Il medioevo di Francesco Lagi unisce risate e lacrime. Le lacrime sono quelle della miseria a cui sono costretti i villici dell'immaginario castello di Tripalle, feudo arido e pietroso sito in qualche angolo del basso Lazio dove, a sorpresa, arriva il Marconte Berlocchio, stalliere che ha acquisito il titolo nobiliare sposando la figlia di un ricco e potente signore. Per la sua nuova commedia, Il pataffio, il regista di Quasi Natale Francesco Lagi ha scelto di adattare il romanzo di Luigi Malerba del 1978 mantenendo un'aderenza alla storia originale, ma con qualche sostanziale modifica.
"Ho cercato di mantenere lo spirito di Malerba inalterato" spiega Lagi al Festival di Locarno 2022, dove Il pataffio è uno dei due titoli italiani presenti in concorso. "Ho aderito al racconto originale inserendo alcuni cambiamenti, ma restando fedele soprattutto al linguaggio. Malerba è molto più cattivo di noi, più acido, perfino sgradevole. Io ho cercato di approfondire le psicologie dei personaggi, ho ridotto gli eventi, ho semplificato cercando di dare a ognuno umanità e ho cambiato i loro finali. Il romanzo di Malerba non prevede la malinconia, è cattivo soprattutto coi personaggi di Bernarda e Berlocchio. Bernarda forse è il personaggio che ho cambiato di più. Ma il merito del cast è quello di aver accolto i personaggi, di averli amati".
La musicalità dell'accento e il lavoro sulle musiche
La prima preoccupazione di Francesco Lagi era quella di rendere comprensibile la lingua, questa parlata neomedievale romanesca piuttosto colorita che ben si sposa con le location del film, site in Ciociaria, nel basso Lazio, al confine con Abruzzo e Campania. Lo sforzo fatto dal cast per assorbire la musicalità di questa strana parlata viene descritto da Lino Musella, presente a Locarno insieme a Giorgio Tirabassi, Valerio Mastandrea e all'interprete di Bernarda Viviana Cangiano. Entrando nel merito nella lingua, Lino Musella spiega: "Viste le lunghe tirare di Berlocchio, più che la memoria ho dovuto prestare attenzione alle pause e ai respiri. Dovevamo digerire queste parole, dare un tono su cui gli altri dovevano accordarsi o contrastare".
Oltre al dialetto, il cast de Il pataffio ha dovuto anche imparare le canzoni presenti nel film ed è qui che entra in gioco Stefano Bollani, che ha compositore le musiche. "Ci sono due canzoni che sono prese dal libro ed è proprio grazie a queste canzoni che ho avuto la fortuna di essere contattato prima dell'inizio delle riprese. In questo modo Francesco Lagi mi ha approvato dei temi che poi ha usato durante la lavorazione del film. Molto bello lavorare così perché sapevo dall'inizio che i personaggi si sarebbero mossi in questa atmosfera musicale. Ho usato il clavicembalo che nel Medioevo non c'era, ma a noi serviva per evocare un passato preciso". Riguardo alle ipotetiche influenze de L'armata Brancaleone, evocato spesso e volentieri per l'affinità di temi e ambientazione, Bollani specifica di non averlo usato come riferimento, "anzi, non ho neanche rivisto il film. Mi ricordo solo la marcia iniziale di Rustichelli, ma quando ho letto la sceneggiatura ho capito che non c'era né la voglia di imitare un capolavoro né di buttarla in caciara".
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I legami tra passato e presente sono più di quanto si immagini
Al di là dell'adesione al romanzo, i legami de Il pataffio con l'attualità sono molteplici, a partire dal personaggio di Migone, interpretato da Valerio Mastandrea, villico saggio che si mette alla guida dei suoi conterranei nel tentativo di arginare le pretese di Berlocchio (Lino Musella). E proprio Migone è protagonista di una delle scene più "politiche" del film, che esplicita la valenza metaforica della storia. Come precisa lo stesso Mastandrea, "Migone può essere accostato a coloro che fanno politica nei movimenti, non nei partiti. Si tratta di una politica dell'utopia che permea tutti i personaggi, del tentativo di concepire un mondo diverso. L'infelicità è più percepibile, se uno diventa davvero felice si ammazza". Giorgio Tirabassi, qui nei panni del consigliere di Berlocchio, rincara la dose aggiungendo: "È quando dai il potere a una personaggio che scopri di che pasta è fatto. Come dare una pistola carica in mano a un bambino di sei anni. I personaggi de Il pataffio hanno un'intelligenza rudimentale e questo alimenta l'aspetto comico".
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In difesa della commedia italiana
Per Lino Musella "la commedia è una trappola. Un meccanismo che ci permette di ricevere i contenuti molto amari di quest'opera grazie a questo tipo di seduzione. Accettiamo i personaggi perché ci fanno ridere anche se non ci sono simpatici e questo aiuta a veicolare un messaggio". Nella discussione sul genere interviene Valerio Mastandrea, a cui il cinema italiano sembra stare sempre più a cuore. Dopo aver scherzato dicendo di essere sul viale del tramonto "perché mi sono rotto il c...o", Mastandrea si produce in una tirata a difesa della commedia italiana "che si sta affinando molto. Un certo tipo di commedia oggi non funziona più. Se tappi un fiume da qualche altra parte va. Trovo che questo film sia qualcosa di nuovo, ma serve coraggio per far capire al pubblico che il cinema italiano è molte cose. E lo deve far capire la stampa e i festival, bisogna promuovere e valorizzare certo cinema italiano senza correre dietro al gusto personale. Se il grande maestro fa un film brutto non ci deve andare in concorso, ma è dovere di tutti dire che il cinema italiano è di qualità".