Il freddo mondo di Beowulf
Dopo Polar Express, la sperimentazione di Robert Zemeckis passa per il primo grande (e incompiuto) poema in lingua anglosassone, quel Beowulf che viene datato intorno all'VIII secolo, e che con i suoi oltre 3000 versi è il più lungo poema arcaico anglosassone che ci sia mai giunto.
Un'opera complessa, pervenutaci in forma frammentaria, che è stata da sempre fonte di buona parte della letteratura fantasy, e che si presta ad una notevole molteplicità di piani di lettura e di possibilità intepretative. Impossibili da poter essere risolte in due ore scarse di film. L'intelligenza di Zemeckis è quella di voler sottrarsi da una prova di attinenza con il testo, dalla quale sarebbe inevitabilmente uscito con le ossa rotte, e di porre il magico e affascinante mondo dell'eroe scandinavo come ulteriore frontiera per esplorare le potenzialità del performance capture, la particolarissima tecnica espressiva di cui il regista si serve dal suo film precedente.
Si, perchè pur avendo recitato nella pellicola attori del calibro di Anthony Hopkins, John Malkovich e Angelina Jolie, tutto il girato di La leggenda di Beowulf viene rielaborato e rimodellato al computer, conservando una perfetta somiglianza anatomica e di lineamenti con gli attori in carne ed ossa. Ai quali, poi, viene aggiunto lo sfondo degli splendidi panorami scandinavi, e l'ambientazione di una terra magica e ancestrale, piena di re guerrieri, mostri e draghi. La storia di Beowulf, del terribile mostro Grendel, e della sua malvagia madre, rivive così nell'immaginifica costruzione di Zemeckis.
L'impatto estetico lascia fin da subito qualche perplessità. Se il passaggio al computer permette di lavorare sulle ambientazioni e sulle scenografie quasi senza limitazioni, d'altra parte lascia un'impronta di meccanicità ai movimenti e di inespressività facciale ai personaggi che, soprattutto perchè interpretati da volti noti, non possono lasciare indifferenti.
I difetti nella scelta di tale realizzazione tecnica, che già aveva mostrato una certa difficoltà in Polar Express, riemergono prepotentemente anche in Beowulf, allontanando il pubblico da un coinvolgimento empatico con l'epicità della storia, veicolata da volti inespressivi e fisicità innaturali e poco fluide.
D'altra parte le scelte di regia (seppur 'artificiale') lasciano spesso a bocca aperta, con dei piani e dei movimenti di macchina audaci e suggestivi, possibili solo grazie all'uso del digitale, ma non per questo meno realistici ed efficaci. Ma una buona gestione della regia e un'ottima scelta delle musiche non bastano a risollevare le sorti di una pellicola che, oltre i limiti tecnici ai quali va incontro, si dispiega lentamente, priva di pathos, non lasciando la possibilità al pubblico di affezionarsi a nessuno dei suoi personaggi.
Ci si augura che Zemeckis continui su questa strada, che potrebbe aprire porte interessanti e lanciare soluzioni tecniche e possibilità narrative immense. Ma, allo stato attuale delle cose, solo una solidissima ed efficacissima sceneggiatura può sopperire alla freddezza di fondo che caratterizza ancora il motion capture. E questo, purtroppo, non è il caso di Beowulf.