Hello darkness, my old friend/ I've come to talk with you again
Nel cinema americano, il 1967 è un anno segnato da almeno un paio di piccole, grandi 'rivoluzioni'. Il 13 agosto, la Warner Bros distribuisce con scarsa fiducia Bonnie and Clyde di Arthur Penn (in italiano Gangster Story), registrando un responso a dir poco strepitoso. Influenzato dalla recente Nouvelle Vague francese (non a caso il progetto era stato offerto in prima istanza a Jean-Luc Godard), Bonnie and Clyde si impone come un film di rottura rispetto a regole e convenzioni del proprio genere di appartenenza, aprendo di fatto la strada al nascente movimento della New Hollywood.
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Quattro mesi più tardi, il 22 dicembre, nelle sale americane approda Il laureato, adattamento dell'omonimo romanzo di Charles Webb e opera seconda di Mike Nichols, reduce dal trionfo di Chi ha paura di Virginia Woolf?: nessuno, però, è preparato al gigantesco fenomeno in procinto di scatenarsi. Nell'arco di qualche mese, Il laureato si rivela infatti l'evento in grado di definire un momento storico: quel film talmente popolare e discusso che è impossibile pensare di non vederlo. E infatti, negli Stati Uniti gli incassi approdano alla cifra record di centoquattro milioni di dollari (aggiornati ai prezzi del 2017, si tratterebbe di ben settecentosessanta milioni), con più di ottanta milioni di biglietti venduti, tanto da far entrare la pellicola di Mike Nichols nella classifica dei dieci film più visti di sempre per numero di spettatori paganti (attualmente è stimata invece al ventiduesimo posto).
Gli anni Sessanta e il "suono del silenzio"
Ma l'importanza de Il laureato travalica i dati numerici; e se oggi siamo ancora qui a parlare di questa educazione sentimentale narrata con cadenze da commedia, non è solo perché Mike Nichols e soci sono stati in grado di cogliere, con invidiabile intuito, lo "spirito dei tempi". Per quanto, a ben pensarci, il punto di partenza per qualunque riflessione a posteriori su Il laureato non possa che partire da qui: quale meccanismo è scattato nel pubblico - un pubblico di proporzioni gigantesche - al cospetto di questo film? Cosa l'ha reso da subito, e per i cinquant'anni a venire, uno di quei classici immediatamente identificabili per la loro irresistibile forza iconica? Probabilmente, Il laureato è il film che ha saputo proporsi nella maniera più convincente (o perlomeno nella più accattivante) come lo specchio di una generazione: una generazione non ancora coinvolta dall'onda del Sessantotto e della controcultura, ma già affetta da inquietudini e turbamenti incomprensibili a quella dei loro genitori.
Nell'inverno del 1967/1968, insomma, Il laureato diventa il cult movie per eccellenza degli anni Sessanta: magari non innovativo né influente quanto Bonnie and Clyde, senza la tensione e l'impegno sociale de La calda notte dell'ispettore Tibbs, ma capace di suscitare l'empatia di un esercito di ventenni della middle class americana ed europea. E la portata del fenomeno è tale che perfino critici e addetti ai lavori non possono non celebrare la pellicola di Nichols, ricoprendola di riconoscimenti: cinque Golden Globe per miglior commedia, miglior regia e il terzetto di comprimari; cinque BAFTA Award, tra cui miglior film, regia e sceneggiatura; e sette nomination agli Oscar, con una statuetta come miglior regista per Mike Nichols. Nel frattempo, fra i mesi di aprile e luglio, il primo posto della classifica dei dischi più venduti in America è occupato alternativamente dalla colonna sonora del film e da Bookends, l'album di Simon & Garfunkel che include al proprio interno un brano leggendario come Mrs. Robinson, inossidabile tormentone incluso nella soundtrack del film.
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L'educazione sentimentale di Benjamin
È però un'altra canzone di Simon & Garfunkel, The Sound of Silence, un pezzo inciso nel 1964 ma arrivato alla notorietà con quasi due anni di ritardo, ad aprire il film di Nichols. Su quella melodia malinconica, accompagnata da versi di drammatica introspezione e di disperata solitudine, veniamo introdotti al personaggio di Benjamin Braddock, neolaureato presso il Williams College sulla via del ritorno alla casa paterna nell'assolata Pasadena, in California. Benjamin è alla soglia dei ventun anni ed ha lo sguardo smarrito di Dustin Hoffman (che di anni, in realtà, ne aveva quasi trenta), attore semiesordiente che poco tempo prima aveva fatto un'audizione per Mike Nichols per un musical teatrale. Hoffman non viene preso nello spettacolo perché non sa cantare abbastanza bene, ma al regista quel ragazzotto ebreo, bassino e dall'aspetto un po' anonimo rimane talmente impresso da preferirlo al ben più aitante Robert Redford.
