In pochi vengono accolti come è stato accolto oggi Michael Mann dai giornalisti italiani. Un lungo applauso spontaneo si è levato in sala, non di certo il primo e neanche l'ultimo per lui, ma un gesto che il regista non si attendeva e che ha dichiarato apertamente di aver molto apprezzato. D'altronde non avrebbe potuto essere diversamente, eravamo di fronte al cineasta per eccellenza, un regista che con la sua classe e il suo stile inimitabile ha influenzato l'industria cinematografica moderna regalandoci film indimenticabili come Manhunter - Frammenti di un omicidio, Heat - La Sfida, L'ultimo dei Mohicani, Collateral e Miami Vice. A quasi sessantasette anni Mann sfodera il suo asso nella manica e ci regala questo Nemico Pubblico - Public Enemies, il suo film più ambizioso e più complesso, un capolavoro di tecnica e stile unito alla grande meticolosità narrativa di un artista a tutto tondo non ancora appagato che si spinge dove in pochi sono stati in grado di arrivare e vince alla grande la sua ennesima affascinante sfida. Tratto dal romanzo del giornalista Bryan Burrough, Nemico Pubblico racconta la vita dissoluta e ad alto rischio di John Dillinger, il leggendario fuorilegge che a cavallo tra il 1933 e il 1934 durante la Grande Depressione mise in ginocchio la polizia e le istituzioni americane con una serie di evasioni, di rapine in banca progettate sin nei minimi particolari che lo resero famoso ma anche l'uomo più ricercato degli Stati Uniti. Dominò la stampa, conquistò l'opinione pubblica divenendo l'eroe popolare di un'intera generazione impoverita dalla crisi economica e finanziaria, ma scatenò anche la prima grande guerra al crimine organizzato da parte della polizia, che ne uscì completamente rivoluzionata. Protagonista nei panni di Dillinger è Johnny Depp, che ci regala una delle sue migliori prove, affiancato da Christian Bale nel ruolo di Melvin Purvis, miglior agente di polizia scelto per capitanare le indagini e la caccia al bandito, da Billy Crudup nei panni del capo dell'FBI Hoover e dalla splendida Marion Cotillard, premio Oscar per La vie en rose nei panni di Edith Piaf nel ruolo di Billie Frechette, la donna che fece perdutamente innamorare Dillinger. Nemico Pubblico sarà nelle sale da venerdì 6 novembre in 350 copie distribuito da Universal.
Signor Mann, perchè ha scelto di portare sul grande schermo proprio la storia di John Dillinger? Solo perchè si inserisce alla perfezione nella sua filmografia?
Michael Mann:Non saprei dire esattamente in che modo Nemico Pubblico si inserisca nella mia fimografia, posso dirvi che ho sentito sin dall'inizio una grande empatia nei confronti di quest'uomo che negli anni '30 ha fatto parlare di sé tutta l'America. Mi son sentito molto affascinato e coinvolto emotivamente da questa vita che si è accesa improvvisamente e ha brillato fortemente per un tempo brevissimo per poi spegnersi all'improvviso. Avevo voglia di immergermi completamente e di immergere il mio pubblico nell'esperienza di questo antieroe freddo e ambizioso riportandolo in vita, tornando indietro nel tempo. E' stata una grande sfida per me e spero che il film funzioni, vorrei che tutti potessero capire chi era John Dillinger, e cosa lo ha spinto a sfidare la polizia e la sorte sentendosi quasi imbattibile e immortale.
Michael Mann: Mi piacciono tantissimo i film d'epoca, realizzarli è come un po' viaggiare nel tempo, ci si sente trasportati in quel momento, in quell'anno in quell'epoca. Volevo raccontare la storia di Dillinger nel dettaglio, essere più meticoloso possibile, tornare nel 1934 nei giorni della sua scarcerazione e delle sue scorribande nelle banche.Volevo farlo sentire di nuovo vivo. E' notte sta piovendo, una macchina scura gira per le strade di una Chicago illuminata. Ma non volevo ricostruire solo le scenografie, le auto, le cose e gli abiti, ma anche le persone dell'epoca e la loro psicologia cercando di capire cosa accadeva in quel periodo nel Paese e nel mondo. Tema fondamentale era la fede, mi sono sempre interrogato sugli anni '30 i miei genitori erano di quell'epoca e mi hanno sempre raccontato un sacco di storie.
Durante la produzione del film avete girato nei luoghi frequentati da Dillinger, toccato i suoi oggetti, ripercorso la sua vita. Quanto è stato importante sentirlo così vicino per Lei e per Johnny Depp?
