Sono passati mesi da quando abbiamo visto il nuovo film di Ryusuke Hamaguchi in quel di Venezia, da quando ve ne abbiamo parlato nella nostra recensione de Il male non esiste e da quando abbiamo potuto scambiare quattro chiacchiere con il regista per realizzare l'intervista che segue. Mesi in cui in qualche modo siamo tornati col pensiero al suo nuovo lavoro, così diverso dal precedente Drive My Car e per questo capace di disorientare per chi aveva amato quel film. Abbiamo ripensato al fascino dell'area rurale in cui è girato, al tema della convivenza difficile tra uomo e natura, a quel finale così spiazzante. Ci abbiamo ripensato ancora una volta ora che il film arriva nelle sale, dal 6 dicembre, per poter raggiungere il pubblico e colpirlo. In modo diverso, ma non per questo meno potente, rispetto a quanto aveva fatto col lavoro precedente.
Con Il male non esiste il regista giapponese ci porta nel Giappone rurale, nel villaggio di Mizubiki, vicino Tokyo, dove un'azienda senza scrupoli ha in progetto di costruire un glamping, ovvero un campeggio di lusso, minacciando di alterare l'equilibrio naturale del posto e suscitando le proteste degli abitanti. Tra questi ci sono un padre single, Takumi, e sua figlia Hana, custodi e simboli di una vita in perfetta armonia con la natura.
Il male non esiste, tra fatti reali, cast e musica
Il film è in qualche modo ispirato a eventi accaduti realmente. Quanta parte di fatti, di verità, c'è dietro il film?
In realtà si tratta di una parte abbastanza cospicua della storia. Quello che vedete intorno alla metà del film, la sessione esplicativa del glamping, si rifà a un episodio realmente accaduto nella zona che è oggetto delle riprese del film stesso. Nella realtà era successa esattamente la stessa cosa, ovvero c'era stata una sessione esplicativa di un progetto che era abbastanza poco credibile e c'era stata l'interazione con le persone del villaggio che abitavano dove questo progetto sarebbe dovuto essere portato avanti. Dall'interazione vivace, si capisce come chi sta facendo la spiegazione poco alla volta crolli a livello personale. Sono rimasti i dati audio di questo evento che io ho ascoltato apposta per poi realizzare quella scena. Tutto ciò che succede successivamente a quella scena, invece, è qualcosa che ho realizzato io, con la mia creatività.
Mi ha colpito moltissimo la musica fatta per questo film, e dalle note di regia sembra di capire che è nata addirittura prima delle riprese. Mi ha dato quasi la sensazione che fosse un jazz, con le immagini che in qualche modo improvvisano per seguire la musica. Ci può dire qualcosa in più su come ha lavorato insieme alla compositrice?
Tutto è nato dalla proposta della compositrice Eiko Ishibashi di realizzare il video per una sua live session. Ma il fatto che la musica fosse già pronta è corretto al 50%, perché se parliamo della musica per Il male non esiste, la theme song, la musica che si sente all'inizio del film, è stata realizzata dopo la fine delle riprese. È stato un po' un botta e risposta come si potrebbe fare in una corrispondenza epistolare. Sono però contento che si nomini il jazz, perché sono presenti degli elementi di improvvisazione: ogni volta, in ogni scena, in ogni momento, cercavo di creare qualche cosa che fosse adatta a quello specifico momento. È stata un'esperienza cinematografica che mi ha anche intrattenuto, mi ha dato molta energia, e quindi posso dire solo di essere stato contento di aver ricevuto questo invito iniziale da parte di Eiko Ishibashi. E poi, anche la stessa Ishibashi aveva accennato che all'interno della sua live performance ci sarebbero state delle improvvisazioni. Quindi, ovviamente, anche questo era qualcosa che mi rendeva felice e stimolato.
Che strumenti ha usato per la musica del film?
Non sono la persona più adatta a rispondere, perché non ho tutte le informazioni precise. So che ci sono degli archi e dei fiati, così come un sintetizzatore, ma anche la chitarra di Jim O'Rourke e la batteria di Tatsuhisa Yamamoto. Ma è una domanda che farebbe molto piacere a Eiko Ishibashi, perché ricordo che in un'intervista diceva come rimanga delusa quando riceve domande sui versi delle canzoni oppure sul tema della musica o sui testi. Invece è molto contenta di parlare della musica nello specifico e degli strumenti usati per la composizione.
