Giancarlo Giannini attraversa la piazza con passo svelto e sguardo concentrato. La sua meta è il palazzo del Tribunale. Ad attenderlo al suo interno i colleghi Tony Sperandeo e Luigi Diberti, entrambi muniti di toga. Ovviamente siamo su un set cinematografico e, nello specifico, su quello de Il ragazzo della Giudecca, opera seconda di Alfonso Bergamo, che sta girando in questi giorni a Battipaglia.
Qui ha preso in prestito gli interni del Municipio, trasformati per l'occasione nei corridoi di un tribunale, per raccontare una storia vera salita alla ribalta delle cronache giudiziarie negli anni 90. Così, mentre la cittadina si incuriosisce e si accalca ai bordi del set per vedere e farsi fotografare con gli attori, Bergamo rimane concentrato nel suo intento; ossia mettere in scena il caso di Carmelo Zappulla, cantante neomelodico arrestato ingiustamente con l'accusa di aver assoldato un killer per uccidere l'amante della madre, morta un anno prima. A sostenere l'accusa, che inizialmente lo porta ad essere rinchiuso per un mese in cella di isolamento, sono sette collaboratori di giustizia, ossia dei pentiti, che raccontano versioni diverse della medesima storia. I giudici di Siracusa emettono la condanna e, in questo modo, distruggono completamente la carriera di uno degli interpreti più amati della sceneggiata partenopea, che si da alla latitanza per tre anni fino a quando non verrà assolto.
Dalla cronaca alla racconto cinematografico
Oggi questa esperienza è diventata un romanzo autobiografico intitolato Il ragazzo della Giudecca, un artista alla sbarra da cui prende spunto il film omonimo interpretato anche da Franco Nero, nei panni di un ergastolano conosciuto dal protagonista in carcere, e Marco Zappulla, nei panni del padre da giovane. Ma come è arrivata questa vicenda di altri tempi, se vogliamo, all'attenzione di Bergamo, poco incline all'ascolto dei neomelodici? "Non conoscevo Carmelo. Non lo avevo mai sentito nominare. Mi è stato mandato il libro che ho rifiutato di leggere. Lo ha fatto, però, la mia compagna che mi ha consigliato di cambiare idea. A quel punto sono rimasto colpito dallo spaccato di vita travagliato, che mi ha donato l'immagine di un artista messo dietro le sbarre. Ed è proprio quello che sto cercando di raccontare nel film, ossia l'arte messa alle strette e private della libertà di cui ha bisogno per esprimersi. E, in un periodo così difficile per gli artisti, credo si tratti di un messaggio veramente importante."
E per dare voce alla sua creatività il regista ha deciso di cimentarsi con piano sequenza lungo diciotto minuti, praticamente un vero e proprio azzardo per un cinema che, ormai, non sembra disposto a rischiare molto. Una scelta, quella di Bergamo, però, che ha trovato in Giannini un grande sostenitore. "Un regista che decide di fare una cosa del genere è coraggioso. Vuol dire che ha una visione e vuole concretizzarla. Anche Sorrentino realizza opere come La grande bellezza, può piacere oppure no, ma credo si debba ammirare la determinazione e la libertà di un artista che realizza la sua visione. Credo si debba incentivare sempre di più la fantasia dei singoli."
Il fascino del reale
La vicenda ha colpito profondamente anche tutto il cast che, leggendo la sceneggiatura, sembra non aver avuto alcun dubbio ad accettare la proposta per rappresentare il mal funzionamento dell'attività giudiziaria in un momento in cui la problematica sembra essere particolarmente d'attualità. "Io sono arrivato in questo film come su un treno in corsa - chiarisce Luigi Diberti che veste la toga dell'avvocato di Zappulla - Non conosco la storia vera ma solo quello che è stato scritto per il film. Mi impressiona molto, però, l'idea che Zappulla abbia patito quel calvario. Tutta questa vicenda ti fa capire che basta un nulla per essere messi in croce per un equivoco, voluto o casuale. Allo stesso tempo mette in evidenza l'inadeguatezza degli strumenti della legge. Credo che il nostro paese abbia una struttura di codici sana, ma è l'interpretazione a fare la differenza, nel bene e nel male."
Da parte sua Giancarlo Giannini, nei panni del giudice Mangrella, il primo ad iniziare il processo e a credere all'innocenza di Zappulla, il fascino di questa vicenda è il suo realismo. "Mi sono sempre piaciute le storie vere, soprattutto quelle del passato. Anche Pasqualino Settebellezze e Film d'amore e d'anarchia, ovvero stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza sono film nati da esperienze reali. Ho meno passione per quelle più attuali. Ad esempio, quando mi proposero di interpretare Paolo Borsellino, ho tentennato prima di accettare. Poi venni a conoscenza di una registrazione in cui diceva delle cose dall'incredibile umanità. Era arrivato perfino a prevedere la sua morte. Per quanto riguarda questo film, invece, mi ha coinvolto la sceneggiatura e la possibilità di lavorare con un regista giovane. Amo lavorare con i giovani, insegno anche recitazione al Centro Sperimentale. Credo fermamente che se hai un po' di esperienza, hai il dovere di condividerla." Il film, prodotto dalla Uncovering, arriverà in sala nella primavera del prossimo anno.