Il marcio che investe la Danimarca non è più esclusiva del principe Amleto; quel senso di guerriglia, di pregiudizio e voglia di stabilire un'autorità sottratta si è piano piano spostato, investendo onde in subbuglio, e giovani in festa. Il marcio non è più in Danimarca, ma sulle coste di quell'Isola di Cavallo che fa da spola tra la Corsica e la Sardegna.
E così, come sottolineeremo in questa recensione de Il Principe (disponibile su Netflix), il 18 agosto 1978 il blu del mare si è colorato di rosso sangue, mentre l'erede di una monarchia che non esiste più (Vittorio Emanuele di Savoia) da principe si trasforma in presunto assassino del giovane Dirk Harmer. Spari e principi, cavalli e armi; repubbliche e monarchie; sembra una partita di scacchi, ma quello indagata ne Il principe è il recupero di una storia (extra) italiana, di teste coronate poste in esilio, e spiagge macchiatesi di colpe e lutti.
Il Principe: la trama
Un principe in esilio, una top model, uno sparo nel buio che cambierà la vita di tantissime persone. Il Principe è una docuserie in tre episodi che, partendo dagli eventi successi nella tragica notte del 18 Agosto 1978 all'isola di Cavallo, ripercorre la storia di Vittorio Emanuele di Savoia, ultimo erede al trono d'Italia. Per quanto la vicenda giudiziaria dell'omicidio del giovane Dirk Hamer sia centrale nella vita del principe e di conseguenza nella docuserie, puntata dopo puntata emerge di lui un racconto più intimo: il suo tormentato rapporto con i genitori, la storia d'amore con Marina Doria, gli anni di lavoro in Iran, gli scandali e molto altro.
Delitto e presunto castigo
Quella de Il principe non è la storia di Vittorio Emanuele, né tantomeno una sua apologia. Quella de Il principe è la storia di un omicidio e del suo tentato, o presunto, insabbiamento, tra ammissioni e ritrattazioni, figli che soffrono e sorelle che urlano giustizia. Lontana dagli stilemi di un racconto biografico, Beatrice Borromeo Casiraghi preferisce fare di tale caso di cronaca la carreggiata principale della propria narrazione; un rettilineo, il suo, che scorre veloce, e dal quale far partire numerose diramazioni di caratura più personale: attraverso uno sparo si recuperano, cioè, momenti di vita passata, esperienze lavorative, amori e ostacoli personali vissuti e ricordati dallo stesso Vittorio Emanuele di Savoia. Tutto è compiuto dalla giovane regista (che il mondo della nobiltà lo conosce fin troppo bene) con essenzialità e semplicità nozionistica. Nonostante le continue parentesi aperte - e poi scientemente chiuse - il racconto non risulta mai confusionario, ma sempre capace di rientrare lungo le giuste corsie, senza per questo compiere sorpassi azzardati, o intasare di inutili flussi di informazioni il proprio discorso analitico.
Testimonianze reali per episodi poco regali
Il documentario si chiama "Il principe" ma nella regista e autrice non vi è mai il sospetto di porsi a favore di una, o dell'altra fazione. Da parte della Borromeo non vige pertanto nessuna intromissione colpevolista, o innocentista: il suo intento è puramente quello di mettere sul tavolo prove e indizi, testimonianze e ricordi: spetterà poi al pubblico elevarsi a giudice di corte, emanando il proprio verdetto personale e unanime su quanto propostogli e offertogli sullo schermo. Scontrandosi in maniera quasi antitetica al suo stesso titolo, Il principe si ripromette di dare voce a quei testimoni tenuti all'ombra del processo per la morte di Dirk Hamer. I loro volti all'epoca non si sono mai rivolti ai membri della corte; i loro ricordi non hanno riecheggiato in quell'aula; ciononostante, adesso eccoli qui, a rivolgersi ad altri menti pensanti, altre orecchie pronti ad ascoltare il loro ricordo su una vicenda tanto interessante, quanto poco toccata.
