Fare ironia sul Nazismo con garbo si può. Da Charlie Chaplin a Taika Waititi, da Roberto Benigni a Radu Mihăileanu, in molti film hanno offerto uno sguardo farsesco su una delle più grandi tragedie dell'umanità. Con Il mio vicino Adolf, Leon Prudovsky affronta la fase storica successiva alla Seconda Guerra Mondiale, quella in cui i gerarchi nazisti scampati al Processo di Norimberga assunsero nuove identità, rifugiandosi per lo più in Sudamerica e facendo perdere le proprie tracce. Ma c'è l'altra faccia della medaglia: le vittime. I sopravvissuti all'Olocausto costretti a trovare un modo per andare avanti nonostante le cicatrici fisiche e mentali che si portano addosso.
Leon Prudovsky adotta proprio il punto di vista di uno di questi superstiti, il misantropo Malek Polski (lo scozzese David Hayman), settantenne polacco che si è rifugiato in una proprietà isolata ai margini della civiltà in una regione del Sudamerica degli anni '60 non meglio specificata (il film è girato in Colombia e Brasile). Polsky vive frugalmente, riduce al minimo le visite al villaggio per sbrogliare le questioni burocratiche e passa il tempo a curare un cespuglio di rose nere che provengono dalla sua terra natale. Ma un giorno la proprietà accanto alla sua viene acquistata da un misterioso uomo d'affari tedesco che si fa chiamare Herman Herzog, è rappresentato da un'avvocatessa dal piglio deciso e dal forte accento teutonico e ospita rumorose riunioni notturne frequentate da loschi figuri. Dopo aver scorto lo sguardo di ghiaccio del nuovo vicino, Polsky si convince che si tratti di Adolf Hitler in persona, sfuggito alla morte dopo aver gabbato il mondo con un finto suicidio.
La verità è dentro di noi
Commedia dal sottofondo amaro scritta con cura, Il mio vicino Adolf si distingue per l'ennesimo duello attoriale di altissimo livello. Da una parte c'è il flemmatico David Hayman che interpreta un anziano scontroso a cui non si può non voler bene, fosse anche solo per il passato doloroso che prova si vuol lasciare alle spalle; dall'altra l'enigmatico Udo Kier incarna una figura misteriosa che potrebbe essere, o non essere, Adolf Hitler. E il gioco è proprio questo, evitare di fornire certezze allo spettatore sull'identità di Mr. Herzog. Quando gli indizi pendono da una parte, ecco che interviene un evento o spunta un nuovo indizio a rimescolare le carte in tavola.
Merito dell'ennesima magnetica performance di Udo Kier, che ruba la scena sfruttando il suo aspetto da divo dell'Espressionismo. E i suoi occhi di ghiaccio sono proprio ciò che ha permesso a Polsky di (credere di?) riconoscere il Führer nel nuovo vicino di casa dopo essersi seduto di fronte a lui al Campionato Mondiale di Scacchi a Berlino decenni prima. Polsky si trasforma così in una specie di detective che spia il vicino e si introduce nella sua proprietà a caccia di prove che confermino la sua tesi. Binario, questo, che ricalca la trama di molte gustose commedie, tra cui L'erba del vicino di Joe Dante con un giovane Tom Hanks. Ma in questo caso c'è un sottotesto ben più doloroso a elevare il film dalla media, rendendo le implicazioni del rapporto tra Polsky e Mr. Herzog assai complesse. L'umanità che trapela dalle loro interazioni, e che finirà per sfociare in una strana amicizia, lascia intendere che i ruoli di vittima e carnefice, in cui i personaggi si sono trovati ingabbiati in un preciso momento storico, non li definiscono come persone.
Un film semplice, ma ricco di sentimento
Pur toccando punte da slapstick nelle scaramucce tra vicini di casa che coinvolgono il pastore tedesco di Mr. Herzog e il cespuglio di rose di Polsky preso di mira dal cane, Il mio vicino Adolf è un film toccante che esplora il lato umano della storia, soffermandosi su concetti come amicizia, lealtà, solitudine e perdono. La sceneggiatura di Leon Prudovsky e Dmitry Malinsky non rivela tutto subito, ma lascia che sia lo spettatore, per vie oblique, a immergersi in una trama che si dipana a poco a poco fondendo lacrime e risate.
La commedia di Prudovsky è un film piccolo, minimalista, con un numero ristretto di interpreti e una fotografia, firmata da Radek Ladczuk, ridotta quasi al bianco e nero. Al di là di qualche trovata facile - tra cui la guerra alle deiezioni del pastore tedesco e il tentativo di determinare se Herzog ha un solo testicolo, caratteristica attribuita allo stesso Hitler - Il mio vicino Adolf è una commedia piacevole e profonda, un modo perfetto per curare le proprie ferite, qualunque sia l'origine.
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Conclusioni
La recensione de Il mio vicino Adolf evidenzia le qualità di una commedia di personaggi dominata da due grandi interpreti che danno vita a un duetto pieno di umanità e complicità. Un film piccolo, che oscilla tra risate e lacrime, valorizzato da una sceneggiatura accurata che suscita un groviglio di sentimenti.
Perché ci piace
- Le performance di David Hayman e Udo Kier, così diversi e al tempo stesso così in sintonia.
- La semplicità della sceneggiatura.
- L'ambientazione isolata e suggestiva del Sudamerica anni '60.
- L'ambiguità intorno al personaggio di Mr. Herzog, uno dei punti forti della storia.
Cosa non va
- Alcune trovate comiche un po' troppo scontate abbassano il livello della scrittura per lo più raffinata e dotata di garbo.