Il limite dei miracoli
L'eclettica Francia torna a masticare la fantascienza con Marc Caro in versione solista dopo i duetti con Jean-Pierre Jeunet degli anni '90. A quei tempi la coppia di registi francesi iniziava insieme un percorso, non certo privo di affanni, ma coraggioso e diligente, che prevedeva la manipolazione dell'immaginario e la contestuale creazione di universi altri, dove spazio e tempo risultavano rivoluzionati rispetto al presente, così come coloro che li abitavano, necessariamente adattatasi alle nuove condizioni, ma mai totalmente piegati a esse, con tutte le contraddizioni e i turbamenti che ne seguivano. Erano nate così opere come il complesso e barocco La città perduta e il fanta-horror Delicatessen. Il sodalizio si è successivamente interrotto e nel frattempo Jeunet ha conosciuto rapidamente prima il successo, grazie al furbetto Il favoloso mondo di Amelie, e poi il flop con Una lunga domenica di passioni, mentre Marc Caro ha rincorso per anni progetti irrealizzabili senza che si trovasse mai un punto d'incontro tra le ambizioni del regista e le esigenze e le concessioni dei produttori.
Ci sono voluti tredici anni a Caro per tornare dietro la macchina da presa. Lo ha fatto con Dante 01, un film evidentemente mutilato, nella sceneggiatura, nella messa in scena e nella durata a causa di un budget esiguo. Perché Caro non ha voluto rinunciare alla fantascienza, ostinato com'è a venerare il fantastico, totalmente succube della sua fervida immaginazione che trova radici lontane nel suo passato di fumettista. Si è quindi inventato la storia di San Giorgio, prigioniero-cavia confinato in un carcere spaziale che orbita attorno al pianeta tossico Dante 01. Ben presto l'uomo rivela la sua particolare dote: attraverso misteriosi poteri è in grado di fare miracoli, riuscendo a curare e a riportare in vita chi sta per perderla e dispensandone anche ai suoi compagni di prigione che non si mostrano certo teneri nei suoi confronti e progettano addirittura di eliminarlo per ristabilire gli equilibri. Sopra di loro un manipolo di scienziati che li controlla e li utilizza come cavie umane per terribili esperimenti genetici.
Purtroppo i limiti di budget hanno tagliato le gambe alle ambizioni sempre alte di Caro, che evidentemente ha dovuto rinunciare alla complessità tipica delle storie da lui firmate. A fronte di una durata esigua che non permetteva certo uno sviluppo adeguato di personaggi, situazioni e parabole emotive, il regista e sceneggiatore francese ha dovuto sfruttare mezzi e idee a sua disposizione per dare una coerenza e una dignità a una pellicola sempre pericolosamente in bilico sul ridicolo. Quindi l'estetica viene curata maniacalmente, la regia compone l'inquadratura secondo un gusto sopraffino ma risulta spesso poco incisiva, e l'orchestrazione dei personaggi va alla ricerca dell'enfasi, ma più spesso incontra la noia, che è cosa grave considerando il genere e la brevità della pellicola. Le didascalie che appaiono a intermittenza sullo schermo vaneggiano di gironi infernali, ma se ne contano soltanto tre e la sensazione di trovarsi di fronte a un'opera incompiuta e autocomisserante si fa davvero fastidiosa.Caro aggancia la fantascienza a una dimensione metafisica, ci risparmia dissertazioni filosofiche spicciole facendo parlare soprattutto i corpi (quando non addirittura i loro interni), che sbandano negli spazi claustrofobici della prigione, ma non troverebbero comunque una sistemazione migliore all'esterno. Si parla (o sarebbe meglio dire si accenna) di diversità a confronto, di eletti incompresi che vengono messi fuori gioco, ma poi tornano buoni quando la sopravvivenza personale è a rischio, di autorità sempre spietate e arroganti. I personaggi si rincorrono stancamente tra farneticamenti religiosi e cieche lotte di potere, senza mai far posto allo spettatore. Tanti i riferimenti che si colgono guardando la pellicola, che scava nemmeno troppo a fondo nella fantascienza tra fine anni '60 e inizio '70, quella cioè dei nomi altisonanti di Stanley Kubrick, Andrei Tarkovsky e del primo George Lucas, autore de L'uomo che fuggì dal futuro, di cui Caro recupera i crani pelati e gli spazi chiusi, immergendoli però in un'oscurità che vorrebber rendere ancora più disturbante la violenza sullo schermo e la sensazione di claustrofobia e disagio. Tra i tanti titoli che vengono alla mente guardando Dante 01 però, c'è anche il romanzo Il miglio verde di Stephen King, storia di un uomo dai poteri miracolosi costretto in carcere per un crimine mai commesso. Caro non ha però la penna dello scrittore americano e si limita ad abbozzare una storia priva di guizzi per portare a casa il film, concedendosi un finale sacrificale delirante e detestabile.