Michael Mann: Sono cresciuto in quella zona, passavo spesso di fronte a quel cinema e negli anni '80 ci sono andato spesso.Quando passavamo lì mio padre mi raccontava di questo celebre rapinatore che fu ucciso proprio lì, all'uscita dalla sala. Ho voluto usare gli stessi posti che Dillinger aveva usato a suo tempo, dal cinema, alla stanza della pensione, penso che i luoghi abbiano un'anima, e quel soffitto di quella camera e la maniglia di quella porta mi dicevano molto di lui. Io e Jhonny ci siamo sentiti molto emozionati in alcuni momenti, essere lì faceva parte dell'immersione sia mia che sua nella storia e nel personaggio, erano piccoli particolari che creavano la magia e che hanno reso possibile tutto questo.
Quale aspetto della personalità complessa di Dillinger l'ha colpita di più?
Michael Mann: Mi affascinava il suo modo di vivere estremamente fatalista, mi allettava l'idea di raccontare la storia vera di un gruppo di rapinatori di banche che conduceva i loro colpi come fossero piccole operazioni militari senza avere il minimo senso del futuro pur sapendo che alla fine il destino avrebbe avuto la meglio. Non si preoccupavano del quando e del come sarebbe accaduto. Mai hanno pensato di fuggire in luoghi lontani come il Brasile o a Singapore. Si divertivano, vivevano al massimo, con l'idea in mente di guardare scorrere il tempo senza pensare al domani. A muovere Dillinger era la sua sete di vita, era un uomo giovane che dopo dieci anni di carcere uscì con addosso un appetito vorace che lo portò ad accaparrarsi tutto ciò che poteva nel minor tempo possibile. Un'aspirazione che condivideva con i suoi amici e 'colleghi'. E' così che in poco più di due mesi è nata la leggenda di Dillinger.
Michael Mann: Non sono mai stato interessato ai generi o alla creazione di leggende, quando ho iniziato a lavorare a Nemico Pubblico ero solo interessato a rievocare una vita, sono stato un grande fan del western ma ho fatto questo film senza pensare minimamente al genere, sono partito dalle gesta e dalla vita di Dillinger e da lì ho descritto il contesto storico, un periodo di grandi cambiamenti della società, economici e politici. Erano anni di rivoluzione anche per la polizia, per le armi, anni in cui si sperimentava e si introducevano metodi del tutto innovativi anche per la raccolta e l'elaborazione delle informazioni. E' vero che c'era il bene e il male, da un lato la polizia federale e dall'altro il crimine organizzato, ma fanno parte dello stesso contesto.
E' strabiliante come Lei riesca a trasportare lo spettatore all'interno di una vera e propria guerra con l'utilizzo del digitale. Nei film che abbiamo visto finora sugli anni '30 non abbiamo mai avuto la possibilità di capire la potenza delle armi che si usavano allora. Come ha lavorato sull'uso del digitale?
Michael Mann: Volevo ci fosse il più possibile compartecipazione da parte del pubblico nella guerra tra Dillinger e la polizia. Una sera ero in uno studio sul set, pioveva e io mi stavo interrogando sullo stile del film, su come portare sullo schermo quello che volevo. Avevo scenografie, costumi e luci e mi sono detto "perchè non fare una prova?". Così ho provato sia il digitale che le riprese classiche su pellicola e il risultato è stato che le scene girate in modo classico restituivano meglio le sensazioni del periodo, mentre il digitale restituiva la realtà immediata di quel che avveniva in quel momento. Le armi di quell'epoca erano delle vere opere d'arte, le abbiamo esaminate, studiate, toccate, ed ho voluto renderle protagoniste il più possibile. Abbiamo sparato, provato, e siamo riusciti a ricostruire sia il suono che l'immagine. Quando Christian Bale e Johnny Depp sparavano, si coinvolgevano emotivamente, era stupefacente vederli, così come quando guidavano le auto degli anni '30, in un primo momento si sono sentiti smarriti senza le sospensioni e senza la fluidità delle auto di oggi, ma hanno familiarizzato con la realtà di quegli anni, si sono proiettati in una dimensione affascinante e del tutto nuova per loro. E' stato davvero stimolante.
Il fatto che questa storia fosse stata raccontata già altre volte come anche il periodo storico della grande depressione non le ha creato qualche perplessità iniziale? C'è qualche legame tra la storia narrata e il periodo di crisi a livello mondiale che stiamo vivendo?
