Questa è davvero una proposta che non potete rifiutare. Dal 28 febbraio, infatti, in occasione dei cinquant'anni dalla sua uscita, che ricorrono a marzo, torna al cinema il capolavoro di Francis Ford Coppola, Il padrino, del 1972. In un periodo in cui in tanti stiamo riscoprendo pian piano il piacere di tornare a vedere i film in sala, Il padrino è davvero l'occasione perfetta per gustare il grande cinema. Vedere quest'opera sul grande schermo, lasciarsi avvolgere da quelle ombre e da quelle luci fioche e pastose, il marchio di fabbrica del film, trovarsi di fronte ai volti enormi - in tutti i sensi - di Marlon Brando e Al Pacino, può davvero essere un'esperienza immersiva e irripetibile. Il padrino è uno dei film simbolo della New Hollywood. Ai premi Oscar del 1973 ottenne 10 nomination e vinse 3 statuette: miglior film, miglior attore protagonista a Marlon Brando e miglior sceneggiatura non originale, a Mario Puzo e Francis Ford Coppola.
Don Vito Corleone è la madre di Mario Puzo
E pensare che uno dei film più grandi, in fondo, doveva essere solo un piccolo film, a basso budget. Il padrino è tratto dal romanzo di Mario Puzo che, nel 1969, vendette oltre nove milioni di copie e venne inserito nella lista dei best seller dal New York Times. Il personaggio di Don Vito Corleone era ispirato a dei veri mafiosi di New York, Joe Profaci e Vito Genovese, e molte cose raccontate nella storia sono vere, o verosimili. Per la personalità di Don Vito, però, Puzo decise di ispirarsi a quella di sua madre.
Il Padrino: 10 elementi di un capolavoro che non si può rifiutare
New York, Don Vito e Michael Corleone
Siamo a New York, tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta. Don Vito Corleone (Marlon Brando) è il capo di una famiglia mafiosa potentissima. La scelta di non entrare nel traffico della droga gli costa l'inimicizia di un clan e un attentato. Il figlio Michael (Al Pacino), reduce di guerra decorato, vuole restare estraneo all'attività di famiglia. Ma per difendere il padre e vendicarlo, finisce per sostituirlo nei suoi affari. E per macchiarsi di sangue.
Da Sergio Leone a Francis Ford Coppola
Alla Paramount avevano pensato a un regista italoamericano. Si era ragionato addirittura di affidare il film a un regista italiano, e che regista: era Sergio Leone, che però non accettò, e avrebbe poi girato a modo suo un film di mafia, C'era una volta in America. In lizza c'erano anche Peter Bogdanovich, Elia Kazan, Athur Penn, Costa Gavras e Sam Peckimpah. Si scelse però un regista di origini italiane ancora poco conosciuto, Francis Ford Coppola, che all'epoca aveva 32 anni. All'inizio disse di no, perché, con la sua American Zoetrope e la Warner Bros, stava lavorando a L'uomo che fuggì dal futuro di George Lucas. Ma quel film andò molto male al botteghino. E allora, per rifarsi, e rifondere i soldi alla Warner, Coppola finì per accettare.
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A Frank Sinatra non piace questo elemento...
A proposito di budget, la Paramount aveva pensato a un film piuttosto economico. Ma Coppola, per cominciare, spostò le riprese a New York, mentre era stata prevista Saint Louis, e ci tenne al fatto che fosse ambientato negli anni Quaranta, quando l'idea era che fosse ambientato all'epoca delle riprese. E così il budget cominciò a salire, per la gioia della Paramount. Che non aveva solo di questi problemi. Ci fu un certo Frank Sinatra, ad esempio, che fece pressioni sulla produzione, perché temeva che il personaggio di Johnny Fontane fosse ispirato alla sua figura, e che così si tornasse a parlare dei suoi legami con Cosa Nostra statunitense. Ma anche la famiglia mafiosa dei Colombo tentò di boicottare Il Padrino perché, secondo loro, metteva in cattiva luce gli italoamericani, considerati tutti dei mafiosi.
Marlon Brando e le guance di Don Vito
Ci sono tanti motivi per cui Il padrino è passato alla storia. Il primo è sicuramente il personaggio, immediatamente iconico, di Don Vito Corleone, reso immortale dall'interpretazione di Marlon Brando, che la spuntò su Ernest Borgnine, Orson Welles, Gian Maria Volontè e Burt Lancaster. Brando all'epoca aveva 47 anni e lavorò in modo da sembrare molto più vecchio. Fu sua l'idea di dare a Don Vito quella sua tipica mascella pronunciata, come quella di un bulldog. Le leggende raccontano che infilò del cotone idrofilo in bocca per gonfiare quelle guance, regalando al padrino quell'immagine che sarebbe rimasta nella storia. È vero, ma fece così durante le audizioni. Durante le riprese vere e proprie indossò una sorta di apparecchio realizzato da un dentista. Oggi è esposto all'American Museum of the Moving Image nel Queens, New York.
