Memorabili sequenze in bianco e nero, una frase emblematica ricordata da tutti, un eroe il cui nome è incastonato nella storia. E poi una serie di simboli ben definiti: un'orma, una bandiera americana, la fotografia di un astronauta che abbraccia il suo casco con timida fierezza. Lo sbarco sulla Luna del 1969 è stato più cinema del cinema. Puro spettacolo visivo seguito da più di 400 milioni di persone con tanto di inevitabile colpo di coda mediatico: glorificazione, patriottismo, dubbi complottisti. Qualcosa di talmente enorme da stare stretto persino in un grande schermo. Figuriamoci dentro milioni di televisori. Dotato di un fascino atavico, quello che da lontano ci è sempre apparsa come una piccola pallina da golf illuminata è sempre stato più di un satellite. La Luna è lirismo leopardiano, è il sogno fantascientifico di Jules Verne, è l'icona cinematografica di Georges Méliès, è sogno e malinconia, romanticismo e riflessione. Qualcosa di troppo ghiotto per un folle sognatore di nome Damien Chazelle. Uno che quando sente odore di spettacolo, sfide e sacrifici non si risparmia a mai. A costo di arrivare al sangue e alle lacrime. Sfida nella sfida, Il Primo Uomo, interpretato da Ryan Gosling, è un film ambizioso sull'ambizione, è l'inaspettata virata verso nuovi lidi del più giovane regista vincitore di un Premio Oscar.
La sua quarta opera si allontana dall'amata orbita del jazz; Chazelle trova nell'allunaggio la forza propulsiva per uscire a tutta velocità dalla sua comfort zone per entrare non solo in una galassia nuova, ma dentro una galassia molto, molto affollata. Senza scomodare il solito Stanley Kubrick, negli ultimi anni lo spazio ha visto almeno tre grandi autori cimentarsi in tre opere di alto livello: il metaforico Gravity, l'epopea di Interstellar, l'avventura di Sopravvissuto - The Martian hanno modellato un nuovo immaginario stellare in cui madri, padri ed eroi esemplari hanno sfruttato lo spazio per raccontare l'amore e il coraggio. E allora eccola la sfida nella sfida.
Forse il giovane Chazelle ha rivisto nella vocazione di Neil Armstrong la navicella in cui imbarcare la sua voglia di nuovo. Ma sia chiaro. Nulla ne Il Primo Uomo ha il sapore del compito svolto per dimostrare qualcosa a qualcuno (semmai solo a se stessi). No, perché nonostante le distanze siderali tra questo film, La La Land e Whiplash, l'opera che ha aperto la settantacinquesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia è coerente con la poetica di un giovane autore già maturo, a cui piace affondare la proprio impronta sul terreno delle umane ossessioni.
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Prima l'uomo - L'intimismo più forte dello spettacolo
Non è più tempo di un altro giorno di sole. Avvolto da un velo di cupezza perenne, Il Primo Uomo, tratto dalla biografia ufficiale First Man: The Life of Neil A. Armstrong di James R. Hansen, parte subito spezzando le ali, parte subito da una fragorosa caduta. La sequenza iniziale vale quasi come avvertenza: il montaggio concitato è al servizio di una messa in scena ansiogena, mentre lo sguardo scrupoloso di Chazelle mette subito in chiaro il suo amore per i dettagli (sonderemo ogni bullone e ogni tasto delle navicelle), gli spazi angusti e gli occhi e i respiri affannati di un Ryan Gosling che torna a essere imploso come in passato. Sia chiaro: Il primo uomo è molto più terreno che spaziale; è fatto di test, litigi, errori, invidie tra colleghi, tagli in faccia e conati di vomito, a discapito di contemplazioni spaziali poetiche e sublimi. Di Neil Armstrong non interessa tanto la gloria dell'impresa, ma i fallimenti e i sacrifici che hanno reso possibile il suo stesso mito. L'errore è stato il carburante dell'allunaggio. L'incertezza è stata l'unica costante di un'impresa che senza il rischio non sarebbe mai stata tale. Ma cosa può spingere un uomo a mettere a rischio la sua stessa vita? Il bene del progresso? Una vocazione ulissiaca? La gloria della propria nazione? La più facile e ovvia delle risposte scomoderebbe l'altruismo. Chazelle, invece, non è d'accordo. Così come il jazzista di Whiplash e la coppia di innamorati di La La Land, anche Neil Armstrong risponde soltanto alle sue ragioni personali.
