La sola prova dell'esistenza del diavolo è il nostro desiderio di vederlo all'opera.
Probabilmente non esistono precedenti per un fenomeno quale Il nome della rosa, perlomeno nel panorama letterario italiano; e ad oggi, nessun altro romanzo ha saputo ripetere il 'miracolo' compiuto dalla prima opera di narrativa di Umberto Eco. Un'opera che, per l'appunto, ha valicato i confini nazionali per guadagnarsi una popolarità in grado di contagiare perfino l'America; inevitabile, dunque, che una storia tanto portentosa non tardasse ad attirare l'interesse del cinema. È così che nel 1986, ad appena sei anni di distanza dalla pubblicazione del libro, nelle sale di tutto il mondo approda Il nome della rosa, ambiziosa co-produzione europea affidata alla regia del francese Jean-Jacques Annaud e con un divo del calibro di Sean Connery nel ruolo principale.
La pellicola di Annaud esce negli Stati Uniti il 26 settembre 1986 (in Italia sarebbe arrivato il 17 ottobre), distribuita dalla 20th Century Fox: il debutto sembra promettente, ma l'interesse per il film fatica a crescere e gli incassi si fermeranno a sette milioni di dollari e due milioni di spettatori. In compenso, in Europa Il nome della rosa è un successo annunciato, in grado di registrare cifre superiori alle più rosee aspettative, fra cui cinque milioni di spettatori in Francia e dodici miliardi di lire in Italia (dove fra l'altro il primo passaggio televisivo del film, nel 1988, segnerà un record assoluto), mentre in Gran Bretagna Sean Connery viene ricompensato con il BAFTA Award come miglior attore. E a giustificare, almeno in parte, la discrepanza nella ricezione de Il nome della rosa fra l'America e il "vecchio continente" potrebbe essere la maggiore fascinazione del pubblico europeo per quell'immaginario medievale che costituisce, del resto, uno degli elementi-cardine del racconto di Umberto Eco.
Umberto Eco e l'abbazia dei delitti
Partiamo proprio da lì: il valore e l'appeal di un romanzo tanto denso sul piano filosofico quanto avvincente sul piano narrativo. Un romanzo in grado di immergere il lettore in un Medioevo brumoso e inquietante, di dipingere un dettagliato quadro storico sui dissidi religiosi e culturali nell'Europa del quattordicesimo secolo e, al contempo, di appassionare ogni tipologia di lettori in virtù di un meccanismo poliziesco sui generis che avrebbe fatto scuola. Al cuore del libro di Eco vi è infatti l'indagine condotta, fra le pareti di un monastero benedettino sui monti della Toscana, dal francescano inglese Guglielmo da Baskerville, accompagnato dal giovane novizio Adso da Melk. Difatti l'abbazia, scelta come sede di un importante convegno religioso, si trasforma ben presto nel teatro di una macabra catena di omicidi, al punto da scatenare nei monaci il sospetto che questa scia di sangue sia opera del Maligno. Ma Guglielmo, per nulla incline ad accettare una spiegazione di matrice soprannaturale, utilizzerà il raziocinio e le sue conoscenze del mondo classico per far luce sui misteriosi delitti.
Il nome della rosa, in sostanza, sviluppa alla perfezione i principi-cardine del giallo storico, tanto da essersi imposto da lì in poi come l'inevitabile modello di paragone nel campo dei murder mystery di ambientazione medievale. Pertanto la sfida raccolta da Jean-Jacques Annaud, che si era già fatto apprezzare per Bianco e nero a colori (premio Oscar come miglior film straniero del 1976) e La guerra del fuoco, consiste nel trasporre Il nome della rosa sullo schermo mantenendo intatti lo spirito e gli ingredienti peculiari del best-seller di Umberto Eco, ma adattandone la struttura alle esigenze di una riduzione filmica e di un pubblico di massa. Se dunque, delle oltre seicento pagine del libro, parecchio materiale verrà sacrificato, Annaud e la sua squadra di sceneggiatori (quattro in tutto) riescono comunque a non banalizzare in maniera eccessiva i temi affrontati dal romanzo; a partire dalla riflessione sul dissidio interno alla Chiesa fra una visione rigidamente oscurantista e un desiderio di apertura nei confronti della realtà.
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Nei labirinti del Medioevo
Particolarmente ispirata risulta allora la scelta di Sean Connery come volto-simbolo di tale apertura: il Guglielmo da Baskerville interpretato dal divo scozzese è un investigatore saggio e carismatico, pronto ad accogliere le contraddizioni dell'esistenza con benevola comprensione, ma al tempo stesso animato da un profondo senso di giustizia. Al suo fianco, Adso da Melk (un Christian Slater appena sedicenne) schiude uno sguardo ancora ingenuo e privo di malizia su quell'oscuro microcosmo, offrendosi come il punto di vista privilegiato dello spettatore. Attorno alla coppia di protagonisti, una galleria di attori che si allontanano da un'estetica prettamente hollywoodiana nell'ottica dell'aderenza ai personaggi nati dalla penna di Eco. E se nei panni dello spietato inquisitore Bernardo Gui gli spettatori ritrovano la severità dell'Antonio Salieri di Amadeus, vale a dire F. Murray Abraham, dai cappucci degli altri monaci ecco spuntare volti meno noti, ma altrettanto incisivi: l'abate di Michael Lonsdale e i tratti bizzarri, grotteschi o feroci di Helmut Qualtinger, Volker Prechtel, Feodor Chaliapin Jr, William Hickey, Michael Habeck e Ron Perlman.
Al di là dell'intreccio ideato da Umberto Eco, al di là della suspense legata al libro 'maledetto' che racchiude in sé la chiave dell'enigma, gran parte della capacità di suggestione de Il nome della rosa di Annaud risiede però nella sua rievocazione di un Medioevo inesorabilmente sinistro: nelle tinte cupe della fotografia di Tonino Delli Colli, nella ricostruzione del monastero benedettino (la location delle riprese è l'abbazia tedesca di Eberbach), nella materialità livida e fangosa di una valle racchiusa all'ombra degli Appennini. E ovviamente in quella biblioteca segreta, ultimo 'livello' dell'avventura di Guglielmo e Adso, che lo scenografo Dante Ferretti rappresenta come un insidioso dedalo di scale e corridoi: un impressionante contrappunto visivo dell'omaggio di Eco ai labirinti di Jorge Luis Borges, nonché l'emblema di una complessità che neppure la luce della ragione potrà mai sperare di districare in maniera definitiva.