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Marlon Brando, c'è simpatia...
Se pensiamo all'immagine austera e minacciosa di Don Vito Corleone, non ci verrebbe mai in mente un Brando giocoso sul set. Invece l'attore amava fare scherzi. Come quella volta che, per la scena in cui al rientro dall'ospedale viene portato in barella in camera sua, fece mettere sotto la coperta dei pesi, così che il "carico" arrivò a qualcosa come 300 chili, per la gioia degli attori che si trovavano a portare la barella. O come quella volta in cui, per prendere in giro Lenny Montana, che interpretava Luca Brasi, già molto nervoso all'idea di recitare accanto a un mostro sacro, si presentò in scena con un cartellino con scritto: "Vai a fare in..."
Marlon Brando e il Metodo...
Il fatto è che Marlon Brando non memorizzava granché delle sue battute, e le leggeva dai dei cartelli messi sul set, una sorta di "gobbo" messo lì solo per lui. Tutto questo dipende dal suo famoso tipo di recitazione, il Metodo: per lui leggere le battute a freddo, e usare quella prima ripresa senza aver mai provato, era il modo migliore per dare autenticità alla recitazione. Avrebbe fatto così anche Superman, dove il set di Krypton era pieno di cartelloni incollati ovunque in modo che potesse leggere le sue battute per la prima volta. Il Metodo, però, evidentemente funzionava. Al Pacino avrebbe poi raccontato che le lacrime negli occhi di Marlon Brando, nella scena dell'ospedale in cui Michael si impegna con suo padre, erano vere lacrime.
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Quella Director's Cut di due ore
Capita di rado che una Director's Cut sia più breve della versione effettiva del film. Ma Il padrino è un film unico anche in questo senso. Francis Ford Coppola aveva infatti consegnato una prima versione che durava due ore e sei minuti. E fu la Paramount, a differenza di quanto avviene quasi sempre, a chiedere un taglio più lungo. La produzione voleva che ci fossero più scene incentrate sulla famiglia. E così Il padrino finì per durare qualcosa che cinquanta minuti più della prima versione.
Gordon Willis, il Principe delle tenebre
Ma, mentre ci lasciamo catturare dalla storia e dal carisma dei personaggi, non dobbiamo dimenticare un altro elemento chiave che rende unico Il padrino. È la fotografia di Gordon Willis, che scelse in maniera decisa di fare di ogni scena un tableau, un quadro dipinto su tela. La scelta si è rivelata decisamente vincente. Perché quei chiaroscuri degni di Caravaggio hanno un valore non solo estetico ma anche fortemente simbolico, e sembrano presagire un buio dell'anima che finisce prima o poi per inghiottire tutti. Sul set de Il padrino, il direttore della fotografia Gordon Willis era soprannominato "Il Principe delle tenebre", poiché i suoi set erano davvero poco illuminati. I dirigenti della Paramount pensavano che il girato fosse troppo scuro, ma Willis e Francis Ford Coppola li convinsero che la luce era stata pensata per sottolineare le ombre che c'erano nei rapporti della famiglia Corleone. Una scelta azzeccata. Perché trovarci in quelle stanze, al buio, ci fa entrare nella storia, ci fa sentire costantemente in soggezione, incerti, impauriti, come i personaggi che si trovano al cospetto dei boss. C'è, ne Il padrino, un continuo presagio di morte, di tragedia imminente.
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Un'offerta che non potrà rifiutare
"I'm gonna make him an offer he can't refuse", che tutti noi, dalla versione italiana, abbiamo fissato nella nostra memoria con quel "Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare", è entrata nella storia, ed è forse la prima idea che leghiamo a Il padrino, un film pieno di scene cult. La più famosa è quella in cui un produttore cinematografico, che non aveva dato un ruolo a un attore amico dei Corleone, trova la testa mozzata di un cavallo nel letto: una scena che, come potete immaginare, fece insorgere gli animalisti. Ma è strepitosa, e carica di suspense e di significati, anche la scena del primo omicidio effettuato di Michael Corleone, nel ristorante. È piena di incertezza, di patemi d'animo, di paura. E finisce per essere il vero momento di svolta del personaggio.
Quell'Oscar non ritirato
Il padrino, nato come un piccolo film, diventò qualcosa di enorme. Di quei tre Oscar vi abbiamo detto in apertura. Ma la storia tumultuosa del film si protrasse fino alla premiazione degli Academy Awards, dove Marlon Brando non si presentò per protestare contro i maltrattamenti verso i nativi americani da parte di Hollywood e dell'America tutta. Anche Al Pacino boicottò la premiazione perché il suo Michael Corleone era presente in scena per più tempo rispetto a Don Vito, e avrebbe dovuto essere lui il candidato a miglior attore protagonista. Allora non vi resta che andare al cinema. Il padrino su grande schermo è davvero una proposta che non potete rifiutare.