Recensione For Love's Sake (2012)

Un nuovo calderone di generi e stili, mescolati insieme a ritmo vertiginoso, che spinge ancora più in là le sperimentazioni di pellicole come Happiness of The Katakuris e offre 134 minuti in cui Miike inserisce tutte le sue ossessioni cinefile, fumettistiche e pop.

Il ritorno dell'eversore

Sulle montagne del Giappone, in una stazione sciistica, due ragazzini si scontrano mentre stanno scendendo con i loro sci da un pendio; è una collisione di due mondi, oltre che di due piccoli corpi, visto che lui è di condizioni modeste, lei ricca e viziata. Una decina d'anni dopo, i due si ritrovano altrettanto casualmente: Makoto è diventato un bullo di quartiere sempre impegnato in risse e scontri di bande, mentre Ai è una studentessa modello di un'esclusiva scuola privata. Durante una di queste risse, di cui Ai è casuale testimone, la ragazza riconosce il bambino che l'aveva aiutata anni prima, e decide di ripagare il suo debito togliendolo dalla strada; ma non basterà l'aver convinto il suo influente padre a far accettare Makoto nella scuola da lei frequentata. Il giovane, infatti, non sembra aver alcuna intenzione di modificare il suo modo di fare, nichilista e sempre teso a mettersi nei guai, e oltretutto non pare affatto gratificato dalle attenzioni, che considera fastidiose e soffocanti, di Ai. Ma il destino, per questi due personaggi dai caratteri così apparentemente inconciliabili, riserverà ancora parecchie sorprese.

Dopo aver rallentato di molto il ritmo delle sue regie, e aver offerto ai suoi spettatori, negli ultimi anni, due prodotti apparentemente lontani dal suo usuale modo di fare cinema (i chanbara 13 assassini e Harakiri) Takashi Miike dimostra di non voler rinunciare alla sperimentazione e alla voglia di stupire il pubblico. For Love's Sake, infatti, trae ispirazione da un manga scritto negli anni '70 (e già portato più volte sul grande e sul piccolo schermo) ma fa ancora una volta della contaminazione di generi (e di linguaggi) la sua peculiarità principale. Inizia e finisce con due sequenze animate, il film di Miike, si sviluppa come un deragliante film di gang giovanili contaminato dal musical, per avvicinarsi poi gradualmente, ma in modo sempre più deciso, a un fiammeggiante melodramma, costellato però di inserti onirici e addirittura horror. Un nuovo calderone di generi e stili, insomma, mescolati insieme a ritmo vertiginoso, che spinge ancora più in là le sperimentazioni di Happiness of The Katakuris e offre 134 minuti in cui Miike inserisce tutte le sue ossessioni cinefile, fumettistiche e pop. Controllando di più, rispetto al passato, gli eccessi di violenza, ma non cedendo niente sul terreno dell'estremismo visivo e del gusto per la provocazione, il regista nipponico offre un altro prodotto complesso, impossibile da catalogare e più sfaccettato di quanto possa apparire a uno sguardo superficiale.
La storia di Ai e Makoto è narrata come una specie di Titanic alla rovescia, in cui il personaggio povero è davvero sgradevole e apparentemente egoista, mentre la ragazza ricca è decisa nel suo proposito di aiutarlo, al punto di sfiorare il masochismo nella sua determinazione a ripagare il suo debito. Intorno ai due protagonisti si muove una pletora di personaggi pittoreschi e sopra le righe, tra cui i pomposi genitori della ragazza, il suo spasimante gentile e puro di cuore (che come da copione sarà puntualmente respinto), un'improbabile gang femminile capitanata da una ragazza per cui la parola "triste" è peggio di un insulto, un diciassettenne con una montagna di muscoli a cui una rara malattia ha dato l'aspetto di un trentenne, e una "misteriosa" donna alcolizzata, la cui intuibile identità ci viene svelata solo nell'ultima parte della pellicola. Se si vuole valutare il film con i parametri più convenzionali, bisogna dire che non tutto nella sceneggiatura funziona al meglio, che alcuni sviluppi narrativi sono effettivamente troppo prevedibili, che alcune sottotrame non sono approfondite a dovere. Tuttavia, bisogna pur sempre considerare che siamo di fronte a un film di Miike, e di quelli più liberi e fuori dagli schemi: l'equilibrio narrativo è una caratteristica che fin dall'inizio capiamo non abitare da queste parti, e che probabilmente non interessava neanche al regista.
For Love's Sake ha comunque l'indiscutibile pregio di non annoiare mai nelle sue due ore e un quarto di durata, di restituirci un regista unico nel panorama mondiale nella sua versione più libera ed eversiva, e di riuscire anche ad emozionare, alla fine, con una componente melò che viene prepotentemente in primo piano. La stampa presente al Festival di Cannes, che ha presentato il film fuori concorso nella Midnight Screening, ha reagito in modo piuttosto freddo: ma non ha importanza, visto che neanche il piacere ad un pubblico da festival è mai stato, palesemente, tra le priorità del regista. Ma quando vuole (vedi le due già citate pellicole precedenti) Miike sa fare anche questo; ed è anche per questo motivo che continuiamo, incondizionatamente, ad amarlo.

Movieplayer.it

4.0/5