A Quiet Place - Un posto tranquillo, La casa dei fantasmi, Le ragazze di Wall Street... sono solo alcuni dei film adattati da Roberta Bonuglia, che è stata chiamata a occuparsi dell'adattamento de Il ragazzo e l'Airone di Hayao Miyazaki, già premiato al Golden Globe e candidato all'Oscar come miglior film d'animazione.
Un viaggio che ha portato l'ultimo film dello Studio Ghibli a essere bramato e desiderato da un pubblico molto più vasto dei precedenti, diventando un vero e proprio evento al cinema: in vetta al botteghino per diversi giorni, in grado di andare a superare i 6 milioni di incasso, l'aspetto più affascinante de Il ragazzo e l'Airone è stato quello di permetterci di ragionare su numerose teorie e riflettere su molte delle scelte del regista. E con Roberta abbiamo approfondito proprio alcuni aspetti legati alla storia e all'adattamento.
La complessità di una trama di Miyazaki
"È stata una lavorazione impegnativa, d'altronde eravamo dinanzi a una trama molto complessa. Questo però non è un aspetto negativo, sia chiaro, anzi: è una storia che ti porta a riflettere molto e che ti tiene attaccato per settimane, per mesi", spiega Roberta Bonuglia."Io stessa dopo ogni visione scoprivo qualcosa di più. Tra l'altro non è solo una questione di trama complicata, ma anche di dialoghi che in alcuni casi diventano complessi e spesso vaghi: è una caratteristica del giapponese, che quando vuole riesce a essere sempre poco chiaro. Per noi è stata una sfida, ma per fortuna con Francesco Nicodemo, il traduttore che è stato bravissimo a supportarmi ogni volta che avevo bisogno, siamo riusciti a risolvere tutte le problematiche che avevamo. Alla fine ogni pezzo è andato al proprio posto, come per magia, come succede in gran parte degli adattamenti. Abbiamo compreso le volontà del regista, dell'autore. Poi come ogni film c'è sempre grande difficoltà a comprendere quale sia l'ordine giusto delle parole, il significato che vuoi davvero dare a ciò che dici: un confronto costante con Francesco è stato utile, anche per essere rassicurata sul fatto che non mi fossi allontanata troppo dal senso".
Arriviamo così ad alcune espressioni, parole usate nel corso del film che hanno richiesto una lavorazione più intensa: "Il primo problema col quale abbiamo dovuto confrontarci riguardava il modo in cui le vecchine si rivolgono al padre di Mahito, ma anche al ragazzo stesso e a sua zia. In originale usavano le parole 'padrone' o 'padroncino', ma non ci sembrava un concetto gradevole per la nostra epoca: lo abbiamo quindi adattato in 'signorino' e 'signore'. Le linee guida arrivate dallo Studio Ghibli ci hanno poi chiesto di andare a preoccuparci di una crescita graduale dei personaggi nel corso del film anche dal punto di vista dialettico: per questo dopo un po' le vecchiette iniziano a rapportarsi a Mahito come 'giovanotto' e 'figliolo', che sono proprio i termini che abbiamo deciso di adottare nella seconda metà del film. Un'altra espressione che ci ha messo un po' in difficoltà riguarda una delle frasi iniziali del film: 'va a fuoco l'ospedale di mamma', pronunciata dal padre di Mahito".
"Durante il film non ci fanno mai capire quale sia davvero il senso della frase: l'ospedale potrebbe essere di proprietà della madre, oppure lei potrebbe essere lì al lavoro o ancora essere ricoverata nella struttura" continua l'adattatrice. "Dato che non c'erano indicazioni su questo e in giapponese era tutto molto vago, abbiamo preferito mantenerci sul vago anche noi. Resta il dubbio, ma la trama non torna più su questo dettaglio".
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La cucina giapponese e i termini politici
Dal punto di vista dialettico, passano anche i problemi legati alle diverse culture, ma anche all'approccio verso la cucina e il cibo. Tanti anni fa in Italia esisteva il problema del convertire necessariamente piatti della cucina giapponese in qualcosa di comprensibile: ricorderete tutti le famose fettine panate, o anche i modi in cui l'okonomiyaki veniva spesso rivisitato per diventare un piatto della nostra cultura.
Questi problemi oggi non esistono più grazie alla grande diffusione che abbiamo avuto della cucina asiatica: "L'unico piatto che abbiamo deciso di tradurre è il takikomi gohan, che abbiamo voluto sostituire con 'riso', molto più semplice. Tra l'altro è un piatto che se non lo conosci in maniera specifica è complesso da ricordare e da andare poi a ricercare: diverso da hazuki, i fagioli, che oramai sono noti a tutti, così come anche gli ohagi, i dolci di riso, che come parola è anche più immediata da memorizzare. Poi anche per quella che è la casa di campagna dove si rifugiano Mahito e il padre: la traduzione ci avrebbe dovuto condurre su 'villa', ma è una parola molto italiana e che non appartiene a quella che è la cultura giapponese. Abbiamo optato, così, per 'dimora', che ha anche molto più legame con quella che è stata l'epoca di riferimento del film stesso".
Dopo le prime proiezioni a Roma, ha iniziato a serpeggiare l'idea che il capo dei parrocchetti potesse essere chiamato 'duce', in riferimento al fascismo italiano: "I sottotitoli sono stati fatti prima del doppiaggio, quindi c'è stata una rielaborazione successiva a quelle prime visioni. Abbiamo pensato che 'Duce' per il re dei parrocchetti fosse un po' troppo: c'era un passaggio in cui potevamo usare l'espressione 'camerati', ma abbiamo deciso di evitare qualsiasi tipo di riferimento politico, quindi abbiamo preferito usare 'sudditi'. Tra le linee guida che abbiamo ricevuto c'era anche l'indicazione che l'airone parlasse in maniera eloquente e teatrale: traspare da quelli che sono i dialoghi e quindi abbiamo anche un collegamento a quella che è la figura dell'airone nel teatro giapponese".
"Per Mahito come linea guida avevamo quella di farlo parlare ed essere come il protagonista di Stand by me - Ricordo di un'estate, quindi un bambino che all'inizio è musone e poi si apre al mondo, con una crescita evidente. Le vecchiette invece come riferimento hanno proprio i Sette Nani di Biancaneve. I parrocchetti, invece, ma questo si capisce dai dialoghi stessi, li hanno descritti come un po' sciocchi, mentre i pellicani sono più intelligenti, tant'è che abbiamo uno di loro in punto di morte che è molto eloquente".
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La scena da spiegare
In chiusura una curiosità legata a una scena che in molti non sono riusciti a decifrare, ossia l'ingresso di Mahito nella sala parto che porta sua zia Matsuko a respingerlo, salvo poi dargli l'indicazione di trarsi in salvo: un cambio di atteggiamento che ha stupito molto. "La scena della zia che sbraita di andare via durante la sala parto ci ha messo un po' in difficoltà, ma per fortuna era spiegata: Natsuko in quel momento è posseduta dallo spirito della tomba, per cui non è sé stessa. Nel momento in cui Mahito si apre a lei e la chiama in quanto sua nuova madre, lei ritorna in sé e gli dice di scappare: questo è il senso di questa scena, per come ce l'hanno spiegato. Il bello di questo film, il suo obiettivo, è quello di farci fare domande, di ragionare, di riflettere, senza darci riferimenti fissi: è il motivo per cui siamo qui a farci queste domande, d'altronde", conclude Roberta Bonuglio.