A pochi giorni dal termine della seconda edizione del Ravenna Nightmare Film Fest, è tempo di trarre delle conclusioni su questa interessantissima e divertente edizione. Come non partire però da una notazione organizzativa, prima di descrivere dettagliatamente il programma di quello che è già diventato un'importante festival per la ricerca e la sperimentazione all'interno del cinema di genere? Gentilezza, disponibilità, rispetto delle esigenze della stampa e massimo contatto con gli autori e gli organizzatori, sono infatti i primi elementi di forza della rassegna, al pari della proposta cinematografica. Attestatasi quest'ultima su livelli decisamente superiori a quelli dell'anno precedente, per via soprattutto di una particolare attenzione al programma in concorso e alle anteprime nazionali, questa piccola isola felice dell'attività festivaliera italiana (lontana anni luce dal caos e dalle difficoltà delle manifestazioni più grandi) ha anche potuto contare su una struttura molto più capiente e professionale: il multisala Cinema City.
A marcare la principale differenza rispetto all'edizione dello scorso anno, come si è accennato poco sopra, è stata la maggiore attenzione dedicata alle nuove produzioni; una scelta sofferta e difficile (perché ha comportato il sacrificio di alcune rassegne parallele) nelle parole del direttore artistico Franco Calandrini, ma necessaria e aggiungeremmo giustissima, per un festival che, lanciato dal successo della prima edizione, è entrato nella Federazione Europea dei festival del fantastico (EFFFF, 17 in tutto i membri). La notevole attenzione che la rassegna sostenuta dal Comune di Ravenna ha suscitano negli autori è inequivocabile: centotrenta sono i film pervenuti alla segreteria del festival, dei quali dieci sono stati scelti per la sezione cortometraggi e altrettanti per quella dei lungometraggi. Ad affiancare la selezione ufficiale, quattro eventi speciali in anteprima italiana, una rassegna denominata Eurozombies composta da quattro titoli e lo speciale dedicato a Dario Argento con otto dei suoi primi film proiettati rigorosamente in pellicola. Tra gli eventi speciali: trascurabile a dir poco il film hongkonghese The Park, mentre di maggior interesse l'anteprima nazionale di Beyond Re-animator (con un disponibilissimo Brian Juzna, presente negli ultimi giorni della rassegna) e lo straordinario Bubba Ho-tep di Don Coscarelli, delittuosamente trascurato dalla distribuzione italiana.
Il concorso
La selezione dei venti titoli in concorso si è sviluppata lungo l'intera manifestazione; il compito di giudicare il livello dei titoli è stato assegnato ad una giuria composta dai seguenti membri: il Presidente Aldo Lado, regista di molto cinema italiano dal 1970, il guru del cinema di genere Dardano Sacchetti, il giovane e noto regista Alex Infascelli, il critico e redattore di Coming Soon Federico Gironi (nostro collaboratore e curatore di questo speciale l'anno precedente) e il fondatore della celebre rivista Nocturno Davide Pulici. Ma passiamo ad analizzare i lungometraggi presentati:
Lungometraggi
- One point 0: Claustrofobico film americano sul tema del virus, ricco di suggestioni apocalittiche in bilico tra David Cronenberg e il Brazil di Terry Gilliam e di influenze kafkiane. Diretto dall'esordiente Jeff Renfroe, è un titolo abbastanza convincente che si fa apprezzare per l'atmosfera opprimente, la fotografia molto sporca, e l'ottima valorizzazione del minimalismo rappresentativo. Nonostante una certa ripetitività, il film riesce ad inquietare sufficientemente e a non cadere nel rischio del didascalismo.
- Villmark - Dark woods: Siamo questa volta dalle parti della ghost story, ambientata in Norvegia. Un titolo non deprecabile ma che soffre di una certa staticità, riuscendo però a puntare su una buona gestione delle atmosfere, più che su un plot alquanto abusato.
- Deathwatch: Discreto war-movie inglese diretto da Michael Bassett ed interpretato dal cresciuto Jamie Bell (Billy Elliot). Anche se visivamente accattivante, non convince del tutto la scelta di fusione tra il cinema di guerra e le tematiche soprannaturali. Una buona simbolizzazione dell'orrore della guerra, in ogni caso, seppur eccessivamente pretenziosa.
