Io vedo il peggio nelle persone, Henry. Solo uno sguardo basta per sapere chi sono in realtà. La mia barriera di odio si è innalzata lenta negli anni...
È il 1898, al tramonto del diciannovesimo secolo, quando il cercatore d'argento Daniel Plainview mette un piede in fallo e precipita sul fondo di una miniera del New Mexico. Il silenzioso incipit de Il petroliere corrisponde a una catabasi: la discesa agli inferi di Plainview, risucchiato dalle viscere della terra, è però il viatico che lo porterà a scoprire l'immensa ricchezza custodita nelle profondità del suolo. Il tassello successivo del film è ambientato quattro anni più tardi, nella Los Angeles del 1902: un piccolo pozzo da cui sgorga oro nero, destinato però a mescolarsi al sangue di un operaio. L'alba del Novecento sancisce dunque la metamorfosi del protagonista in petroliere: Daniel Plainview, che emerge dal pozzo con una maschera scura sul volto, rinasce idealmente come figlio del ventesimo secolo, incarnazione delle "magnifiche sorti e progressive" dell'America di Theodore Roosevelt.
Adattato da Paul Thomas Anderson da una sezione di Petrolio!, fluviale romanzo del 1927 di Upton Sinclair, Il petroliere ripercorre la fase che avrebbe portato gli Stati Uniti, sull'onda dell'imperialismo economico e dell'impiego di nuove risorse energetiche, ad affermarsi come la maggiore potenza mondiale. Quella del regista losangelino, tuttavia, non è propriamente una prospettiva storica, ma aderisce piuttosto allo sguardo di un singolo individuo nella cui parabola si può rintracciare lo spirito di un'epoca. La straordinarietà di Daniel Plainview risiede in parte anche nella natura larger than life del personaggio, emblema del ceto della borghesia imprenditoriale dei self-made man, ma al contempo un antieroe dalla tragica statura shakespeariana: prima animato da una feroce ambizione che non si ferma davanti a nulla, come un Macbeth o un Riccardo III (e quel titolo, There Will Be Blood, è già tutto un programma), e in seguito in preda a un delirio di onnipotenza che lo renderà sempre più arido e isolato, come un novello Re Lear.
"Io bevo la tua acqua": il petroliere-vampiro di Daniel Day-Lewis
Realizzato a ben cinque anni di distanza dal precedente Ubriaco d'amore, Il petroliere fa il suo debutto sul grande schermo il 26 dicembre 2007. Nelle settimane a venire avrebbe ricevuto l'Orso d'Argento per la miglior regia al Festival di Berlino, un Golden Globe e due premi Oscar: per la sontuosa interpretazione di Daniel Day-Lewis e per la fotografia di Robert Elswit, le cui tonalità opprimenti sono accentuate dalla dicotomia spaziale tra superficie e sottosuolo. Dopo i rutilanti affreschi corali di fine anni Novanta (Boogie Nights e Magnolia) e la sognante lievità di Ubriaco d'amore, Il petroliere segna una netta svolta nell'itinerario del regista e sceneggiatore trentasettenne. Dedicata al suo maestro Robert Altman, la pellicola è infatti un'opera dalla solennità cupa e ieratica, che a tratti viene però squarciata da repentine esplosioni: alcune di esse addirittura letterali (l'incendio del pozzo di petrolio a Little Boston, una scena di spaventosa magnificenza), altre corrispondenti all'emergere delle pulsioni distruttive di Daniel Plainview.
"Io sento la competizione in me. Io... non voglio che altri riescano", confessa Plainview al fratellastro Henry (Kevin J. O'Connor), rivelandogli quel segreto tormento che sempre più lo spinge a separarsi dal resto del mondo. Sarebbe errato, del resto, ridurre Plainview semplicemente a una figura allegorica: se da un lato è innegabile che la sua essenza sia innervata dall'etica di un capitalismo sfrenato e dai tratti disumani, dall'altro la sua inarrestabile ascesa sfocerà in un vortice di rabbia e di paranoia. Certo, Paul Thomas Anderson non mette da parte la dimensione politica del libro di Sinclair, autore di fiere idee socialiste: nel quadro di un'America rurale sepolta fra brulli paesaggi rocciosi, Daniel Plainview è una creatura famelica che 'vampirizza' la terra stessa, penetrando dentro di essa per succhiarne il sangue (il petrolio). "Io bevo la tua acqua"; "Il sangue bevo, dell'agnello, prendendolo da quella terra"; "Io bevo il tuo frullato", dichiara con febbrile rapacità, nell'epilogo, all'inerme predicatore Eli Sunday di Paul Dano.
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Un secolo di sangue e oro nero
Ma Daniel Plainview è anche la vittima di se stesso, prigioniero di una hybris che lo induce a rifiutare e rigettare chiunque non aderisca al proprio modello superomistico: Henry, disprezzato in quanto incline a quelle 'debolezze' che la sua morale quasi calvinista ritiene inaccettabili; e il figlio adottivo H.W. (Dillon Freasier da bambino, Russell Harvard da adulto), rinnegato una prima volta per una sordità che lo rende inadeguato nell'ottica di un darwinismo sociale e una seconda volta, molti anni più tardi, per il diniego a lasciarsi inghiottire dall'ombra di un mostruoso padre-padrone. Asserragliato nella sua solitaria magione californiana, Daniel Plainview ci appare come il Charles Foster Kane di Orson Welles, rinchiuso nella sua Xanadu in nome di un analogo cupio dissolvi. Ed è in questa cornice che, nel finale del film, si consuma l'ultimo faccia a faccia con Eli Sunday: la sua nemesi, colui che ha fatto leva su un misticismo ammantato di superstizione (in netto contrasto con la concretezza 'materica' di Plainview) per condurre la propria scalata al successo.
Eli è un altro "figlio del secolo", proprio come Daniel Plainview: consapevole, a differenza dei genitori, del patrimonio nascosto negli impervi terreni del Sud-Ovest, e determinato a sfruttare l'entrata in scena del petroliere ai fini del proprio tornaconto personale. Pastore della chiesa della Terza Rivelazione, e pertanto ambiguo portavoce di una distorta visione puritana, Eli potrebbe rappresentare una sorta di antesignano di Lancaster Dodd, il guru spirituale interpretato cinque anni dopo da Philip Seymour Hoffman in The Master. Ma in un'America alle prese con un radicale momento di transizione (nella sua patetica supplica, Eli fa riferimento al crollo della borsa del 1929), la voce della 'rivelazione' ormai appartiene a Plainview. È lui, con la ferina bestialità del ritratto di Daniel Day-Lewis, a reclamare la propria egemonia sul ventesimo secolo e la superiorità sul "falso profeta" ("Io bevo il tuo frullato!"), subito prima di massacrarlo a colpi di birilli sulla pista da bowling: una climax atroce in cui trova compimento la sanguinaria promessa del titolo.
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