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Alla ricerca della verità perduta
Nessun trattamento psicologico, o ritratto umano di un passato senza affetto al di fuori del confine italiano. È tutta racchiusa qui, nella potenza del ricordo, della dichiarazione di una propria innocenza da una parte, e il grido di giustizia dall'altra, che Il principe pone le proprie fondamenta strutturali. Oltre al canonico sfruttamento di materiale di repertorio e fotografie personali, o video amatoriali, il documentario di Beatrice Borromeo Casiraghi vive soprattutto di volti e confessioni. Posti davanti alla macchina da presa, i protagonisti delle vicende toccate si fanno da ponti mnemonici su spazi del passato adesso pronti a essere nuovamente battuti e (ri)scoperti. Forte del suo passato da giornalista e da inviata televisiva, la regista non solo sa quali punti toccare, ma anche i momenti salienti durante i quali indugiare su uno sguardo, o zoomare su un altro, così da innestare nello spettatore il dubbio, o la conferma, sulla veridicità del racconto fornito da chi si apre dinnanzi a lei.
Buche pericolose di lacune nararative
Scorre con fluidità, Il Principe. Le tre puntate del documentario firmato Netflix sono una corrente impetuosa che prende e trascina lo spettatore, attirandolo a sé con la forza di onde intrise di curiosità e intrighi da rivelare, analizzare, e scoprire fin dove è possibile. Nonostante il running time limitato a soli quaranta minuti a episodio, Il principe riesce pertanto a fornire tutti gli elementi essenziali per recuperare una storia insabbiata, dimenticata, o forse mai veramente conosciuta dai giovani spettatori. Ciononostante, vige quella fastidiosa sensazione che qualcosa vada a mancare, che certe domande rimangano prive di una risposta. Se da una parte tale lacuna rientra perfettamente nello schema di gioco previsto dagli autori con il quale permettere allo spettatore di stabilire autonomamente chi è preda, e chi innocente, dall'altro evidenzia una certa frettolosità di conclusione dell'opera che lascia i propri spettatori affamati di ulteriori dettagli e informazioni. Come commensali al banchetto nuziale, ci alziamo da tavola appagati per le portate ricevute, ma insoddisfatti per un dessert mancante. Parlando di un presente che ancora si sta compiendo, è normale non poter aggiungere molto nelle fasi conclusive del proprio documentario, eppure vive nello spazio delle ammissioni in carcere, e nei minuti finali dell'opera, una lacuna che rischia di mandare fuori strada tutto l'itinerario attraversato con attenzione e cura fino a quel momento.
Nonostante il finale un po' affrettato, quello che riveste il manto stradale su cui lasciar scorrere il proprio epilogo, è un materiale solido, capace di attutire il colpo così da apprezzare nel suo complesso una produzione a effetto, che coinvolge e convince, indagando come un'analisi forense, o uno studio balistico, la potenza dei ricordi e il moto di azioni che, come proiettili, colpiscono al cuore e alla mente, lasciando cicatrici perenni e assenze incolmabili. Ciò che soprattutto sorprende de Il principe è come tutto rimanga uguale, mentre intorno tutto è cambiato: già, perché quella dei Savoia rimarrà una famiglia senza trono, la testa del principe Vittorio Emanuele rimarrà comunque senza corona, e le onde del Mar Tirreno continueranno a colpire gli scogli dell'Isola di Cavallo, ma adesso tutto riveste di nuove sensazioni quei mondi immortalati, con sfumature di consapevolezza e considerazioni del tutto differenti e poco principesche.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione de Il principe sottolineando come il documentario firmato Netflix e diretto da Beatrice Borromeo Casiraghi riesca a distaccarsi dai dettami delle biografie docu-seriali per concentrarsi su un aspetto tutt'altro che elegiaco della vita di Vittorio Emanuele di Savoia: l'arresto per l'omicidio del giovane Dirk Hamer. Un nucleo narrativo da cui partire e collegarsi ad altri eventi, professionali e privati, di un uomo che ha fatto parlare di sé in tutto e per tutto.
Perché ci piace
- La capacità di partire da un evento tragico come l'omicidio di Hamer per poi collegarsi ad altri eventi della vita di Vittorio Emanuele di Savoia.
- L'oggettività di racconto.
- La voglia di lasciare al pubblico il diritto di emettere una propria sentenza sulla vicenda.
Cosa non va
- Un epilogo un po' troppo frettoloso e pieno di domande ancora senza risposte.
- Il desiderio di dare ancora più spazio ai testimoni dell'assassinio di Hamer.