Nel momento in cui state leggendo questa recensione de Il processo ai Chicago 7, il nuovo film scritto e diretto da Aaron Sorkin è già disponibile su Netflix per tutti gli abbonati. Una grande notizia per gli amanti dello streaming, ma anche l'ennesimo colpo basso che questo 2020 ha riservato ai cinefili più irriducibili: perché è vero che il film, come già altre pellicole di Netflix, è arrivato anche al cinema in poche sale, ma mai come questa volta è riuscito davvero a raggiungere un pubblico molto ridotto. Decisamente troppo ridotto, considerata la qualità dell'opera.
Un vero peccato, anche perché in tempi normali questo Il processo ai Chicago 7 sarebbe stato considerato e promosso come uno dei film più importanti dell'anno, nonché uno dei grandi favoriti per la corsa agli Oscar. Che poi in realtà chance di vincere premi questo film ne avrebbe ancora tante, il problema semmai è che al momento sono probabilmente superiori a quelli di assistere ad una vera e propria notte degli Oscar il prossimo anno. Ma questo è un altro discorso che dovremo necessariamente affrontare nei prossimi mesi; quello che conta, in fondo, è che noi oggi abbiamo comunque la possibilità di goderci un nuovo grande esempio di cinema statunitense. Esattamente quello che, ammettiamolo, negli ultimi mesi ci è profondamente mancato.
Una trama che ruota attorno ad uno dei processi più famosi d'America
Ma prima di spiegare cosa rende questo Il processo ai Chicago 7 un film da non perdere, cerchiamo di fare ordine e capire di cosa tratta: siamo nel 1968 e un gruppo di attivisti guida una manifestazione contro la guerra del Vietnam in occasione della convention del Partito Democratico. Durante questa manifestazione ci sono degli scontri molto pesanti con la polizia e la Guardia Nazionale con un gran numero di feriti e arresti, ma il peggio deve ancora venire: qualche mese dopo - con un processo/farsa dal sapore chiaramente politico che segna una pagina nerissima (e molto nota) della recente storia americana - il nuovo governo del presidente Richard Nixon prova a far fuori con un colpo solo molti dei leader della controcultura di sinistra ed eliminare così una parte della più fervente opposizione. Come? Accusandoli di cospirazione e incitamento alla sommossa.
Il processo ai Chicago 7, Aaron Sorkin: "Dovevo scriverlo per Steven Spielberg"
Una grande sceneggiatura al servizio di un cast corale e perfetto
Il cuore del film, come si evince già dal titolo, è quindi il processo vero e proprio. Un processo diventato celebre negli USA tanto per l'atteggiamento sfacciatamente di parte del giudice Julius Hoffman (un Frank Langella straordinariamente odioso) quanto per quello provocatorio e rivoltoso degli imputati. Il tutto reso da un cast a dir poco formidabile: tra i sette spiccano soprattutto i due yippies Abbie Hoffman e Jerry Rubin (rispettivamente Sacha Baron Cohen e Jeremy Strong, entrambi strepitosi), il pacifista convinto David Dellinger (John Carroll Lynch) o il più moderato Tom Hayden (Eddie Redmayne). Ma anche gli avvocati (tra cui figura il solito carismatico e incredibile Mark Rylance) finiranno presto col perdere la pazienza e a rendere il processo un vero e proprio evento dall'importante risonanza mediatica e dall'impareggiabile valore simbolico.
Da Spike Lee a Fincher e Sorkin: la rivincita di Netflix agli Oscar 2021?
E se è vero che ormai non ci stupiamo più davanti ai grandi dialoghi di Sorkin - come sempre brillanti, sagaci ma anche perfetti per musicalità e ritmo - questa volta dobbiamo fargli i complimenti soprattutto per la capacità di gestione di una storia niente affatto semplice da portare sullo schermo, soprattutto perché in sole due ore deve presentarci prima un contesto difficile, poi un gran numero di personaggi e infine quanto realmente successo. Nonché farci arrivare il significato e l'impatto che tutto questo ha avuto allora, ma che ha ancora oggi.
