Un'opera autentica, un manifesto di cinema sociale scritto in punta di penna, un ritratto illuminante sul mondo della scuola. Siamo in territorio francese tra realismo e commedia, ed è tra questi due estremi che si inserisce il progetto alla base de Il professore cambia scuola (infelice titolo italiano per Les Grands Esprits), un film in uscita il 7 febbraio scritto e diretto da Olivier Ayache-Vidal.
Il regista è un ex reporter che in questo esordio a un lungometraggio dimostra di saper maneggiare con disinvoltura anche il materiale di finzione; la spinta ad avventurarsi nell'esplorazione dell'educazione scolastica soffermandosi sul rapporto tra insegnanti e alunni, arriva da un'esigenza personale: "Ci pensavo da tempo, da padre ero molto interessato al tema e il caso ha voluto che incontrassi un produttore con la mia stessa voglia di fare un film sull'istruzione che andasse oltre i soliti cliché".
Per superare i quali Olivier Ayache-Vidal ha richiesto "un'immersione totale all'interno di una classe. Ho girovagato per varie scuole fino quando non ho incontrato un preside che mi ha dato il permesso il farlo". Il film, di cui ci accingiamo a parlarvi in questa recensione de Il professore cambia scuola, è il frutto di un'osservazione diretta: per più di due anni cinquecento studenti e quaranta professori dell'istituto Maurice Thorez di Stains si sono offerti all'occhio attento del regista.
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Da La Classe a L'attimo fuggente: la trama del film e i suoi modelli
Il professore cambia scuola si candida a essere così un lucido spaccato dell'istruzione pubblica francese, a partire da una trama e un contesto che evocano illustri predecessori, su tutti La classe di Laurent Cantet. Qui il protagonista è François Foucault (Denis Podalydès), professore di lettere votato al rigore e uomo tutto sommato ordinario, diviso tra il prestigioso Liceo Henri IV di Parigi e la presenza ingombrante del padre, brillante intellettuale. Una vita borghese che subirà una brusca quanto sana rivoluzione quando una serie di eventi fortuiti lo catapulteranno per un anno in un istituto della banlieue parigina, dove dovrà confrontarsi con i limiti del sistema educativo tradizionale, rinunciare alle proprie velleità "colonizzatrici" e mettere in discussione i propri metodi.
"Il professore imparerà dagli studenti tanto quanto i ragazzi impareranno da lui, grazie a un processo di trasmissione che non è a senso unico. È la teoria dei vasi comunicanti alla base di tutti i rapporti umani", spiega Olivier Ayache-Vidal riferendosi al meccanismo di reciproco scambio che, seppur in sordina, si originerà dall'incontro di due mondi apparentemente inconciliabili.
Un racconto genuino che affonda nel reale e trova la sua collocazione in mezzo ai banchi, tra professori inamidati, a volte disorientati, soli o troppo inesperti e studenti irrequieti, irrisolti o semplicemente rassegnati.
Ed è qui che Il professore cambia scuola prende una direzione diversa da quella tracciata da La Classe: "Cantet racconta il fallimento di un professore incapace di mettersi in discussione e anche se il punto di partenza del mio film è esattamente lo stesso, il messaggio è l'opposto. - precisa il regista - Lì c'è una rassegnazione al fatalismo, nel mio film invece invece sono i professori a doversi adattare e far emergere quanto di buono c'è negli alunni".
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Personaggi reali e profondamente umani
Tutto merito di una scrittura solida e credibile, libera da orpelli e stereotipi, capace di affrontare tematiche attuali con la leggerezza e il graffio della migliore tradizione della commedia francese: il risultato di un lavoro di limature e riscrittura che ha prodotto ben quindici versioni diverse della sceneggiatura prima di arrivare a quella definitiva.
Il resto lo fanno gli attori: da un lato Denis Podalydès, interprete straordinario del professor Foucault, maschera dallo sguardo ingenuo e insieme intransigente, composto, misurato e umano tanto quanto basta per farlo finire nella lunga galleria di professori- poeti capitanati dall'indimenticabile Robin Williams de L'attimo fuggente; dall'altro i ragazzi, disarmanti, commoventi, un microcosmo di mondi diversi, scelti tra tutti gli studenti conosciuti nei due anni trascorsi in quella scuola seguendone ritmi, vicende e consigli disciplinari.
Alla fine restano la malinconia e l'umanità profonda dei personaggi, non c'è spazio per gli eroi: "Non ci sono né buoni né cattivi, ma esseri umani con i loro pregi e difetti", ci tiene a dire Ayache-Vidal.
La rassegnazione cede il passo alla speranza, l'intolleranza alla comprensione, i manicheismi a un caleidoscopio di sfumature diverse.
Movieplayer.it
3.0/5