Si scrive "on the road", si legge "sottopelle". È questo il tragitto de Il padre d'Italia, un viaggio lungo dorso tirrenico d'Italia, che scava a fondo nelle anime zoppicanti di Mia e Paolo. Lui, col freno a meno sempre tirato, legato ad un vecchio amore svanito; lei troppo accelerata, caotica, senza meta. Un incontro casuale e decisivo li metterà lungo la stessa carreggiata, in moto verso i loro destini, diretti verso una riconciliazione col passato, verso un futuro più forte di una precarietà emotiva enorme. Il secondo film di Fabio Mollo vive di sfumature e di epifanie improvvise, racconta due persone alla ricerca di una strada che conduca finalmente verso l'età adulta.
Per riuscirci, però, bisogna tornare dove tutto è iniziato, e forse dove qualcosa è rimasto irrisolto per troppo tempo. Grazie ad una regia meticolosa nel soffermarsi sui corpi e sugli sguardi dei personaggi, Il padre d'Italia delinea una storia che tocca tappe delicate, come l'istinto paterno e materno, come l'amore, inteso in maniera più universale possibile. In occasione dell'anteprima del film, abbiamo intervistato il regista, Luca Marinelli e Isabella Ragonese. Per scoprire come ci si orienta lungo un viaggio così profondo. Con un occhio verso lo specchietto retrovisore e la testa fuori dal finestrino.
Leggi anche: Il padre d'Italia - L'amore è un istinto universale
Mia, Paolo, noi
Sorride felice, soddisfatto di aver lavorato con due grandi talenti del nostro cinema. Fabio Mollo abbraccia Marinelli e Ragonese con gli occhi, per formare un trio affiatato che ha voluto bene a questo film, a questa storia e questi personaggi tanto in bilico. Una lavorazione affiatata, impegnativa perché piena di prove e di discussioni costruttive, che ha richiesto ai due attori di remare contro i loro ruoli più recenti e abituali. Isabella Ragonese ha spesso vestito i panni di personaggi composti, dotati di una raffinata misura (Tutta la vita davanti, Il primo incarico), mentre i due ultimi ruoli di Luca Marinelli sono esagitati e sopra le righe (Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg Robot). Ne Il padre d'Italia i due sono stati chiamati all'esetto contrario, a dosare in maniera diverse l'energia recitativa, con una Mia ribelle e inquieta e un Paolo rinchiuso dentro una lungo, logorante e silenzioso dolore. Il loro incontro, casuale quanto necessario, ci appare così salvifico per le anime di entrambi.