La prima stagione di Il Re è disponibile su Sky e NOW Tv: gli autori Stefano Bises, Peppe Fiore, Bernardo Pellegrini, Davide Serino, insieme al regista Giuseppe Gagliardi, hanno trasformato uno dei volti più rassicuranti del panorama televisivo italiano, quello di Luca Zingaretti, in un personaggio oscuro, complesso, inquietante.
L'attore è Bruno Ristori, direttore di un carcere in cui vengono mandati i detenuti più difficili. Non sanno che chi li controlla è ancora più feroce di loro: nel microcosmo del carcere Bruno ha creato una sua società alternativa, con una gerarchia precisa. Ovviamente è in testa: il re del titolo è proprio lui.
Dopo 1992, Giuseppe Gagliardi torna a lavorare a una serie originale Sky. Abbiamo parlato di Il re proprio con lui e con lo sceneggiatore Peppe Fiore: la principale fonte di ispirazione per il personaggio interpretato da Luca Zingaretti è Vic Mackey di The Shield, ma in queste otto puntate hanno cercato di raccontare soprattutto l'Italia di oggi, attraverso l'ambiente chiuso del carcere.
Il Re: intervista a Giuseppe Gagliardi e Peppe Fiore
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Il Re: tra The Shield e Apocalypse Now
Il personaggio di Bruno Ristori, interpretato da Luca Zingaretti, è un mix tra Vic Mackey di The Shield e il colonnello Kurtz di Marlon Brando. Vi siete ispirati a loro?
Giuseppe Gagliardi: Dal punto di vista di intenzione credo che Luca si sia ispirato molto al colonnello Kurtz. Io ho voluto utilizzare delle lenti panoramiche, proprio come quelle usate in Apocalypse Now. Sono lenti che hanno fatto la storia del cinema. Questo mi ha permesso di restituire un immaginario di quel tipo. Raccontare un personaggio con un forte lato oscuro è stata la sfida per farsi ispirare anche a livello stilistico. La deformazione interiore del personaggio finisce anche sullo schermo.
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Peppe Fiore: Sveliamo gli altarini: Vic Mackey di The Shield era una delle nostre reference. Gli sceneggiatori, anche se si sentono complessi, in realtà sono molto semplici: abbiamo tutti quelle serie in testa da 20 anni. E alla fine uno torna sempre là. The Shield per noi è una di quelle. L'idea era quella di avere un personaggio che, formalmente, è rappresentante di un ordine, burocratico, legale, di stato, ma poi all'interno di quell'ordine costruisce il suo, che funziona meglio di quello ufficiale.
Il Re: il carcere come specchio della società italiana
Dalla serie emerge una forte rabbia sociale, che si rispecchia nelle inquadrature e nella recitazione molto fisica degli attori. Come ci avete lavorato?
Peppe Fiore: Più che dalla rabbia sociale siamo partiti dai dati: abbiamo analizzato la cronaca delle vicende carcerarie italiane. Il carcere in Italia non è un argomento innocente. Fare un prison drama in Italia non è come farlo in altri paesi. Dentro il San Michele abbiamo cercato di mettere dentro il genere dei pezzi, più o meno camuffati, di esperienza carceraria italiana. Quindi episodi di violenza, il fatto che sia un'ala di detenuti musulmani, il confronto costante tra culture diverse dentro la stessa arena.
Giuseppe Gagliardi: La cosa bella della serie è proprio questo conflitto che è il riflesso del conflitto che c'è fuori. È stato bello poter raccontare un microcosmo che è il riflesso dei conflitti che ci sono fuori. Volevamo raccontare come un luogo di quel tipo metta in moto una serie di relazioni e di dinamiche esasperate, ma che sono il frutto di quello che avviene nella società.
Quell'inquadratura folle del detenuto nudo appeso a testa in giù che si vede nei primi due minuti fa capire subito che fate sul serio: hai dovuto lottare per inserirla?
Giuseppe Gagliardi: No, anzi. Ci dava la possibilità di entrare subito nel vivo. È stato un bello spunto da parte degli sceneggiatori. Volevamo far capire al minuto due chi è Bruno e come la pensa.