Alfonso Cuarón presenta in concorso alla Mostra del Cinema la sua ultima pellicola, I figli degli uomini, tratta dall'omonimo romanzo di fantascienza di P. D. James. Con lui il protagonista Clive Owen e la giovane interprete Claire-Hope Ashitey, alla sua seconda esperienza cinematografica.
L'immagine del futuro offerta da I figli degli uomini è piuttosto pessimistica. Avete avuto difficoltà a trovare uno studio che finanziasse il progetto?
Alfonso Cuarón: La mia non è una visione pessimistica del futuro, ma piuttosto una visione realistica del presente. Per questa ragione ho usato delle icone, degli archetipi collettivi umani immediatamente comprensibili da tutti visto che, più che del futuro, volevo parlare del presente. Nel film è presente molta violenza, ma siamo stati ben attenti a non esaltarla in nessun modo. Volevamo mostrare la realtà che purtroppo è propria di alcune zone del mondo, senza mitizzarla, i personaggi, infatti, uccidono solo per difendersi e sopravvivere. Inoltre abbiamo scelto di mostrare un gruppo assai variegato di emarginati, composto non solamente dalle minoranze etniche che fanno parte del terzo mondo, ma anche da europei che provengono da culture benestanti. Questo per far capire che certe cose possono capitare a tutti. La Universal ha capito subito il film e ha avuto fiducia in me anche quando avevo torto, permettendomi di portare avanti il mio progetto senza alcun tipo di ostacolo.
Il ruolo di Theo, il protagonista del film, è molto fisico. Quali sono state le principali difficoltà nell'interpretazione di questo personaggio?
Clive Owen: Theo è un personaggio piuttosto inusuale, distaccato e passivo, l'esatto opposto dell'eroe convenzionale. La maggior difficoltà non è stata la parte fisica, ma il fatto di interpretare un tipo riluttante, uno che se avesse potuto scegliere non si sarebbe mai fatto coinvolgere da una situazione simile a quella che vive nel film.
I personaggi che interpreti sono sempre piuttosto tormentati. Questo perché rivestono un fascino particolare?
Clive Owen: Non lo so, in realtà la scelta dei personaggi è determinata da altri fattori, soprattutto dai registi che dirigeranno il film. Alfonso era uno dei registi che amo di più e con cui avrei voluto lavorare. Questo mi ha convinto ad accettare il ruolo di Theo.
Un aspetto del film che emerge immediatamente è la colonna sonora particolarmente curata, ed è bello che sia stata scelta la versione di Ruby Tuesday di Franco Battiato.
Alfonso Cuarón: Per questo devo ringraziare Battiato. E' stato lo stesso script a suggerire le musiche che avremmo dovuto utilizzare, ma per fare le scelte definitive ho lavorato a fianco di due esperti musicali che si sono rivelati preziosissimi, anche se, a dire la verità, il ruolo che riveste la musica è importante solo in parte. Il mio intento non era quello di fare un film basato sulle musiche.
Nel film è presente una scena di fuga piuttosto curiosa in cui vi è una macchina che parte solo a spinta. Questa idea era già presente nel romanzo?
Alfonso Cuarón: In realtà l'idea ci è venuta nel lungo e freddo inverno di Londra, mentre lavoravamo allo script. In questa atmosfera è facile immaginare la fine del mondo. L'idea da cui partivamo era quella di utilizzare personaggi assolutamente umani, che non sono in grado di fare ciò che gli è stato chiesto e che sono coinvolti in situazioni più grandi di loro. Clive ci ha aiutato moltissimo anche in fase di script creando buona parte del suo personaggio visto che le indicazioni che gli avevo dato all'inizio non erano moltissime. Il suo è un personaggio passivo e statico, quindi tutta la sua dinamicità interiore viene dall'interpretazione di Clive. Il pubblico, nel corso del film, si affeziona a Theo, ma lui non fa poi molto, è trasparente, quasi nudo di fronte agli altri.
Clive Owen: Alfonso è un regista che lavora per situazioni, crea una dimensione e vi inserisce al centro l'attore stimolandolo a reagire al contesto che si muove intorno a lui.
Un'atra scena particolarmente violenta termina con le gocce di sangue che investono l'obiettivo rimanendo visibili sul vetro e creando un effetto straniante. Quale è il motivo di questa scelta?
Alfonso Cuarón: Questa scena è un long shot che ha richiesto 12 giorni di lavorazione alla fine dei quali non eravamo riusciti ad avere ancora un ciak buono. Infine abbiamo girato e mi sono accorto degli schizzi di sangue che avevano macchiato la telecamera, ma non potevo dare lo stop perché avrei rischiato di mandare a monte tutto il lavoro. Alla fine della sequenza Clive era infervorato per il risultato ottenuto e non mi sono sentito di farla ripetere nuovamente, visto che anche il mio direttore della fotografia ha detto che era fantastico così.
I bambini hanno un ruolo centrale nella sua produzione filmografica.
Alfonso Cuarón: In un mondo in cui manca la speranza si crea un vuoto e l'ideologia diventa un atto di fede. Volevo affrontare il tema dell'evoluzione nello spirito umano, per questo mi interessano molto i bambini che rappresentano il futuro dell'uomo.
La storia raccontata è veramente terrificante. Che faresti se accadesse veramente?
Alfonso Cuarón: Chiamerei Clive Owen a salvare il mondo.
Il budget a disposizione per realizzare il film era elevato?
Alfonso Cuarón: Si, il film è stato piuttosto costoso, per questo devo ringraziare la Universal anche se abbiamo scelto volutamente un look minimalista di taglio documentaristico che facesse sembrare il film meno costoso. La parte più economicamente impegnativa sono stati gli esterni girati interamente a Londra.
Il personaggio di Michael Caine ha un allure particolare, è una figura che colpisce il pubblico da subito. Come avete creato questo personaggio?
Alfonso Cuarón: Con Michael Caine abbiamo lavorato al copione facendo una ricerca sui temi che influenzano l'uomo all'inizio del XXI secolo. Dovevamo creare per ogni personaggio una linea temporale in cui decidevamo il background del carattere e gli avvenimenti accaduti prima del 2027.
Clive è un ex attivista disilluso, mentre il personaggio di Michael, nel romanzo è un soldato di professione. Io ho scelto di umanizzarlo rendendolo più simile a un filgio dei fiori che negli anni '70 ascoltava i Beatles, negli '80 i Ramones e che si creato un piccolo paradiso in cui vivere per sfuggire alle miserie del presente.
Più che "figli degli uomini" il film dovrebbe chiamarsi "figlio dell'uomo" visto che sembra intriso di riferimenti religiosi e addirittura, da un certo punto in poi, è presente una sacra famiglia.
Alfonso Cuarón: Il romanzo originario è intriso di riferimenti religiosi, ma noi abbiamo cercato di allontanarci da questa dimensione, anche se ovviamente alcuni aspetti simbolici oermangono nel film. Anche Theo cerca la sua Terra Promessa. Purtroppo muore prima di averla raggiunta, ma il miracolo si è compiuto ugualmente perché si è risvegliata la speranza.