Michael Mann: No, è solo una coincidenza sfortunata. Questo difficile momento di crisi economica globale non era prevedibile quando ho iniziato a lavorare al film, e non era neanche prevedibile. Molti fanno film legati al momento storico attuale ma non è il mio caso. Sono sempre stato affascinato dagli anni '30, li ho studiati per molto tempo,avevo molti progetti in cantiere, uno su Parigi,uno sulla Spagna, ho avuto i miei genitori che mi hanno raccontato di quanto fosse difficile vivere in quegli anni di grande crisi, anni di transizione in cui tutto cambiava rapidamente e la vita diventava spesso disperata. Ho voluto più raccontare questo che altro.
C'è un elemento ricorrente nella sua filmografia, un protagonista che si ferma e prende tempo per una riflessione e per una sorta di redenzione nei momenti più catartici. Perchè in Nemico Pubblico al personaggio di Dillinger è come se questo momento venisse negato? Lo ha appositamente svuotato dell'elemento emotivo?
Michael Mann: Per me era importante lui, la sua mente. Ho cercato più volte di immaginarmi la sua faccia mentre era seduto quel 2 luglio nel cinema seguendo le gesta di Clark Gable in Manhattan Melodrama e riconoscendosi in lui. In quegli anni si sentiva come la leggenda degli eroi negativi, era su tutti i giornali in prima pagina quasi tutti i giorni e in quel film vede se stesso nel divo Clark Gable. Da questo racconto ho cercato di percepire quelli che erano i suoi pensieri nel momento in cui Gable nel film dice: "non pensare alla possibilità di vivere per sempre, bisogna morire come si è vissuti". Sospettava o no che a soli 100 metri di distanza l'FBI fosse appostato e pronto ad ucciderlo a sangue freddo? Sapeva dentro di sé che il suo tempo era scaduto? Volevo che ci fosse questo al centro del film e del finale. Sarebbe stato riduttivo se attraverso Johnny Depp o una voce narrante avessi dato io una risposta. Ho cercato di fornire allo spettatore gli spunti necessari affinchè potesse farsi una sua idea su Dillinger e della sua personalità.
Michael Mann: Io sono uno che racconta storie e questa è una storia vera e straordinaria, con tante contraddizioni. Mi serviva un modo immediato per raccontarla, volevo mettere il mondo di fronte a Dillinger senza raccontare troppo di lui, non ho mai pensato per esempio di iniziare dalla sua infanzia difficile o dalla vita da piccolo delinquente che aveva fatto prima di quel periodo. Questo potrebbe essere materiale per un docuimentario biografico di History Channel, volevo ben altro. Era un uomo poco sentimentale, freddo, ma non totalmente sprovvisto di emotività, lo notiamo nella scena in cui è costretto ad abbandonare il suo mentore ferito e a gettarlo fuori dalla macchina in corsa. Non si hanno punti di contatto con lui, non ci si immedesima mai in lui, è dalle piccole smorfie del suo volto, dai suoi sguardi emblematici che si riesce a capire chi fosse realmente, come anche dal momento in cui va in prigione per liberare i suoi amici, da uno come lui non ti aspetti cose del genere. E' questo che mi ha motivato più di tutto e mi ha spinto verso di lui.
Prima ci ha detto che non ci sono legami con l'attualità ma cosa ci dice riguardo alla manipolazione dell'opinione pubblica? La lotta tra Dillinger e il suo antagonista avviene per la conquista della pubblica opinione. Quanto ha pesato questo aspetto nel nell'adattamento del soggetto?
Michael Mann: Storicamente è così che iniziano le sue vicende, è un fatto storico, si tratta dell'origine della manipolazione dei media. La storia inizia con una grande propaganda sulla stampa ed era qualcosa di straordinariamente innovativo per l'epoca,le informazioni nel mondo arrivavano attraversi i treni, in Unione Sovietica come in Germania. L'America era unita dalla radio a quei tempi ma nel 1933 tutti iniziano ad andare al cinema e qualcosa di importante inizia a materializzarsi. L'idea geniale di J. Edgar Hoover (interpretato da Billy Crudup, ndr), il fondatore della neonata FBI, fu quella di veicolare sul grande schermo l'informazione anzichè usare i media, cosa che non era mai accaduta prima di quel momento preciso in cui Dillinger imperversava per le banche seminando confusione. Non era un modo per commentare ciò che avviene ora ma solo per raccontare come un bandito, un fuorilegge famoso per le sue gesta negative, avesse avuto il potere di cambiare in un certo senso la storia. Con il mio film ho voluto riportare alla ribalta un personaggio che la Storia ha lasciato per troppo tempo indietro.