Una rupe come palcoscenico. L'intera Savana come pubblico. Un cartone animato come spettacolo eterno, capace di mostrarti la vita e la morte strette nello stesso abbraccio. Dallo sguardo intimorito di un cucciolo al ruggito fiero di un re. Con le orme paterne a fare da amorevole guida. È tutto lì il cerchio della vita. Dentro l'evoluzione di quel Simba che ha trovato il suo posto nel mondo. Un cerchio pieno di consapevolezza, coraggio e dolore. Un cerchio delineato con saggezza, amore e dedizione dal goniometro disneyiano che esattamente venticinque anni fa diede vita a quel capolavoro chiamato Il re leone.
Arrivato nelle sale americane il 24 giugno del 1994 (in Italia sarebbe uscito il 24 novembre dello stesso anno), il film d'animazione brilla di luce propria, ben esposto sull'Olimpo dei cartoni animati più riusciti e amati di sempre. Nel corso degli anni Il re leone su quella rupe ci è salito davvero, facendosi ammirare da tutti, guardando tutti dall'alto in basso con la maestosità dei grandi. Film d'animazione tradizionale con più incassi nella storia del cinema (in tutto il mondo ha raccolto 968 milioni di dollari), vincitore di due Premi Oscar (Miglior Colonna Sonora e Miglior Canzone per Can You Feel the Love Tonight), il cartoon di Roger Allers e Rob Minkoff rappresenta l'apice inarrivabile del Rinascimento disneyano. Un periodo felice per la Fabbrica delle Meraviglie, avviato nel 1989 da La Sirenetta e chiuso esattamente dieci anni più tardi da Tarzan. Nel mezzo, a metà strada, c'è Il re leone. Prima di lui era tutto in salita. Dopo di lui è stata solo discesa (prima della seconda rinascita sancita da Rapunzel). Quello che non si è mai affievolito, invece, è il culto di film animato che non vuole proprio saperne di tramontare. Venerato e idolatrato dal giorno della sua premiere in poi, il mito de Il re leone non si è tradotto soltanto in milioni di biglietti staccati, ma è sfociato anche in uno spettacolo teatrale meraviglioso, nelle canzoni mai dimenticate, nell'icona granitica di Mufasa e nell'imminente remake in "live action" (abbiamo dei dubbi nel definirlo così).
Disney: 5 film live action che vorremmo vedere, dal Gobbo di Notre Dame a La spada nella roccia
In un periodo in cui la Disney si riconosceva più che mai in personaggi umani, il racconto di formazione di Simba diventa una nobile eccezione. Dietro il successo de Il re leone, però, si celano diversi aspetti che proveremo a riassumere in questo nostro omaggio. Ragioni che vanno dalla travagliata lavorazione alle sue profonde radici narrative, in grado di raggiungere chiunque. Perché Mufasa aveva ragione. Il suo Simba è diventato grande come il più celebrato dei re. E noi siamo ancora qui ad ammirare la sua costellazione.
La rivincita dei pazzi
La grande rivincita de Il re leone è molto più di Simba che torna a prendersi quello che gli spetta di diritto. La rivincita del film è nel suo clamoroso successo che nessuno si aspettava. Nemmeno la Disney stessa. Sì, perché dopo il grande successo di Aladdin, l'azienda mise in cantiere due progetti paralleli: Il re leone e Pocahontas. Il primo era considerato una produzione sperimentale, rischiosa, alquanto proibitiva. Il secondo, invece, aveva tutti gli ingredienti per essere un grande successo. Morale della favola? Alla Disney la maggior parte degli animatori voleva lavorare a Pocahontas. Complice anche un cambio alla regia dovuto a incomprensioni artistiche (George Scribner, uno dei due registi iniziali, avrebbe voluto un film crudo, violento e realistico sulla vita della Savana), Il re leone era un cantiere aperto dove regnavano indecisioni e cambi di rotta (il primo titolo scelto per il film fu Il re della giungla e prevedeva lo scontro tra leoni e scimmie). Insomma, durante la sua gestazione, Il re leone era considerato il figlio disgraziato di mamma Disney.
