscusso protagonista di quella comicità toscana di provenienza cabarettistica che negli anni '90 conobbe la sua età dell'oro; I Laureati, Il ciclone, Fuochi d'artificio tanto per citare alcuni dei titoli che segnarono un'epoca nella storia della commedia italiana. Duole constatare oggi come nel tempo quella vis comica sia andata perduta a favore di storie allettanti sulla carta, ma sullo schermo zeppe di luoghi comuni e vecchie gag. E, come leggerete nella recensione de Il sesso degli angeli in sala dal 21 aprile, questo film non fa eccezione. Si ride poco, si crede ancora meno ai personaggi che si agitano in scena, e la sensazione è quella di una comicità anacronistica, lontana dal tempo e vittima di un vecchio moralismo.
Tra sacro e profano
La storia de Il sesso degli angeli parte da buone premesse attraverso la classica esplorazione di sacro e profano da sempre frequentata da un certo tipo di comicità. Leonardo Pieraccioni, che scrive la sceneggiatura insieme a Filippo Bologna, si cuce addosso il personaggio del prete di provincia che finirà per confrontarsi con una profonda crisi spirituale. Lo si definisce prete "di frontiera", Don Simone è infatti un ometto di chiesa sui generis, poco ortodosso nei modi e disposto a tutto pur di coinvolgere i giovani presi dalla vita sui social più che da quella religiosa, senza un soldo e alle prese con una chiesetta che cade a pezzi, frequentata principalmente da un manipolo di vecchiette che recitano il rosario con lo stesso automatismo di un assistente vocale inceppato. Ad assisterlo ci pensano l'ingenuo Finizio e il fedele sagrestano Giacinto, ma non bastano a risollevare le sorti della parrocchia.
La svolta potrebbe arrivare invece con la notizia inaspettata di un'attività molto redditizia con sede in Svizzera, ereditata dopo la morte improvvisa dell'eccentrico zio Waldemaro; per questo decide di partire alla volta di Lugano accompagnato dal sodale Giacinto. Ma una volta arrivati a destinazione scoprirà di aver ereditato una casa chiusa, attività perfettamente legale in Svizzera, gestita dall'avvenente direttrice, Lena, e abitata da un gruppo di ragazze affascinanti che lì lavorano liberamente da anni. Don Simone si ritrova così davanti ad un aut aut di natura etica: accettare l'eredità che risolverebbe una volta per tutte i problemi economici della Chiesa degli Angeli o rifiutarla in nome della propria vocazione?
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Poche risate, tanta morale
Sarà proprio questo il dilemma attorno al quale la commedia costruisce la sua impalcatura di gag, siparietti e equivoci, peccato che tutto sia affrontato con molta leggerezza e superficialità. La risata stenta a decollare, la comicità è ancorata a vecchi stilemi e in più di un'occasione finisce per essere strozzata da quello stesso moralismo bigotto che vorrebbe invece prendere di mira. Il dubbio che assale Don Simone dura giusto il tempo di qualche battuta, risolto in maniera repentina e buonista spreca l'occasione di affrontare la questione del celibato ecclesiastico o della prostituzione legalizzata in maniera più incisiva e con qualche risata in più.
L'atteggiamento salvifico del parroco di paese che pretende di redimere le giovani prostitute e riportarle sulla retta via ("Io vorrei che cambiaste mestiere", dice Don Simone in una serata passata a esprimere desideri), quando qualcuna gli fa pure notare "A me piace", soffoca sul nascere ogni guizzo narrativo e stronca qualsiasi soluzione si allontani dalla lezioncina di morale spicciola. Anche i personaggi sono privi di spessore, hanno poco spazio di azione e rimangono ancorati a battute agé e stereotipate: Sabrina Ferilli nei panni della maitresse Lena cerca di fare del suo meglio, ma la scrittura non le dà molte possibilità, Massimo Ceccherini in quelli dello zio passato a miglior vita si limita a ripetere "puppa la pera", che nelle intenzioni dovrebbe servire a incitare il nipote a godersi un po' di più la vita. Una commedia il cui peccato originale è quello di essere accomodante, consolatoria quando il tema avrebbe forse richiesto un po' più di sano coraggio e irriverenza.
Conclusioni
La recensione de Il sesso degli angeli si chiude con l’amara constatazione di quanto detto in precedenza. Leonardo Pieraccioni questa volta firma una commedia priva di coraggio, ancorata ad una sceneggiatura debole e affrettata, popolata da personaggi più vicini a macchiette che non a persone. Si ride poco e la sensazione è che a prendere il sopravvento sia quell’ortodossia e quel moralismo bigotto dai quali il protagonista Don Simone, prete sui generis e di frontiera, sembrerebbe volersi affrancare.
Perché ci piace
- La scelta dei temi affrontati in una miscela di sacro e profano costituisce una buona premessa. Gli spunti comici sarebbero infiniti.
- La storia sulla carta offre delle buone possibilità.
Cosa non va
- Una sceneggiatura superficiale tanto nella caratterizzazione dei personaggi, privi di spessore, quanto nelle svolte narrative affrettate e prive della giusta credibilità.
- Si ride poco, complice una comicità ancorata a vecchi stilemi e battute stereotipate.
- In più di un’occasione il film finisce per essere vittima di quello stesso moralismo bigotto che vorrebbe invece prendere di mira.
- Più coraggio e irriverenza avrebbero potuto dare una verve e una direzione diversa.