A venticinque anni dall'uscita, Il re leone rimane il film d'animazione realizzato con tecniche tradizionali più visto di sempre. Non sorprende quindi che il remake digitale fotorealistico, attualmente nelle sale italiane, abbia saputo attirare una nuova generazione di fan, contribuendo in modo sostanziale a quella che sarà indubbiamente un'annata da record, molto probabilmente irripetibile, per la Disney: con un incasso globale di oltre un miliardo e mezzo di dollari mentre scriviamo queste righe è il più grande successo animato in assoluto della Casa del Topo e il secondo maggiore incasso del 2019 nel mondo, nonché il primo in classifica per quanto riguarda il recente filone dei remake dei classici d'animazione della Disney.
Questo nonostante un'accoglienza critica abbastanza fredda e numerosi dubbi da parte dei fan dell'originale, che hanno messo in discussione - e non del tutto a torto - la logica di riproporre lo stesso film con un'estetica diversa e alcune strategiche modifiche di sceneggiatura (film di cui abbiamo parlato anche noi nella nostra recensione de Il Re Leone). Un contrasto che ci ha dato l'incentivo giusto per fare il punto della situazione per quanto riguarda la questione dei remake, che proprio con questo film hanno forse raggiunto un punto di non ritorno.
I remake Disney: un filone poco originale?
Escludendo un paio di titoli usciti negli anni Novanta (La carica dei 101 con Glenn Close e una versione più realistica di Mowgli - Il libro della giungla, senza animali parlanti), l'attuale ciclo dei remake Disney è iniziato nel 2010 con Alice in Wonderland e si è consolidato nel 2014 con Maleficent, divenendo un appuntamento annuale o quasi (da allora solo il 2018 è stato privo di un vero e proprio remake, essendo Ritorno al Bosco dei 100 Acri una sorta di sequel). Due titoli che, a loro modo, qualcosa da raccontare ce l'avevano: il primo era un misto di remake e sequel, con un'iconografia equamente condivisa tra la versione animata e l'immaginario del regista Tim Burton; il secondo invece proponeva una storia classica - La bella addormentata nel bosco - da un punto di vista inedito, quello di Malefica, con tanto di retcon e finale completamente diverso (difatti a breve uscirà il seguito). Poi ci sono stati Cenerentola e Il libro della giungla, dove gli elementi riconoscibili - in particolare alcune delle canzoni - andavano di pari passo con reinterpretazioni interessanti sul piano narrativo (soprattutto nel secondo caso, dove c'è un ragionevole compromesso tra le atmosfere più dark del testo originale e il tono scanzonato del classico Disney).
Il Re Leone: le differenze tra il remake 2019 e il cartoon Disney
Poi è arrivato La Bella e la Bestia, il primo remake a seguire molto fedelmente il canovaccio originale (anche se nelle prime fasi di lavorazione la sceneggiatura differiva notevolmente dal prototipo), come poi accaduto anche con Aladdin e Il Re Leone. Tre film che, non a caso, sono basati su lungometraggi del cosiddetto "Rinascimento Disney" (periodo che va dal 1989 al 1999), concepiti con l'idea di trasporre in forma animata gli stilemi di un musical di Broadway (per poi arrivare a loro volta sul palcoscenico e in seguito tornare al cinema), e quindi difficili da rendere in questa nuova incarnazione - che a suo modo sostituisce la pratica di far uscire la versione classica a intervalli regolari nel corso degli anni - senza che le modifiche smorzino lo spirito della Disney, a detta della major. Un ragionamento che, sul puro piano commerciale, non fa una piega: escludendo il film di Burton del 2010 (che sfruttò soprattutto la moda del 3D), gli unici remake ad aver superato il traguardo del miliardo di dollari sono proprio quelli che, per quanto erroneamente, vengono chiamati dei "copia incolla" dai fan delle versioni originali, mentre quelli che differiscono maggiormente - Il drago invisibile nel 2016 e Dumbo quest'anno - sono andati abbastanza male al botteghino.
E ora?
Con l'ultimo remake de Il Re Leone siamo arrivati al paradosso: reazioni per lo più negative non solo da parte della stampa, ma anche da chi tutto sommato trovava comprensibile il filone fino a un certo punto, eppure il pubblico è accorso in massa, forse perché una sana dose di familiarità (al punto che in inglese la voce di Mufasa è la stessa del 1994) è proprio ciò di cui aveva bisogno. Ed è quella familiarità che, almeno nei prossimi due anni, mancherà all'appello per quanto riguarda le incursioni del filone sul grande schermo: il prossimo marzo uscirà Mulan, che con il film animato ha poco in comune per ragioni strategiche (la Disney punta al mercato cinese, dove la versione precedente andò non proprio bene a causa delle licenze poetiche rispetto alla leggenda originale), mentre nel 2021 arriverà Cruella, un prequel con Emma Stone nei panni di una giovane Crudelia De Mon. È in lavorazione anche un remake de La sirenetta, che ha già scatenato polemiche per il colore della pelle della protagonista ma complessivamente dovrebbe aderire al copione classico, ma per il resto il futuro è incerto, talmente incerto che la stessa Disney si è resa conto di non poter sempre contare su questi film per dominare le sale, relegandone alcuni (a cominciare da Lilli e il vagabondo) alla piattaforma di streaming Disney+ che debutterà nei prossimi mesi.
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Di per sé il filone nasce con le intenzioni migliori, e alcuni dei progetti di cui abbiamo sentito parlare negli ultimi anni sono senza dubbio interessanti: tra questi, un nuovo adattamento del ciclo di Prydain che non andrebbe incontro alle censure che colpirono Taron e la pentola magica tre decenni fa, o un lungometraggio interamente dedicato al demone Czernobog. Ma occorre un po' più di coraggio, bisogna saper davvero reinterpretare, altrimenti i risultati, per quanto simpatici, non lasceranno il segno (da quel punto di vista, decisamente più audace il lavoro fatto sul piccolo schermo, tra Descendants e C'era una volta). E qui, ironia della sorte, la lezione più grande la impartì Walt Disney in persona quando iniziò a lavorare alla versione animata de Il libro della giungla (l'ultimo dei classici che lui supervisionò personalmente prima di morire nel 1966, un anno prima dell'uscita). Dopo aver avuto divergenze creative con il primo sceneggiatore, il buon Walt diede al nuovo arrivato una copia del libro di Kipling e disse "Come prima cosa, non leggerlo." Ecco, in questo caso andrebbe mostrato al regista di turno un DVD/Blu-ray del film da adattare e dirgli "Prima di tutto, non guardarlo."