I Tarantini come gli Indiani d'America, l'Ilva come la Western Pacific che sterminò un'etnia, spazzando via bisonti e praterie nelle terre del selvaggio West. Parte da questa similitudine il nuovo film di Sergio Rubini, Il grande spirito, in sala dal 9 maggio, scritto insieme a Carla Cavalluzzi e Angelo Pasquini e recitato interamente in dialetto. È un racconto dalla parte degli ultimi, ma anche una storia di riscatto e recupero dell'innocenza perduta attraverso le vite di ognuno dei personaggi in scena: Tonino (Rubini), squilibrato e malandato criminale, che tenta l'ultimo colpo nella speranza di riabilitare il proprio glorioso passato delinquenziale; Renato - Cervo Nero (Rocco Papaleo), un folle convinto di essere un Sioux, bandana rossa in testa, arco, freccia e piuma dietro l'orecchio, che coltiva il sogno di andarsene in Canada, ma intanto vive nello scalcinato lavatoio di una terrazza condominiale; e Teresa (la protagonista di Gomorra, Ivana Lotito), una donna dolente, vittima delle violenze del marito, che per raccogliere qualche spicciolo si divide tra le pulizie del palazzo e attimi di sesso a pagamento con i loschi figuri del quartiere. I destini di tutti e tre si incroceranno su quella terrazza, tra i tetti dei condomini brulicanti di vita e le ciminiere fumanti dell'Ilva sullo sfondo. Ecco che cosa abbiamo scoperto in questa intervista a Sergio Rubini e ad Ivana Lotito.
Una storia di speranza
Il titolo, Il grande spirito, detta il respiro dell'intero film e per Sergio Rubini rappresenta "la possibilità di guardare il mondo da una prospettiva diversa, è la speranza che oltre la realtà nella quale siamo costretti a vivere ci sia un luogo dell'innocenza, più armonico, la luce in fondo al tunnel". Anche per Teresa Il grande spirito "è il ritrovamento della speranza perduta, - ci dice Ivana Lotito che la interpreta - è una via di fuga verso una vita più leggera luminosa e piena".
Teresa ha dentro la grazia della sofferenza e la rabbia dei volti del neorealismo: "È una donna disincantata e schiavizzata da un uomo e da un mondo culturale che la vuole sottoposta a un ruolo. In Cervo Nero trova un portatore sano di valori persi e un mondo immaginifico dimenticato".
Il regista pugliese l'ha aiutata "a darle forza, grinta, spessore, rabbia e a renderla più provocatoria", mentre i suoi riferimenti vengono dalla memoria dell'infanzia: "Ho dato ascolto a ricordi sopiti di quando da piccola sentivo le liti dai balconi del palazzo dove abitavo, in un paesino della Puglia".
L'Ilva, Taranto e il racconto degli ultimi
Il film - di cui abbiamo parlato nella nostra recensione de Il grande spirito - è scritto da Sergio Rubini partendo proprio dal personaggio di Rocco Papaleo, è però anche "una storia sulla possibilità di affrancarsi, una chance a cui tutti abbiamo diritto, da qualsiasi fascia sociale si provenga. È un racconto sugli ultimi che hanno la possibilità di non restare tali. Ogni film deve avere il coraggio di indicare una strada e Il grande spirito lo fa, lasciando supporre che anche dove non è immaginabile ci sia l'opportunità di una luce e di una vita sostenibile. Basta avere speranza", ci tiene a precisare il regista. Anzi bisognerebbe ripartire "dall'innocenza bullizzata di cui Renato è il simbolo, il cinismo non ci porterà da nessuna parte".
Come dimostra lo scempio compiuto a Taranto dall'Ilva, la fabbrica che entra prepotentemente nel film con le sue ormai iconiche ciminiere che sputano fumo: "Avevo bisogno di una città fortemente industrializzata e Taranto mi è sembrata la riserva indiana di cui avevo bisogno, un luogo di bellezza strepitosa e assoluta; - ci spiega- eppure c'è l'Ilva, che ha compiuto lo stesso scempio della Western Pacific nelle terre del lontano West. Noi siamo i bianchi che abbiamo impiantato le ciminiere e i Tarantini sono gli Indiani: alcuni di loro muoiono, altri sono costretti a collaborare con i bianchi per poter mangiare".