Il contrasto tra tradizione e modernità in Tibet torna al centro dell'opera di Pema Tseden, cineasta tibetano scomparso improvvisamente a 53 anni lo scorso maggio. Il leopardo delle nevi, presentato Fuori Concorso a Venezia 2023, condensa approccio realistico e temi simbolici nel raccontare l'arrivo di una troupe televisiva nella gelida steppa tibetana, dove un leopardo delle nevi si è introdotto nel recinto di un pastore nomade uccidendo nove castrati. L'uomo, furioso, decide di imprigionare l'animale, specie protetta perché a rischio estinzione, finché non verrà risarcito dal governo cinese.
Il cinema di Pema Tseden gioca sui contrasti. L'arrivo della troupe della tv regionale, con la sua attrezzatura moderna, i cellulari, l'equivalente cinese di Zoom e i fuoristrada, si scontra con la vita semplice e povera degli allevatori locali, la cui sussistenza deriva dal lavoro nei campi o dall'allevamento e un incidente come quello provocato dal leopardo rischia di metterla a repentaglio. Un ulteriore contrasto si rivela nei diversi piani della narrazione, quello contingente ai fatti narrati, a colori, e una dimensione simbolica indicata visivamente col passaggio dal colore a un bianco e nero virato sui toni dell'azzurro che fa sembrare le scene in questione un sogno.
Raccontare il Tibet oggi
Dietro il linguaggio apparentemente semplice di Pema Tseden si nasconde un'acuta riflessione sul rapporto tra il popolo tibetano e le autorità governative. Il governo regionale fa da tramite, anche a livello linguistico, tra gli abitanti degli altipiani e il governo cinese, che impone le sue leggi senza preoccuparsi delle ricadute sui locali. In questo caso va detto, però, che l'esempio usato da Pema Tseden apre una discussione importante visto che riguarda la protezione della fauna locale e delle specie in estinzione.
Al di là della critica sociopolitica (piuttosto blanda in questo caso), c'è tutta la valenza simbolica legata alla figura del leopardo delle nevi, splendido esemplare creato in CGI che rappresenta la potenza e la ferocia della natura, ma è anche strettamente collegato alla spiritualità tibetana e al buddhismo. Il fratello del pastore, chiamato 'monaco leopardo delle nevi' per l'amore che nutre nei loro confronti tanto da sottrarre tempo alle preghiere per riprenderli e fotografarli, è l'unico in grado di entrare nel recinto e uscirne indenne. Il legame che sviluppa col leopardo grazie alla sua fede ribadisce la sacralità dell'anime a rischio di estinzione. Per altro il film di Pema Tseden si riallaccia alla scelta fatta dai monaci degli altopiani tibetani che, da oltre un decennio, si sono trasformati in custodi dei leopardi e della biodiversità dell'area.
Il testamento di Pema Tseden
Cinema diretto e minimalista, Il leopardo delle nevi racconta una storia semplice che mette a confronto città e campagna, modernità e tradizione, uomo e natura, generazioni diverse (il rappresentate governativo si appella al padre del testardo pastore per convincerlo a liberare l'animale), vita materiale e dimensione spirituale. Un coacervo di contraddizioni che caratterizzano il Tibet contemporaneo, una nazione divisa tra le innovazioni imposte dal governo cinese e il tentativo di difendere la tradizione. Il tutto narrato con un linguaggio semplice, ma efficace che segue i ritmi della natura.
Conclusioni
Una storia semplice e minimalista, come rivela la nostra recensione de Il leopardo delle nevi, che nasconde profonde valenze simboliche e sociopolitiche nel raccontare la complessa convivenza tra uomo e natura nel Tibet odierno soggetto al dominio cinese.
Perché ci piace
- La rappresentazione semplice e diretta del Tibet contemporaneo.
- Il focus sulla fede buddhista incarnato dalla figura del monaco leopardo delle nevi.
- L'uso delle suggestive location.
Cosa non va
- La narrazione a tratti rarefatta, nella parte centrale del film non accade poi molto.
- L'interpretazione di alcune valenze simboliche viene lasciata allo spettatore.