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Lavorare con gli attori e sui personaggi
Cosa ci può dire invece del casting e del lavoro fatto con gli attori?
Il casting è per me un elemento importante, rappresenta dal 70% all'80% della realizzazione di un film. Il protagonista, che si chiama Hitoshi Omika, faceva parte della troupe, ma anche Ryûji Kosaka in Drive My Car era uno dei driver, anche se aveva già un'esperienza come attore pur non riuscendo a sbarcare il lunario. In Drive My Car mi aveva colpito la sua umanità e ho pensato che l'avrei potuta sfruttare per altri personaggi. Una cosa importante con il cast è creare un rapporto di fiducia e posso dire di aver potuto creare con tutto il gruppo un bellissimo rapporto.
Nel film c'è un personaggio assente, quello della madre che sembra scomparsa da poco, perché si vede in una foto con la bambina più o meno alla stessa età. Come mai ha voluto aggiungere questa figura mancante?
Non c'è alcun elemento all'interno della storia che ci faccia capire se è morta. È assente. In questa storia l'assenza di uno dei genitori diventa una forza motrice. Il fatto che siano rimasti sono due elementi della famiglia, un padre e una figlia, fa sì che la loro vicinanza sia maggiore. Ma ci troviamo davanti a un padre che ha deficit comunicativi e, invece di frequentare altri esseri umani, preferisce essere a contatto con la natura, con gli alberi, l'acqua, l'erba e gli altri elementi naturali, mentre la bambina ha potenzialità comunicative molto superiori e se la madre fosse stata presente la comunicazione sarebbe stata molto diversa da quella che riescono ad avere padre e figlia. Loro due si trovano davanti a un momento di crisi che fa sì che il padre nella parte finale del film reagisca in quel modo. Se ci fosse stata la madre presente, quella reazione non avrebbe avuto quell'entità. Quindi questa assenza ha un peso.
Il contrasto tra città e aree rurali in Giappone
Colpisce l'immagine del Giappone rurale, laddove spesso al cinema vediamo un paese modernissimo. Come mai la scelta di concentrarsi su quell'aspetto del Giappone e che ricerche ha fatto?
Abito in città, nelle vicinanze di Tokyo, quindi non conosco alla perfezione la situazione delle zone rurali. Invece Eiko Ishibashi abita in un luogo circondato dalla natura. Io e lei avevamo parlato di questo progetto per oltre un anno senza riuscire a decidere che direzione intraprendere, ma mi sono detto che se fossi andato a vedere la zona in cui lei abitava e creava la sua musica, avrei potuto avere un elemento in più. Allora ci sono andato e si trattava di zone non lontane da dove è ambientato il film. Ho fatto delle ricerche per ottenere informazioni sull'episodio del glamping a cui accennavo prima, ma la grossa differenza tra città e aree rurali è che in città prevale un ambiente in cui tutti usiamo l'aria condizionata e viviamo all'interno di un contesto che ha una temperatura costante, senza renderci conto che la temperatura sta aumentando.
Se ci si trova in una zona rurale, si è perfettamente consapevoli di quale sia la temperatura esterna, perché si vive in un rapporto di armonia con la natura. Anche la scena del taglio della legna era molto importante, perché ci fa capire l'importanza di questa attività per poter mantenere il controllo della temperatura. Sono aspetti che sottolineano le divergenze tra città e zone rurali, ma le prime continuano ad avere un impatto sulla seconde, perché le città influenzano ancora le aree rurali con i loro progetti e ho pensato che questa interazione sarebbe potuta essere interessante da esplorare.
Il finale e le domande che lascia
Può dirci qualcosa del finale? È una conclusione bellissima in cui ognuno può vedere qualcosa di diverso. Voleva lasciare che lo spettatore si portasse dietro delle riflessioni alla fine del film?
Come regista non penso di voler confondere lo spettatore come per dispetto, ma penso che ciò che bisogna fare è fornire un'esperienza interessante, intensa. Mi sono sempre chiesto cosa mi dà un valore aggiunto nella visione di un film, quando sono io lo spettatore, e penso che sia l'elemento della sorpresa, della confusione. Perché io ho una mia visione delle cose e quando un film la mette in discussione, questa crolla, così come crolla il modo in cui ho visto il mondo fino a quel momento, e questo è per me il massimo intrattenimento che posso avere da un film. Per me il dovere di un regista è fornire allo spettatore questa confusione, lo considero un servizio che fornisco allo spettatore dal punto di vista dell'intrattenimento.