Questo clima di sfiducia che avvolgeva il film, però, fu anche il suo asso nella manica. Il team de Il re leone era composto da persone davvero realmente motivate, da gente che amava il proprio lavoro e ce la mise tutta per dissolvere la perplessità che aleggiava su di loro. Quella vena sperimentale, per nostra fortuna, non si è mai persa per strada. Questo ha permesso al film di mostrare una delle sequenze più tristi del panorama animato (la morte di Mufasa), seguita soltanto dieci minuti più tardi dalla spensieratezza di Hakuna Matata. Questo ha permesso al compositore Hans Zimmer di aprire il film con l'assolo vocale di un ex parcheggiatore, di coinvolgere uno spirito eclettico e irrequieto come Elton John (che si irritò quando nella prima versione del film Pumbaa e Timon deridevano la sua canzone d'amore), di affiancare l'elaborazione del lutto a problemi di flatulenza senza sembrare mai ridicolo.
Tra Shakespeare, favole e archetipi
Come fa una storia ad arrivare a tutti? Come fa un racconto a superare i confini dell'Africa diventando universale? La semplicità è spesso la via migliore. Il re leone non ha fatto altro che tornare indietro, recuperando il vecchio trucco (o meglio, la sana abitudine) delle favole, traslando una morale umanissima sulle avventure degli animali. Senza riconoscersi in un'etnia, in una razza o in un genere, il cult Disney trascende ogni etichetta per elevarsi a narrazione emblematica, simbolica ed esistenziale. E ci riesce alla perfezione grazie all'utilizzo di una serie di archetipi trasversali a qualsiasi cultura. Come all'interno di una storia primitiva, quasi tribale, Il re leone affronta il tema della crescita, dell'amicizia come ancora di salvezza, dell'equilibrio necessario tra spensieratezza e dolore. Senza dimenticare due radici solidissime alla base della sua storia: il rapporto padre-figlio e il senso di appartenenza alla Madre Terra.
Alla fine, nonostante Simba ruggisca il suo nome, la sua non è mai una reazione alla ricerca di indipendenza. La sua avventura sancisce la vittoria della tradizione, del passato come monito prezioso, del destino a cui siamo segnati. Una morale senza dubbio rassicurante. Eppure questa storia, nella sua semplicità, fa convivere tante suggestioni, lega più immaginari. Il Re Leone è il viaggio dell'eroe con tanto di mentore (figura scissa tra Mufasa e Rafiki) e di spalla (Pumbaa e Timon). Il re leone è tragedia shakespeariana, tra oscure macchinazioni per il potere e violenti conflitti tra fratelli. Il re leone è pura arte del racconto che diventa mito.
Recitazione disegnata
Il sorriso autorevole e severo di Mufasa. La comicità immediata dei corpi di Pumbaa e Timon. Il ghigno malefico di quel grande manipolatore di nome Scar. Se Il re leone riesce sempre a commuoverci, inquietare e divertire è soprattutto grazie a un grandioso lavoro di character design svolto dalla Disney. Non c'è personaggio che non racconti il suo carattere attraverso un'espressività umanissima posta su movenze perfettamente animali. Incredibile quanto Simba si muova come un leone ma ci appaia prima come un bimbo smarrito e dopo come un ragazzo insicuro, come ognuna delle tre fameliche iene abbia una personalità ben definita e distinguibile, come gli atteggiamenti di Scar siano melliflui come quelle dei più grandi cattivi visti sul grande schermo.
Pur rispettando la credibilità di ogni singola specie, Il re leone ha dato forma e vita a personaggi tridimensionali, credibili in quanto portatori del peggio e del meglio di cui gli esseri umani sono capaci. Dotato di un'immediatezza rara (pensiamo a quanto il prologo sulla rupe dei re emozioni dopo appena qualche minuto) e agevolato da un doppiaggio ispiratissimo (sia in originale che in italiano, dove Vittorio Gassman fu perfetto su Mufasa), Il re leone merita la sua corona. Un corona priva di gemme e di oro, che si specchia nella criniera di un piccolo grande leone che ha imparato dai propri errori, si è guardato dentro e ha trovato se stesso non nell'ombra ma nel riflesso di un padre esemplare.
Il Re Leone avrà delle scene inedite rispetto al cult animato