- Doctor sleep: Probabilmente uno dei titoli più deboli del concorso, certamente il meno originale. Ridondante thriller inglese a tinte horror, sul tema dell'occultismo, il film, nonostante qualche buona trovata, soffre terribilmente la piattezza dell'aspetto visivo, troppo sciatto e monocorde per un prodotto di questo tipo.
- May: Decisamente il miglior film presentato nella selezione. Ingiustamente omaggiato con solo una menzione speciale, la pellicola d'esordio dell'americano Lucky McKee è uno struggente e poetico racconto sul significato della solitudine e della non accettazione. Profondo e di forte impatto, il film spicca per l'elegante fotografia, l'ottima regia e l'eccellente e disperata interpretazione della protagonista (Angela Bettis). Sentiremo parlare di lei e di questo talentuoso regista.
- The Locals: Bizzarra e divertente ghost-story simil zombesca neozelandese. Un film che ha il maggior motivo di interesse nella continua rievocazione delle pellicole horror anni '80 (La casa in primis) e che, nonostante alcuni cali di tono, è generalmente godibile.
- Tears of Kali: Vincitore un po' a sorpresa dell'anello d'oro come miglior titolo della rassegna, il film del tedesco Andreas Marschall è un low-budget in tre episodi girato in digitale sul tema del soprannaturale. Imperfetto e a volte macchinoso, ma non privo di alcune scene di grande impatto, ha il pregio di recuperare molte tematiche e suggestioni visive vicine all'horror italiano di Argento e Fulci e questo probabilmente ha fatto presa su una giuria molto legata a quel tipo di produzioni.
- Willard: Remake dell'omonimo film del 1971, è l'unico titolo con un elevato budget alle spalle. Vincitore insieme a May di una menzione speciale, il film di Glen Morgan è decisamente piacevole e disturbante e vive sulla straordinaria interpretazione di Crispin Glover. Notevoli le analogie con il capolavoro di Hitchcock, Psycho.
- Una de Zombis: Sicuramente il film più divertente del concorso. Si tratta di un irriverente, sgangherato e demenziale zombi-movie spagnolo che ammicca di continuo allo spettatore ed è costruito come un giochetto cinefilo tarantiniano. Probabilmente è tirato troppo per le lunghe, ma la comicità è di buona grana.
- The last horror movie: Inutile, provocatorio, qualunquista e ricattatorio, questo finto film scandalo è l'ennesimo prodotto volutamente disturbante sul presunto voyeurismo colpevole dello spettatore. Un film di cui avremmo fatto a meno; decisamente il peggiore presentato.
Prima di concludere questo nostro spazio, una breve panoramica sullo spazio dedicato ai cortometraggi, partendo dai due premiati. La splendida commedia nera The Carpenter and his clumsy wife (presente anche alla Mostra di Venezia) si è meritatamente aggiudicata il Melies d'argento, che gli vale una nomination al Melies d'oro, premio europeo; mentre l'anello d'argento come miglior cortometraggio della selezione in concorso è andato ad Inside Out di Oliver Knott: un intrigante escursione orrorifica sul tema del doppio con una qualità estetica decisamente inaspettata per questo tipo di prodotto. Tra gli altri titoli, meritevoli di menzione sono certamente le due produzioni spagnole: il fortissimo El Ciclo e il divertente El tren de la bruja. Non convince invece l'unico titolo italiano presente al Festival: Last Blood di Alessandro Izzo, nonostante una buona peripezia al trucco.
Un'edizione, in definitiva, di più che buon livello sotto l'aspetto qualitativo, ottima sotto quello organizzativo e di fondamentale importanza per ciò che rappresenta: un'importante vetrina entro cui il cinema di genere può confrontarsi. L'appuntamento imperdibile è per l'anno prossimo, per una rassegna da cui ci si aspetta ancora un ulteriore salto di qualità. Un ringraziamento per la cortesia e la professionalità a Catia Donini, Michela Mercuri e Laura della Godenza, ad Alberto Bucci per i testi delle presentazioni e soprattutto per le sigarette offertemi, a Paolo Zelati per le ardite sperimentazioni sul linguaggio e a Federico Gironi per la scelta dei vini. A risentirci.