Se avete già visto al cinema Il regno del pianeta delle scimmie e siete rimasti colpiti dal lavoro tecnico e artistico espresso dal team degli effetti speciali, non siete soli: anche noi siamo rimasti folgorati dalla qualità della CGI e della costruzione visiva del film diretto da Wes Ball, di gran lunga più estesa e complessa della trilogia precedente. Un passo avanti, in termini di ampiezza e complessità del lavoro, che abbiamo avuto il piacere di discutere con tre degli artisti di casa Weta coinvolgi nel progetto: Emiliano Padovani, Look Dev Supervisor, Alessandro Saponi, CG Supervisor, e Giuseppe Tagliavini, Compositing Supervisor. E i nomi non tradiscono, si tratta di tre italiani che si sono imposti da anni nel campo degli effetti visivi e hanno preso parte a numerosi progetti tra i più in vista del settore, dai precedenti film della saga de Il pianeta delle scimmie agli Avatar di James Cameron. Basta guardare i loro curricola per rendersi conto che sanno quel che fanno e ne Il regno del pianeta delle scimmie lo hanno dimostrato ancora una volta.
Nuovi strumenti per nuove sfide
Ogni film con effetti visivi importanti come è il caso de Il Regno del Pianeta delle Scimmie è una sfida, ma in cosa questo progetto è stato diverso, e forse più complesso, di altri titoli a cui il team ha lavorato in passato? Giuseppe Tagliavini, la cui squadra si è occupata soprattutto del terzo atto del film, ha spiegato come abbia introdotto nuove idee nel campo del compositing, che è il suo campo di lavoro: "abbiamo introdotto nuovi tool, nuovi strumenti, che ci hanno permesso di dare maggior realismo alla CGI. Abbiamo cercato di ricreare in minimi dettagli l'effetto della lente sul set con una tecnica che si chiama Point Spread Function: in pratica ricrea esattamente ciò che fa una lente originale, quindi quelle imperfezioni che danno un maggior realismo."
"C'erano un paio di cose che non avevamo mai affrontato negli altri film della precedente trilogia" ha invece aggiunto Emiliano Padovani e fa ovviamente riferimento alle scene di inondazioni presenti in questo film: "l'idea di avere queste grosse simulazioni d'acqua e personaggi che nuotano, è qualcosa che non avevamo ancora dovuto gestire ed è stato sin dall'inizio un punto di interesse e di preoccupazione, a seconda di come la si vuole vedere." Non è però l'unico aspetto differente e da gestire: "a differenza degli altri film della precedente trilogia, avremmo dovuto lavorare su personaggi nuovi. Nei precedenti, dal primo al secondo e poi al terzo era un continuum e si poteva continuare a rifinire i personaggi. I film transitavano l'uno nell'altro. Qui c'è invece uno stacco dal punto di vista creativo e abbiamo dovuto fare i conti col fatto che il design dei personaggi dovesse adattarsi a delle necessità differenti."
Non solo acqua
Alessandro Saponi ci tiene però ad aggiungere un dettagli a quanto detto da Padovani: "era anche la prima volta che facevamo personaggi con pelo all'interno di una simulazione di acqua. In altri progetti abbiamo simulato personaggi con vestiti e capelli dentro masse d'acqua, ma mai personaggi con tutto quel pelo di cui la simulazione doveva tener conto. Soprattutto gli orangotanghi, che sono scimmie a pelo lungo. Abbiamo dovuto capire come gestire le simulazioni dell'acqua verso il pelo e del pelo verso l'acqua, in modo reciproco." Un'ulteriore precisazione di Saponi riguarda il discorso delle lenti a cui ha accennato Tagliavini: "quel lavoro è stato fatto anche a livello di rendering, perché abbiamo fatto delle scansioni laser delle che abbiamo usato nel film, per sapere che spettri di luce assorbono e quindi come applicare questi informazioni al render."
Un altro aspetto differente de Il regno del pianeta delle scimmie rispetto ai film precedenti è il tempo passato, un intervallo che si sarebbe dovuto vedere e percepire su schermo. Un lavoro iniziato già in scrittura e in pre-produzione, ma soprattutto sviluppato man mano che il progetto prendeva forma sotto i loro occhi: quindi l'asfalto distrutto, più rovine, più macerie e più vegetazione ovunque, ma anche necessario "trovare un bilanciamento tra il tempo passato e la necessità importante di far sì che tutto fosse riconoscibile, per lasciare agganci con il mondo del nostro presente."
Il valore aggiunto degli effetti visivi
Tra le sequenze di cui vanno più fieri e altri dettagli interessanti, la nostra conversazione è andata avanti ma non senza riflettere su un aspetto: cosa deve avere oggi un film per poter lasciare il segno e colpire l'immaginario popolare come fece all'epoca della sua uscita il primo Il pianeta delle scimmie, grazie a quel finale così iconico e potente? "Ci sono dei film che nel momento in cui escono non hanno un peso, non vengono percepiti come di particolare spessore" ci ha detto Emiliano Padovani, "ma col tempo la storia del cinema rende loro conto." Ma c'è un elemento da tenere in considerazione, secondo Alessandro Saponi: "se gli effetti visivi sono fine a se stessi, non funzionano mai. Il pubblico ci ha fatto il callo. Magari funzionava venti o trent'anni fa, quando ce n'erano meno, ma oggi il pubblico si è abituato a distinguere cosa è fatto bene e cosa no. È cambiato il palato del pubblico e il nostro lavoro deve adattarsi anche a questo."