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Il Primo Uomo, con tutto il rispetto per la Guerra Fredda e i discorsi ispira(n)ti del compianto John Kennedy, è un fatto personale. Ancora una volta è l'ossessione a dare senso e motivazione. Ecco che Il disincanto chazelliano torna a pungere quando ribadisce che l'esigenza del singolo supera l'interesse collettivo. Per questo l'Armstrong di Gosling è un uomo riluttante, un uomo pragmatico, schivo, introverso, ma prima di tutto un padre di famiglia segnato da una perdita enorme. La sua devozione alla causa nasce da quel vuoto. Un vuoto talmente grande da poter essere colmato solo da qualcosa di altrettanto enorme. Per Chazelle viene prima l'uomo dell'eroe, prima l'uomo del personaggio, vengono prima il genitore e il marito che mettono in gioco la serenità di una famiglia intera pur di elaborare il proprio lutto. Laddove Interstellar aveva costruito arditi labirinti per raccontare la sua avventura emotiva, Il Primo Uomo risulta asciutto e concreto, dotato dello stesso pragmatismo del suo protagonista che guarda alla Luna come l'unico posto dove trovare un cratere grande come quello aperto dentro di lui.
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Another day of Moon - Lo spazio dentro
Più che crogiolarsi dentro lo spazio, Il Primo Uomo esplora lo spazio dentro. Chazelle sonda la solitudine vissuta da una persona incapace di sublimare il dolore assieme agli amati figli e a una moglie granitica e comprensiva, che prende sulle sue spalle il peso della sua impresa domestica. In questo il regista è abile a tessere un parallelismo continuo tra Neil e Janette Armstrong, uniti da un montaggio che li sovrappone di continuo anche quando sono lontani. Il lato oscuro della Luna è anche una madre che comprende la reazione di un padre. Il lato oscuro della Luna fa de Il Primo Uomo un film in cui lo spazio non è mai contemplato nella sua bellezza infinita, ma vissuto con terrore e spaesamento. Se da Interstellar ha preso le distanze, Chazelle sembra aver studiato meglio la lezione nolaniana impartita da Dunkirk, perché chiude a doppia mandata i suoi astronauti dentro spazi claustrofobici e pericolanti, insiste nel restituire l'esperienza del volo attraverso l'uso della soggettiva, ci blinda dentro capsule metalliche grazie a un sonoro eccelso e a una colonna sonora discreta, mai ridondante che esplode solo nel finale quando finalmente qualche squarcio di spazio fa riprendere ossigeno allo spettatore per poi ritoglierli subito il fiato un attimo dopo.
Anche se sappiamo tutti come è andata a finire la missione dell'Apollo 11, Il Primo Uomo è talmente teso e tempestato di piccoli grandi disastri, che si ha sempre la sensazione che qualcosa possa andare storto o precipitare all'improvviso. Senza rinunciare a sprazzi di ironia e a qualche autocitazione ammiccante, Chazelle sfrutta l'allunaggio per ispezionare ancora una volta le motivazioni umane. Scava con mano ferma, severa, sincera, lontana dai facili sentimentalismi, per trovare nella Luna un agognato paradiso in cui riempire finalmente i buchi neri aperti sulla Terra. Il tutto raccontato da un film pieno di coraggio, un grande balzo per un regista ambizioso, nel cui cinema il braccio di ferro tra cinismo e incanto, solarità e buio, è ancora lontano da una risoluzione. Noi, intanto, ci godiamo volentieri lo spettacolo di un talento lontano anni luce da qualsiasi eclissi.
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4.0/5