Goffo e impacciato, con le buone maniere e il look da bravo ragazzo che non riescono a nascondere un malessere non meglio precisato ma più che mai evidente, il Benjamin Braddock di Dustin Hoffman si propone come il volto simbolo dei ventenni dell'epoca: quelli sempre più refrattari ai modelli di vita borghese delle proprie famiglie, eppure senza la grinta necessaria per rigettarli del tutto; privi di una coscienza politica definita ma comunque in cerca di una valvola di sfogo per la loro sommessa frustrazione. Per buona parte del film, Benjamin non intraprende scelte consapevoli ma preferisce 'galleggiare' (una metafora traslata da Nichols pure in senso letterale) in balia degli eventi: non si preoccupa di mettere a frutto gli studi cercandosi un impiego; si fa mettere in imbarazzo al cospetto dell'intero parentado indossando una tuta da sub nella piscina domestica; e si lascia sedurre da un'amica di famiglia, la più matura signora Robinson, l'unica che riesca davvero a infondergli un senso di eccitazione. Solo con il primo, folle innamoramento, per ironia della sorte nei confronti dell'unica ragazza sulla quale gli era stato posto un veto, Benjamin deciderà di prendere in mano le redini della propria vita, facendo esplodere la sua vena di ribellione.
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"Signora Robinson, lei sta tentando di sedurmi!"
Se il contrastato rapporto fra Benjamin ed Elaine, interpretato da Katharine Ross (altra futura star in ascesa), è l'ingrediente che, nella seconda parte, trasforma il film in una vera e propria commedia romantica, al successo de Il laureato contribuisce però soprattutto lei: Mrs. Robinson, personaggio a suo modo archetipico ma, a uno sguardo più ravvicinato, anche umanissimo e credibile. A conferirle un'eleganza sofisticata, una sensualità raffinata ma decisa e, in filigrana, una dimensione di fragilità è una meravigliosa Anne Bancroft, di soli sei anni più grande di Hoffman e qui nella parte alla quale, da allora, avrebbe per sempre legato la propria immagine.
Attrice dal talento già comprovato grazie alle sue superbe prove in Anna dei miracoli e Frenesia del piacere, la Bancroft viene ingaggiata dopo il rifiuto di Doris Day e di molte altre star, in un ruolo per il quale Nichols aveva pensato addirittura a Jeanne Moreau, e lo 'indossa' come un guanto. Dalle prime sequenze che vedono Dustin Hoffman e Anne Bancroft dividere lo schermo, con il sapiente adescamento messo in atto dalla donna, l'ingenuità genuinamente scandalizzata del ragazzo (sintetizzata da quella proverbiale battuta: "Signora Robinson, lei sta tentando di sedurmi!") e l'esilarante appuntamento presso l'hotel Taft, con Benjamin che cerca forsennatamente di mascherare il proprio incontro clandestino, la passione fra il protagonista e la signora Robinson è l'autentico motore da cui il film trae gran parte della propria forza.
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"She once was a true love of mine"
Oggetto, dal 1967 a oggi, di una quantità incalcolabile di citazioni, omaggi - gustosissimo quello nell'incipit del film I protagonisti di Robert Altman, con lo sceneggiatore Buck Henry che tenta di vendere l'idea di un improbabile sequel - e adattamenti teatrali, Il laureato conserva un fascino tutto particolare. Da un certo punto di vista, l'opera di Nichols può costituire un piacevole tuffo nella nostalgia per gli spettatori più grandi o, per i più giovani, una sorta di "capsula del tempo" per immergersi nell'atmosfera degli anni Sessanta (e in questo senso, le canzoni di Simon & Garfunkel rimangono un veicolo perfetto); da un'altra prospettiva, però, sarebbe errato sottovalutare la modernità de Il laureato rispetto ai canoni del cinema dell'epoca.
Dal modo smaliziato e in parte trasgressivo di mettere in scena la sessualità, nello stesso anno in cui veniva abolito il famigerato Codice Hays (volto a censurare ogni traccia di erotismo esplicito nelle produzioni hollywoodiane), al romanticismo sfrenato e vagamente ribellistico del finale, con la famosissima scena dell'irruzione di Benjamin al matrimonio di Elaine, passando per le brillanti intuizioni di Nichols alla regia e per l'ineffabile ambiguità della sequenza conclusiva (Benjamin ed Elaine insieme a bordo di un autobus, con i rispettivi sorrisi che si stemperano in uno sguardo indecifrabile), Il laureato è al tempo stesso un film calato in un momento ben preciso della cultura e della società americane, ma anche un formidabile meccanismo narrativo: un meccanismo attraversato da una vitalità, da una tenerezza e da un'ironia che continuano a funzionare splendidamente... perfino a mezzo secolo di distanza.