Perché il grande merito di un film come Il processo ai Chicago 7 non è tanto raccontarci quando avvenuto oltre 50 anni fa, ma farci capire come quegli stessi avvenimenti possano essere considerati uno specchio di quanto sta accadendo ancora oggi. Proprio per questo motivo per una volta Sorkin affida i momenti più importanti della storia e del suo film non a delle battute memorabili, ma a delle sequenze senza dialoghi. Si affida a immagini forti e indimenticabili che parlano da sole e che, purtroppo, non possono che far correre il pensiero all'America del 2020, quella delle rivolte razziali come conseguenza delle violenze (spesso letali) da parte delle forze dell'ordine.
63 Film da guardare su Netflix - Lista aggiornata a ottobre 2020
L'importanza di Sorkin per il cinema (e la politica) USA
Il processo ai Chicago 7 è insomma un film diverso dagli ultimi scritti dallo sceneggiatore, forse perfino più tradizionale per certi aspetti. Ma proprio per questo più facile da accettare e recepire per il grande pubblico di Netflix e per far arrivare un messaggio (tanto sociale quanto politico) forte e chiaro. Il film rappresenta poi anche il ritorno di Aaron Sorkin in un tribunale, a distanza di quasi trent'anni da quel Codice d'onore che l'aveva portato alla luce della ribalta come uno degli sceneggiatori più promettenti di Hollywood. In questi tre decenni però Sorkin non solo ha vinto un Oscar e decine di premi, ma ha anche affinato ulteriormente la sua scrittura. L'ha fatto attraverso sceneggiature sempre perfette, dallo stile personalissimo e cariche di idealismo, e attraverso le sue opere ha sempre raccontato un'America che spesso non corrisponde alla realtà dei fatti, ma lo è solo nella sua essenza, filtrata attraverso la sua filosofia e poetica.
Sorkin ha spesso preferito immaginare e rielaborare quanto realmente avvenuto (vedi The Social Network o Steve Jobs) per raccontarci una sua personalissima visione del paese in cui vive, e proprio per questo è stato spesso accusato e criticato. Con questo film - che aveva scritto già nel 2007 su richiesta di Steven Spielberg - Sorkin dimostra una volta per tutte di essere un autore universale, che predilige sì un certo tipo di scrittura, ma al tempo stesso è in grado di mettersi al servizio della storia (e, in questo caso, anche della Storia) e realizzare un'opera che possa essere pop, facilmente comprensibile, a volte perfino divertente, ma comunque densa di significato esattamente come quelle, ben più elitarie e snob, che l'hanno reso celebre e amatissimo dalla critica. Il cinema ha tanto bisogno di film così: opere che possano appassionare, far riflettere e ricordarci che niente veramente è cambiato. Perché se l'America oggi ha così tanta paura, non è certo dimenticando il proprio passato che potrà esorcizzare i proprio demoni.
Conclusioni
Avremmo voluto chiudere questa recensione de Il processo ai Chicago 7 con un invito a correre in sala e godervi uno dei film dell'anno, ma purtroppo questo non è possibile. Ciò non toglie che anche nelle vostre case, quest'ultima opera di Aaron Sorkin può tranquillamente rappresentare una delle migliori visioni casalinghe da molto tempo a questa parte, soprattutto sul tanto bistratto Netflix che, di fatto, continua anche a portare nel proprio catalogo prodotti di qualità pensati sì per il pubblico più ampio possibile, ma perfetti anche per gli spettatori più cinefili.
Perché ci piace
- L'apparente semplicità con cui Sorkin riesce a raccontarci una storia intricata e a definire, in pochi minuti, uno scenario e contesto molto complesso.
- Una sceneggiatura diversa da quella a cui Sorkin ci ha abituato, meno verbosa e meno ricca di battute memorabili. Eppure, proprio per questo, solidissima e perfetta nell'evidenziare gli importanti temi del film senza mai sovrastarli mai.
- Un cast d'eccezione per un film corale che riesce ad esaltare ogni singola performance.
- Alcuni momenti del film, seppur legati ad avveninementi di oltre 50 anni fa, riecheggiano oggi più forti che mai.
Cosa non va
- Si potrebbe contestare (e certamente in molti lo faranno) che il film tratta un argomento serissimo con un tono a tratti perfino lieve, da commedia. Ma anche questa è sempre stata una caratteristica di Sorkin e dei suoi tanti capolavori.